Francescani tedeschi che eleggono un superiore dichiaratamente gay; il vescovo di Coira, in Svizzera, che obbliga tutti coloro che lavorano per la diocesi a firmare un documento “arcobaleno”; e padre James Martin che, nel mese di giugno, vede complementari il Sacro Cuore di Gesù con i Gay Pride. L’ondata Lgbt appare inarrestabile, mentre da Roma prosegue il silenzio.
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di Riccardo Cascioli
Quello che si sta abbattendo sulla Chiesa ormai è un vero e proprio tsunami Lgbt. Scrivevamo qualche giorno fa che «non passa settimana e a volte giorno, che non ci sia una qualche iniziativa omosessualista nella Chiesa»: eravamo troppo ottimisti, in realtà negli ultimi giorni è stato un moltiplicarsi di eventi di promozione Lgbt. Proviamo a citare i casi più clamorosi, dopo la benedizione della coppia gay a Bologna di cui abbiamo parlato mercoledì 15 giugno, per cui attendiamo ancora una presa di posizione della diocesi.
In Germania, 300 francescani della provincia di Santa Elisabetta hanno eletto come nuovo superiore padre Markus Fuhrmann, appena poche settimane dopo che quest’ultimo si era pubblicamente dichiarato omosessuale. Dunque non si tratta di un caso isolato, ma di una intera provincia francescana che trova l’omosessualità come un punto di merito, voglia di «innovazione nella Chiesa», come ha detto padre Fuhrmann, che ovviamente è favorevole all’abolizione del celibato sacerdotale e all’ordinazione delle donne. Interessante questa dichiarazione del nuovo provinciale dei francescani a proposito del suo coming out: «Se io stesso sono gay, allora voglio dimostrare che posso essere parte della Chiesa in questo ministero. Questo è importante perché per la Chiesa non dovrebbe essere così. Purtroppo c’è troppa ipocrisia istituzionale nella Chiesa». Quello che emerge da queste parole è che siamo di fronte a un vero e proprio lavoro di infiltrazione: si entra nei seminari e negli ordini religiosi celando la propria omosessualità (ammesso che non si entri in luoghi di formazione già corrotti) con l’obiettivo di cambiare la dottrina della Chiesa, ridurla a pura istituzione umana.
Scendiamo un po’ più giù, in Svizzera, diocesi di Coira per l’esattezza: riferisce il sito rossoporpora.org che qui il vescovo Joseph Maria Bonnemain ha varato un codice anti-abusi che tutti i preti e quanti lavorano per la diocesi hanno l’obbligo di firmare. Nel lungo documento c’è una sezione che già dal titolo è tutta un programma: «Come rispettare l’autodeterminazione sessuale?». Ed ecco le risposte: «Io rinuncio a valutazioni globalmente negative su pretesi comportamenti non biblici in materia di orientamento sessuale»; «Riconosco i diritti sessuali come diritti umani, in particolare il diritto all’autodeterminazione sessuale». «Nei colloqui pastorali non parlo spontaneamente di temi legati alla sessualità». «Tralascio qualsiasi forma di discriminazione fondata su orientamento sessuale o identità».
Un bel “liberi tutti” che qualcuno in diocesi non ha preso bene, e 44 sacerdoti (su circa 500 presenti in diocesi) hanno firmato una petizione per chiedere al vescovo che ritiri il codice e convochi una commissione per rivedere queste parti del testo. «Ci duole molto – scrivono nella petizione – che il vescovo diocesano abbia offerto la possibilità all’ideologia Lgbt di impiantarsi nella Chiesa sotto la copertura pretestuosa della prevenzione degli abusi, così da espellerne l’insegnamento di fede».
Il vescovo ha già risposto picche con una lettera il 14 giugno in cui pretende che tutti firmino il documento perché i passaggi contestati del Codice sono in sintonia con l’insegnamento della Chiesa. Monsignor Bonnemain evidentemente ha le idee un po’ confuse sull’insegnamento della Chiesa visto che da nessuna parte del Magistero si parla di orientamenti sessuali, men che meno di autodeterminazione sessuale. Oppure non ce le ha confuse, semplicemente usa la seconda strategia per cambiare la dottrina della Chiesa: farlo facendo finta di rispettarla. In compenso commette anche un inaudito abuso di potere, vincolando il servizio alla diocesi a una ideologia.
C’è anche una terza modalità per affermare il vangelo Lgbt: rileggere le Scritture e la Tradizione alla luce della nuova ideologia religiosa. Così che miracolosamente tutta la storia della Chiesa parla di come non ci sia nulla di male nell’omosessualità, e anzi, tante figure bibliche incarnano la realtà Lgbt. Maestro in questa manipolazione è il celeberrimo padre James Martin, gesuita americano che ha avuto anche l’onore di essere invitato come relatore all’Incontro mondiale delle Famiglie a Dublino nel 2018. E infatti proprio in questi giorni ha scritto un articolo per una rivista Lgbtq cattolica, Outreach, in cui spiega la fortunata coincidenza di giugno, mese sia del Sacro Cuore di Gesù, sia dei Gay Pride, due ricorrenze che sarebbero «profondamente complementari». Chi l’avrebbe immaginato? L’affermazione suona un po’ blasfema, ma poi dopo aver letto l’articolo si ha proprio la certezza: è blasfema.
Gesù ama, e ama soprattutto coloro che sono ai margini, ci spiega padre Martin, e chi oggi è più ai margini dei gay? Già, praticamente hanno in mano il potere politico mondiale, quello economico e anche il circuito dei media però la narrazione prevede che siano gli emarginati. Insomma, dopo aver fatto una rilettura creativa dei vangeli, padre Martin arriva alla conclusione: il mese del Sacro Cuore «ci mostra come Gesù ha amato», il mese dei Pride invece «ci mostra chi Gesù ci chiama ad amare». Tutti ai Gay Pride allora, con il Sacro Cuore: peccato che finora ai Gay Pride di immagine sacre ne sono state viste, ma solo per bestemmiarle.
Ovviamente i francescani tedeschi non saranno commissariati; nella diocesi di Coira non ci saranno visite apostoliche o richieste di dimissioni; e padre Martin sarà sempre più un teologo ascoltato a Roma. Lo tsunami può solo diventare più violento.
Fonte: lanuovabq.it