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Altri spifferi da Genova / Sinodalità? Se si vuole quella vera, si faccia un pubblico confronto

di Romano Curiale

A volte i refoli di vento s’incanalano per gli appennini o scivolano sotto costa e da Genova giungono a Roma. Esperti naviganti, i genovesi, sanno come evitare secche e scogli e navigare sottovento. Non per niente alla Meloria sbaragliarono il pisan nemico.

Nel 1284, a seguito della schiacciante vittoria genovese la grande catena di Porto Pisano, insieme a migliaia di prigionieri, compreso il podestà di Pisa, l’ammiraglio veneziano Alberto Morosini, fu portata a Genova, spezzata ed esposta a monito in vari luoghi della città, tra cui la chiesa di San Torpete.

Ed è proprio da San Torpete che parte la nuova denuncia, che questa volta ha un nome e un cognome: don Paolo Farinella. Il parroco di San Torpete ha preso carta, penna e calamaio e ha scritto alla Congregazione dei vescovi, a quella per il clero e alla nunziatura in Italia per denunciare, “per dovere di coscienza e di Diritto” (così si legge nella missiva), alcuni fatti occorsi e tuttora occorrenti nell’arcidiocesi ora retta da monsignor Tasca.

Tra i carruggi della Superba gira insistente la voce che il presule veneto non voglia fare la fine del conterraneo Morosini, che rimase tredici lunghi anni prigioniero a Genova.

Dell’onnipresenza intorno all’arcivescovo regnante del cosiddetto cerchio magico, formato dall’ausiliare e dai vicari episcopali, abbiamo già riferito. Apprendiamo ora altre chicche, come quella relativa al vescovo ausiliare, monsignor Anselmi. Per quanto si dica che abbia conseguito la laurea in ingegneria, non consta abbia effettuato altri studi teologici se non quelli del seminario di Genova.

Com’è possibile che sia stato fatto vescovo? Il Codice di diritto canonico, tuttora vigente, al can 378, § 1 elenca i requisiti di cui il candidato vescovo dev’essere in possesso. In particolare, al punto 5, recita così: “…abbia conseguito la laurea dottorale o almeno la licenza in sacra Scrittura, teologia o diritto canonico in un istituto di studi superiori approvato dalla Sede Apostolica, oppure sia almeno veramente esperto in tali discipline”.

Tralasciamo i requisiti espressi nei precedenti punti: “1) sia eminente per fede salda, buoni costumi, pietà, zelo per le anime, saggezza, prudenza e virtù umane, e inoltre dotato di tutte le altre qualità che lo rendono adatto a compiere l’ufficio in questione; 2) goda di buona reputazione)”, perché anche sulle rive del Tevere sappiamo che le numerose imprese intentate dal ridente monsignore sono miseramente fallite con notevole esborso di ecclesial pecunia.

Ma non è tutto. L’accorpamento dell’Economato diocesano e della Caritas sotto la guida di un parroco, persona degna, ma assolutamente incompetente e senza alcuna preparazione specifica in gestione amministrativa, pare un unicum tutto genovese.

Si sa che, un tempo, i genovesi le palanche le sapevano trafficare bene: non lasciavano puffi, cioè debiti, in giro. Oh, fasti antichi di una Genova che non c’è più!

Che fare? Don Farinella lancia la sfida all’arcivescovo e al Cerchio Magico: un pubblico confronto.

Sfido i vescovi e i vicari a un confronto pubblico perché rispondano alle domande che gli vorremmo fare davanti al popolo di Dio e alla città. Mettiamo in pratica almeno una volta il metodo sinodale e non per finta, come sta avvenendo ora che è una ‘roba per clericali’ (preti e laici). Lascio a loro la scelta del luogo e dell’arma (purché non violenta). Sono dispensati dell’accompagnamento dei padrini”.

Non ci resta che il vecchio adagio: chi vuol veder Pisa (cioè una Chiesa sconfitta e umiliata a motivo dell’ignoranza e dell’arroganza che ne è figlia) vada a Genova.

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