Dopo il massacro della Messa di Pentecoste, l’esperto di libertà religiosa Stephen Rasche discute delle recenti violenze contro i cristiani nigeriani, e di ciò che i cattolici di tutto il mondo possono fare per aiutare.
Stephen Rasche è ricercatore senior per la politica internazionale sulla libertà religiosa presso il Religious Freedom Institute. Vanta oltre trentacinque anni di esperienza in progetti di affari internazionali e di aiuto umanitario in Medio Oriente, Africa, Asia e America Latina, gran parte dei quali in località ad alto rischio.
Autore di The Disappearing People: The Tragic Fate of Christians in the Middle East, Rasche nel 2014 è stato tra i fondatori dell’Università Cattolica di Erbil, dove attualmente fa parte del consiglio di amministrazione. Ha servito come rappresentante ufficiale presso il Dicastero vaticano per i rifugiati e i migranti ed è membro della Commissione storica presso il postulatore vaticano nella causa in corso per riconoscere il martirio del sacerdote caldeo iracheno Ragheed Ganni e tre diaconi iracheni assassinati. È anche consigliere dell’arcidiocesi caldea di Erbil.
Dal 2019, Rasche ha intrapreso un ulteriore percorso di lavoro allo scopo di mettere a disposizione la sua esperienza in Iraq per contrastare la persecuzione dei cristiani in Nigeria. Attualmente è visiting scholar presso il Kukah Center di Abuja, dove il suo lavoro si concentra sulla difficile situazione degli sfollati interni.
Qui vi propongo la traduzione dell’intervista che ha concesso a Edward Pentin dopo il massacro di Pentecoste, nel quale sono morti cinquanta cristiani nigeriani.
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di Edward Pentin
Lei è appena rientrato dal suo ultimo periodo di lavoro in Nigeria: qual è il suo lavoro nel paese africano e in che modo è collegato con l’impegno a favore dei cristiani perseguitati in Iraq?
Ho iniziato a lavorare in Nigeria due anni fa, nell’ambito di un progetto finanziato dai Cavalieri di Colombo per raccogliere informazioni sui cristiani perseguitati nel nord del Paese. L’idea è nata dal precedente lavoro in Iraq, anche quello in gran parte finanziato dai Cavalieri, in cui abbiamo cercato di portare un messaggio efficace al mondo su ciò che stava accadendo alle minoranze religiose irachene in seguito alla guerra dell’Isis.
Nel corso del tempo, prima in Iraq e ora anche in Nigeria, questo sforzo si è evoluto in un lavoro all’interno della Chiesa per rispondere alla violenza che circonda i cristiani, così da mostrare chiaramente il nucleo della nostra testimonianza cristiana, che cosa possiamo effettivamente essere quando usciamo e servire. La Chiesa operante in queste zone di conflitto si confronta direttamente con questi problemi in un modo del tutto diverso dalle controversie dottrinali e politiche che sembrano assorbire tutte le nostre energie in Occidente.
In Iraq, la Chiesa ha risposto all’Isis costruendo ospedali, scuole, alloggi per gli sfollati, e aprendo un’università per gli studenti costretti ad abbandonare le loro case. In Nigeria stiamo seguendo la lezione appresa in Iraq, e quindi c’è un profondo collegamento tra le due realtà. Le priorità del nostro lavoro ora sono la costruzione di un ospedale, cliniche mediche e una scuola per infermieri, e lo sviluppo di programmi di aiuto e sviluppo. Interventi che serviranno tutte le fedi, e al loro servizio, speriamo, parleranno da sole.
Una cosa fondamentale in entrambi i luoghi è la leadership all’interno della Chiesa. Un lavoro come il mio non andrebbe da nessuna parte senza questa leadership e il supporto sul campo.
In Iraq abbiamo l’arcivescovo Warda e il vescovo Thabet Habib Al Mekko e un gruppo di sacerdoti e di suore davvero bravi. In Nigeria sto lavorando direttamente con il vescovo Matthew Kukah e il vescovo Stephen Dami Mamza. Questi vescovi sono grandi uomini, di grande coraggio, che affrontano minacce reali, senza mai smettere di essere pastori del loro popolo. Personalmente posso dire che è una cosa profondamente gratificante far parte della Chiesa cattolica in azione con uomini come questi.
L’orribile omicidio da parte di una folla, all’inizio di questo mese, di Deborah Emmanuel Yakubu, una studentessa del Nord della Nigeria ritenuta responsabile di aver pubblicato una dichiarazione blasfema contro Maometto, e lo scioccante massacro dei cristiani lo scorso fine settimana alla Messa di Pentecoste, nello Stato di Ondo, hanno focalizzato l’attenzione internazionale sulla Nigeria, i cristiani e i persistenti abusi che essi subiscono da parte degli islamisti radicali. Dopo la sua ultima visita, come vede la situazione dei cristiani perseguitati in Nigeria? Sta peggiorando? E perché i cristiani vengono attaccati così brutalmente?
