di Corrado Gnerre
Sta avendo molta eco il discorso che papa Francesco ha fatto recentemente al clero siciliano. Un discorso dove ha stigmatizzato un certo attaccamento alla forma nella celebrazione eucaristica. Il Papa ha parlato esplicitamente di “merletti della nonna”.
Ovviamente mi preme fare una premessa che potrei anche non fare, perché si tratta solo di una premessa di buon senso, ma in questi tempi è sempre bene precisare -anche usque ad nauseam- per non essere equivocato.
La premessa riguarda il giusto rapporto che deve esserci tra forma e sostanza. È evidente che la forma, svolgendo una funzione espressiva (cioè significativa) della sostanza, non può né fagocitare né tantomeno sostituire la sostanza stessa. Altrimenti si cadrebbe in quel che viene definito “formalismo”, che è una palese ipocrisia.
Ma se è vero questo, è pur vero che non si può concepire la sostanza senza la forma, perché questa è indispensabile per la comprensione dell’uomo. Di esempi se ne potrebbero fare tanti. Basterebbe pensare a Gesù che per i sacramenti ha voluto che ci fosse una materia per significare una realtà (la grazia) di per sé non visibile. Nel Battesimo ordinario non è certamente l’acqua ciò che toglie il peccato, ma senza l’acqua non è possibile significare la realtà invisibile della grazia. Ogni sacramento è infatti segno efficace della grazia.
Ma non solo questo. Va anche detto che la forma deve essere sempre proporzionata alla sostanza a cui è legata. Come può esserci un problema di eccesso, può esserci anche un problema di difetto. Più la sostanza è alta e più la forma deve essere altrettanto alta.
Veniamo adesso alla questione della celebrazione della Messa. Certamente queste cose non le dico al Papa (sarebbe ridicolo), mi permetto solo di ricordarlo a chi legge il C3S. La Messa è il più grande atto di culto che possa esserci, perché in essa ad offrirsi a Dio è Dio stesso nella persona del Figlio. Ogni Messa è la riattualizzazione vera, anche se incruenta, del Sacrificio del Calvario. Dunque, ogni Messa ha un valore infinito ed in un certo qual modo è il centro della realtà (l’universo intero) e della Storia, perché la Redenzione, operata da Cristo sul Calvario, ha salvato l’universo intero e tutta la Storia.
Banalizzare, credere che questo mistero umanamente inimmaginabile possa essere significato anche con un minimalismo ed un essenzialismo pauperistico sarebbe contro la sostanza della Messa in sé. Sarebbe sproporzionato.
Certamente la forma non può essere una conditio sine qua non, per cui se non c’è una forma massimamente degna non si possa e non si debba celebrare la Messa. Possono esserci tante situazioni in cui la Messa vada celebrata indipendentemente dalla forma, sempre però utilizzando un rituale e un canone autenticamente -e non ambiguamente- cattolici. Ma ciò è ben altra cosa dal far capire che nella Messa debba necessariamente esserci una forma minimalista e pauperista.
Dovremmo piuttosto tener presente che nessuna eleganza formale può essere adeguatamente rispondente all’altezza incommensurabile del Mistero di ogni Messa. Quindi c’è sempre un difetto, mai un eccesso.
Si badi che gli stessi apostoli dell’autentica povertà (che non è il pauperismo) hanno parlato e agito con chiarezza. San Francesco, che pretendeva la massima povertà per i suoi frati, desiderava che per la liturgia vi fosse anche sfarzo. Lessi tempo fa che arrivava perfino dire che le chiese dovevano essere broccate di oro e di argento, e che voleva che i paramenti dei sacerdoti fossero rifiniti anche con l’oro. Si pensi a quelli che al tempo cucivano le clarisse. Insomma, la povertà per l’uomo, ma non per Dio.
San Francesco, sempre lui, si addolorava quando vedeva una chiesa trasandata e sporca. Si racconta che quando capitava in qualche chiesa trasandata, si facesse dare una scopa per ramazzarla di persona.
Queste cose erano già presenti nell’Antico Testamento dove si esigeva una cura precisa della forma per il sacrificio celebrato al Tempio. Riporto ciò che scrive il cardinale Giovanni Bona in Mistero d’Amore. Meditazione sul culto eucaristico: “Dio, nell’Antico Testamento, minacciava di morte il sommo sacerdote che avesse osato entrare nel Sancta Sanctorum (…), senza indossare i paramenti sacri, ornati di pietre preziose e di oro rifulgente, e senza il rivestimento delle virtù. E, allora, a quale pena non andrà incontro il sacerdote della Nuova Alleanza che si avvicini a ciò che non è un’arca simbolica, ma Dio stesso, per immolare, toccare e mangiare Gesù, Figlio suo e Signore nostro, se non lo fa con la venerazione e l’attenzione che merita un tale convito?”.
Dunque, offrire la bellezza a Dio è un dovere. Perché? Perché Dio è Bellezza. E’ logica, nient’altro che logica.
Ma è un dovere che è anche un proficuo apostolato. Mi viene in mente la conversione di san Nicolò Stenone (1638-1686), scienziato ed ex-protestante danese. A Livorno, lo commosse la processione del Corpus Domini, dove al vedere portare in processione con tanta solennità l’Ostia santa, pensò: “O quell’Ostia è un semplice pezzo di pane, e pazzi sono coloro che le fanno tanti ossequi; o qui c’è davvero il Corpo di Cristo, e allora perché non l’onoro anch’io?”. Cosa sarebbe accaduto se san Nicolò Stenone fosse vissuto oggi e avesse visto come oggi si “onora” l’Eucaristia?
Concludendo, rammarica dover constatare quanto nella Chiesa attuale sia sempre più evidente la mancanza di senso storico. Chesterton giustamente dice che per andare troppo di fretta, si finisce sempre con l’arrivare in ritardo. È proprio così. La Chiesa negli ultimi tempi si è fatta prendere dalla paranoia d’inseguire la Storia, di storicizzare tutto, di diventare una sorta di cortigiana del Tempo e del Mondo… e poi? E poi paradossalmente mostra di aver perso il più elementare realismo storico. Oggi come oggi, il problema sono davvero le liturgie con merletti, incenso e silenzi, oppure le tante banalizzazioni, profanazioni e ridicolaggini, a causa delle quali nessuno più sa cosa sia davvero la Messa?
Sant’Ignazio di Loyola, fondatore dei Gesuiti, nel discernimento degli spiriti all’interno dei suoi Esercizi, dice che per resistere contro le tentazioni del demonio bisogna prima di tutto rafforzare i propri punti deboli e su questi passare al contrattacco, cioè agere contra. Esempio: se con l’auto devo affrontare una ripidissima discesa, sono costretto a lavorare con il pedale del freno. Sarei come minimo imprudente se invece di frenare, accelerassi.
Mi fermo qui. Penso abbiate capito.
Dio è Verità, Bontà e Bellezza
Fonte: itresentieri.it