di Marco Felipe Perfetti
Se nove anni fa papa Francesco fu accolto come il “papa arrivato dalla fine del mondo” e i suoi gesti suscitarono grande consenso, oggi non è più così. Ciò che dissi quando lo vidi affacciarsi dalla loggia senza mozzetta fu: “Questi gesti stancheranno la gente”.
Credo che oggi abbiamo la conferma di questa mia considerazione fatta nella foga del momento. Sono troppe le scelte di Francesco che oggi suscitano una certa perplessità, e una di queste è il famoso processo per il palazzo di Sloane Avenue a Londra.
Le indagini per tale procedimento hanno segnato una vera svolta nell’ordinamento giuridico dello Stato della Città del Vaticano. Mi sono chiesto spesso come avrebbero affrontato questo processo Federico Cammeo e Francesco Pacelli [i due giuristi che disegnarono l’assetto istituzionale dello Stato della Città del Vaticano con i Patti lateranensi, NdT]. Essi ebbero un ruolo fondamentale nel delineare le basi giuridiche di questo sistema giuridico praticamente sconosciuto alla maggior parte degli abitanti d’Oltretevere.
Tali indagini sono del tutto anormali perché non hanno seguito l’iter procedurale previsto dal “codice di rito” vigente in Vaticano. Anzi, sono state autorizzate da Francesco con un atto personalissimo, i Rescripta, che autorizza il promotore di giustizia a indagare a tutto gas senza alcuna limitazione. È un vero stato di polizia.
Ovviamente nessuno era a conoscenza di questi documenti, mai resi pubblici dal Vaticano. Solo nel luglio 2021 la loro esistenza è diventata di dominio pubblico perché depositata nella cancelleria del Tribunale vaticano. Per fortuna, Silere non possum ha pubblicato questi documenti, che tutti possono consultare.
Le persone coinvolte in questo processo sono diverse e sono responsabili di diversi reati, soprattutto finanziari. La persona che si trova anche sotto i riflettori della stampa è il cardinale Giovanni Angelo Becciu. È il primo cardinale di Santa Romana Chiesa a trovarsi sotto processo. Infatti, con il motu proprio Modifica della giurisdizione degli organi giudiziari dello Stato della Città del Vaticano, del 30 aprile 2021, il papa ha abrogato la norma che prevedeva la Corte di Cassazione come unico organo deputato a giudicare i cardinali, principi della Chiesa.
Questo motu proprio, però, è arrivato dopo che il papa ha ricevuto comunicazione dell’esito delle indagini da parte dei Promotori di giustizia. Il 24 settembre 2020, infatti, il papa ha chiesto al cardinale di “rinunciare ai diritti legati al cardinalato”. Sia i Rescripta sia questo motu proprio diventano, così, leggi ad personam, non accettabili in uno Stato di diritto.
Ciò che deve essere chiaro ai lettori è che il sistema dello Stato della Città del Vaticano è rispettoso dei diritti umani, e negli ultimi anni sono state specificate anche sostanziali garanzie, come il diritto alla difesa e il diritto a un processo equo e con tempi ragionevoli.
Questo non sorprende. Prenderò a esempio la Corte europea dei diritti dell’uomo, organismo che non è competente per il Vaticano perché la Santa Sede non è firmataria della Convenzione europea relativa ai diritti umani. Quando uno Stato è ritenuto responsabile di violazioni della Convenzione, il più delle volte non è contestato per una legge che viola questi principi, ma per il comportamento di determinati organi (polizia, magistrati, organi politici). È quindi sbagliato sostenere che lo Stato della Città del Vaticano violi, a priori, i diritti umani. Infatti, dire che questo sistema non rispetta i diritti fondamentali dell’essere umano non è corretto. Il problema qui è diverso. Illegittimi, sia per i diritti umani sia per i principi che regolano uno Stato di diritto, sono alcuni atti del pontefice regnante. Dobbiamo anche ricordare che, a differenza di quanto stabilito da Pio XI, il sommo pontefice Giovanni Paolo II nella nuova Legge fondamentale del 2000 stabilì che il potere legislativo è esercitato, in via ordinaria, dalla Commissione cardinalizia (art. 3).
Questa disposizione normativa, però, durante il pontificato di Francesco, è stata del tutto accantonata. Sono pochissime le leggi dello Stato promulgate dalla Commissione. Al contrario, sono molti i motu proprio del papa. Ciò spiega perché in Vaticano questa modalità di governo non è apprezzata.