L’omicidio di Deborah è stato davvero qualcosa di scioccante, anche per gran parte della comunità musulmana. Lo stesso Sultano di Sokoto, lo stato in cui è avvenuto l’omicidio, si è espresso pubblicamente contro di esso. Il vescovo Kukah, che guida la diocesi di Sokoto, ha fatto del suo meglio per mantenere la calma, chiedendo giustizia in risposta a questo atto criminale e cercando di non infiammare ulteriormente il chiaro elemento religioso insito nell’omicidio.
La possibilità di una grave violenza diffusa era dietro l’angolo e la sua leadership è stato forse il motivo principale per cui la situazione non è sfuggita di mano. Tuttavia, in risposta il vescovo ha ricevuto aperte minacce di morte da membri della comunità islamica secondo i quali Deborah aveva bestemmiato e quindi ucciderla è stata una risposta corretta e non è stato commesso alcun crimine che giustificasse accuse penali contro gli assassini. Secondo loro, il vescovo Kukah ha quindi sbagliato a chiedere giustizia, e anche lui dovrebbe essere messo a morte.
Ci sono state richieste da parte della comunità cristiana e di altri affinché il governo agisse contro coloro che minacciavano, ma finora non se ne è fatto nulla. In Nigeria l’impunità dilaga.
Il massacro dello scorso fine settimana nello stato di Ondo, nel profondo della Nigeria meridionale a maggioranza cristiana, dimostra chiaramente che questa cultura dell’impunità, cresciuta negli ultimi anni, è ormai fuori controllo. Si ritiene che gli uomini armati responsabili degli attacchi fossero pastori musulmani Fulani, ora diventati banditi itineranti, che si stanno muovendo attraverso le foreste del paese per tentare di mostrare la loro potenza e capacità di colpire anche nel Sud. Non è chiaro quali siano le loro esatte richieste, ma è evidente che nessun luogo è sicuro e che useranno cristiani innocenti per dimostrarlo. Certamente la strada da percorrere è molto oscura in questo momento.
Una cosa assolutamente chiara è il totale fallimento dell’attuale governo nigeriano nel proteggere il suo popolo, e in particolare i cristiani, dalla violenza. Alla luce di questi attacchi, che certamente continueranno, la decisione dell’amministrazione Biden, alla fine dello scorso anno, di rimuovere la Nigeria dall’elenco statunitense dei Paesi di particolare preoccupazione per quanto riguarda le violenze e le persecuzioni che colpiscono la libertà religiosa, sembra molto più di un semplice errore. I cristiani nigeriani furono profondamente scoraggiati quando la decisione venne annunciata dal segretario Blinken, e ora ci sono sicuramente molte voci che indicano in questa decisione uno specifico fattore che contribuisce all’escalation delle violenze contro i cristiani.
Non si può distogliere lo sguardo dal fatto che la rimozione della Nigeria dall’elenco dei Paesi di particolare preoccupazione è stata un precursore della vendita da parte degli Stati Uniti di armi più avanzate al governo nigeriano, il quale non ha finora fatto nulla per influenzare un cambiamento positivo nel paese.
Padre Joseph Akete Bako è stato l’ultimo sacerdote a essere rapito, ed è morto di malattia mentre era in prigionia. Altri sacerdoti nigeriani sono stati uccisi negli ultimi anni. Quali sono le cause di questi rapimenti? Quali misure sono state messe in atto per fermarli e cos’altro si deve fare? Il governo ha vietato tutti i riscatti, ma è sufficiente?
La questione non è il governo che non fa abbastanza: è che il governo non fa nulla. Prove crescenti indicano che i membri della polizia e dell’esercito sono non solo inefficaci, ma anche complici. Tutto ciò deriva da un crollo della leadership e del controllo del paese che ha provocato caos crescente in tutto il Nord e nelle regioni centrali, e anche ora nel Sud. Le principali autostrade sono regolarmente bloccate e perquisite da grandi gruppi di banditi in motocicletta. Le ferrovie e persino gli aeroporti sono attaccati da questi stessi gruppi.
Non c’è dubbio che in tutto ciò vi sia un reale elemento di persecuzione religiosa. In primo luogo, da parte di Boko Haram nel Nord-Est, poi con l’Iswap [Islamic State West Africa Province] in tutto il Nord, e ora con i banditi Fulani apparentemente in tutto il paese. E tutto ciò avviene dopo che al Nord da quasi un secolo ormai c’è una sistematica persecuzione ed emarginazione dei cristiani.
Ma poiché questa situazione è andata fuori controllo, ora sta colpendo anche molti musulmani. La prossima primavera ci saranno le elezioni presidenziali e molti sperano che un nuovo governo possa iniziare a riportare le cose sotto un certo controllo. Ma la maggior parte si aspetta che la situazione peggiori prima di allora e che i cristiani continueranno a soffrire.
Nonostante tutte queste difficoltà, la fede sta esplodendo in Nigeria. Può condividere alcune storie e riflessioni su quanto la fede sia viva nel Paese?
In questi ultimi due anni ho potuto partecipare a Messe in dozzine di chiese in tutta la Nigeria settentrionale e centrale, dalle cattedrali che ne ospitano migliaia fino alle minuscole chiese di montagna, accessibili solo con lunghi viaggi a piedi. In ogni luogo ho assistito alla stessa cosa: grande gioia e profonda partecipazione.
È davvero sorprendente vedere una Messa in cui tutti i fedeli passano senza problemi dall’uso della propria lingua madre all’inglese (una delle lingue ufficiali della Nigeria) e poi agli inni e alle preghiere in latino, e poi di nuovo ai canti tipici locali. In chiese fatiscenti oppure costruite solo in parte ho assistito ad adorazioni eucaristiche straordinariamente profonde e belle. E ovunque io sia stato le chiese stanno crescendo, davvero traboccando.
Perché secondo lei la fede è così forte lì?
Non puoi passare del tempo in queste aree, nel mio caso l’Iraq e ora la Nigeria, dove c’è vera povertà, vera persecuzione, una vera forzatura delle persone alle periferie, senza vedere che la fede si rafforza man mano che la situazione peggiora. Non intendo dire che la fede sia una semplice panacea, qualcosa di cui le persone sono alla disperata ricerca per potervisi attaccare. Voglio dire che questi fedeli camminano con Cristo in un modo profondamente diverso, forse profondamente più autentico. Penso che, se potessero vederla con i loro occhi, questa testimonianza darebbe alla maggior parte degli osservatori occidentali una grande speranza nella Chiesa e nella fede.
Quali altri segni di speranza vede in Nigeria per la Chiesa?
In termini di popolazione, la Nigeria è il paese più grande dell’Africa. Dei suoi oltre duecento milioni di abitanti, almeno trenta milioni sono cattolici romani e quasi tutti vanno a Messa ogni domenica. E nonostante il pericolo reale per sacerdoti e religiosi, le vocazioni sono in forte espansione. I seminari sono pieni e non c’è luogo dove le chiese si chiudano.
Avete in programma di tornare lì? E cosa possono fare i fedeli comuni negli Stati Uniti e altrove per aiutare i cristiani della Nigeria?
Il mio impegno lavorativo è ora a lungo termine e mi aspetto di continuare a lavorare lì per il prossimo futuro. In questi ultimi due anni ho sviluppato profonde amicizie e non vedo l’ora di continuare come parte significativa della Chiesa e del servizio che essa sta cercando di svolgere. Ovviamente ho anche il lavoro in Iraq, quindi sono sicuro che trascorrerò molto del mio tempo da quella parte del mondo.
Per quanto riguarda l’aiuto dei fedeli in Occidente, naturalmente, prima di tutto, ci sono la preghiera e la solidarietà. C’è una reale preoccupazione in Nigeria, che mi è stata espressa sia dal clero sia dai laici, e cioè che l’attuale situazione in Ucraina, che è ovviamente una questione prioritaria e umanitaria di proporzioni immense, eclissi tutti gli altri luoghi di bisogno nel mondo.
Queste situazioni non hanno mai soluzioni facili e veloci. Gli emarginati continuano a soffrire anche se la telecamera e la nostra attenzione si spostano. Ad esempio, i cristiani in Iraq continuano a soffrire in tutto il Paese, compresa la grave e deludente emarginazione all’interno della regione del Kurdistan, dove il loro futuro resta ancora seriamente a rischio. Eppure la situazione di queste popolazioni è quasi scomparsa dalla nostra attenzione e preoccupazione di occidentali. Il primo modo per riequilibrare è pregare per gli emarginati e i sofferenti in tutto il mondo. La Nigeria e l’Iraq dovrebbero essere su tutte le nostre liste.
Inoltre, negli Stati Uniti e nell’Unione europea, possiamo chiedere di più ai nostri leader, sia politici sia religiosi. Va detto chiaramente che i tentativi di inquadrare questi massacri e crimini brutali come questioni riguardanti il cambiamento climatico o altri problemi di giustizia sociale sono sbagliati. Non è stato il cambiamento climatico a uccidere i fedeli che nella Messa di Pentecoste erano seduti pacificamente in chiesa a Owo. Per queste situazioni non c’è speranza di miglioramento se in Occidente, a fronte di ciò che sta effettivamente accadendo, continuiamo a inventare storie di copertura per adattarle alle nostre narrazioni.
Da un punto di vista pratico, per coloro che desiderano fare donazioni per aiutare i loro fratelli e sorelle in Nigeria, i Cavalieri di Colombo e l’Aiuto alla Chiesa che soffre stanno entrambi attivamente sostenendo un lavoro molto positivo.
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Titolo originale: In Nigeria, Faith Is Flourishing in the Face of the Deadly Persecution of Catholics
Fonte: ncregister.com