Purtroppo Francesco ha spesso preso decisioni da solo, senza accettare consigli da nessuno. Anche per questo processo a Sloane Avenue molto spesso gli è stato detto che non c’erano le condizioni per procedere con il processo perché ci sono numerosi problemi procedurali e i promotori di Giustizia hanno commesso troppi errori.
Alessandro Diddi, incaricato dell’indagine, è professore associato di diritto processuale penale all’Università della Calabria, ma non ha mai studiato Diritto canonico o Diritto vaticano. L’ordinamento giuridico del Vaticano, infatti, non è quello italiano e soprattutto risente molto del diritto canonico che è il diritto fondamentale della Chiesa. Francesco, però, non ha voluto ascoltare nessuno e ha deciso di provare a tutti i costi queste persone.
Il processo è ora entrato nella sua fase cruciale e la maggior parte degli imputati ha già testimoniato. Dalle loro testimonianze, però, emergono dettagli che non possono che creare imbarazzo alla Santa Sede. Innanzitutto, è chiaro che il papa era consapevole di questo investimento. Gli imputati hanno dimostrato di essere non solo informati, ma anche che fu chiesto loro di concludere la transazione con Gianluigi Torzi e di non denunciare nulla perché avrebbe creato un danno d’immagine.
Il papa dovrebbe essere una vittima, ma ora si scopre che è un complice? Inoltre, è chiaro che in questa vicenda sono stati coinvolti anche i massimi livelli della Segreteria di Stato, che non hanno potuto gestire un investimento così importante e pericoloso per le casse della Santa Sede. In questo enorme scandalo il cardinale Pietro Parolin, prelato con una lunga carriera diplomatica, ha dato l’ennesima prova di incompetenza. Nell’ultima udienza è emerso, da una memoria depositata da uno degli imputati, che egli ha persino raccolto dossier sulla moralità del suo sostituto per gli Affari generali, monsignor Peña Parra.
L’uomo che ha firmato i documenti che hanno sconvolto la Santa Sede, monsignor Alberto Perlasca, è stato ora costituito dai promotori di Giustizia come pentito e grande testimone. Il sacerdote, però, ha una grande responsabilità perché era il capo dell’ufficio amministrativo e il cardinale Angelo Becciu si fidava ciecamente di ciò che lui faceva. È chiaro che il sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato non può avere il controllo totale della Santa Sede: i suoi compiti sono tanti ed è impensabile che legga ossequiosamente tutto ciò che gli viene presentato. Compito dei suoi collaboratori è proprio quello di svolgere al meglio il proprio lavoro e di sottoporre tutto all’approvazione del sostituto. Va inoltre ricordato che i prelati ai quali è affidato questo compito non sempre hanno conoscenze giuridiche o amministrative, pertanto è chiaro che si rivolgono a coloro che hanno maggiori competenze e hanno affrontato un percorso formativo specifico.
Anche questo dettaglio è molto interessante. Sia il segretario di Stato che il nuovo sostituto per gli Affari generali non sono accusati in questo processo. Dagli atti investigativi, però, emerge che queste persone erano a conoscenza di quanto stava accadendo e autorizzavano tutte le operazioni.
Per questo, come dicevo all’inizio, il processo creerà un danno enorme al pontificato di Francesco, ma soprattutto alla Santa Sede. In questi mesi sui giornali sono finite tante questioni che avrebbero dovuto rimanere riservate per il bene dello Stato e della Chiesa stessa, ma purtroppo Francesco ha scelto di procedere in modi che per lui saranno un vero boomerang.
Sta emergendo chiaramente che Francesco non è il papa del vero cambiamento e della trasparenza ma, come tutti, ha i suoi interessi e le sue preferenze. Proprio come negli scandali emersi negli ultimi anni. Il papa ha scelto di procedere con tolleranza zero verso i nemici, ma ha usato “misericordia e passione” con gli amici. Monsignor Oscar Zanchetta, accusato di aver molestato seminaristi, è stato chiamato in Vaticano e gli è stata garantita completa protezione. Il cardinale Barbarin, invece, è stato inviato in Francia per affrontare il processo. Il risultato? Monsignor Zanchetta in Argentina è stato condannato a quattro anni di reclusione, mentre il cardinale Barbarin è stato assolto perché estraneo ai fatti. Perciò il castello (costruito anche dai media, forse speranzosi e non in malafede) che descriveva Francesco come l’uomo che avrebbe cambiato la Chiesa e ripulito la corruzione è crollato.
È vero quanto ha detto il cardinale Becciu nell’ultima udienza: Omnia munda mundis.
Fonte: silerenonpossum.it
Titolo originale: The Sloane Avenue Trial: Pope Francis’ Mistake