Un report sui filorussi imbarazza il Partito Democratico. L’onorevole Andrea Romano lo ha presentato ieri alla Camera in una conferenza stampa alla quale hanno dato forfait la responsabile esteri del partito Lia Quartapelle e Riccardo Magi di +Europa. E questo perché il documento, Disinformazione sul conflitto russo-ucraino, curato dalle organizzazioni non governative Federazione italiana diritti umani e Open Dialogue, è piuttosto confuso. Visto che infila in un calderone putiniano Alessandro Orsini e Corrado Augias insieme a Oliver Stone per un’intervista a Vladimir Putin. La “colpa” di Augias è quella di aver condotto una puntata di Rebus intervistando lo storico Alessandro Barbero.
«Putiniano a chi?»
Le due ong spiegano oggi a Repubblica che per disinformazione intendono «la diffusione non di opinioni, che sono legittime, ma di fatti, dati e argomentazioni che non trovano riscontro nella realtà» e sostengono che Pd e + Europa non abbiano avuto alcun ruolo nella stesura del report. Mentre Romano, che ha prenotato la sala per l’evento, dice che «il tema della penetrazione della disinformazione russa in Italia sia sotto gli occhi di tutti. Purtroppo cammina anche sulle gambe di giornalisti validissimi che, spesso in modo inconsapevole, non contrappongono alla disinformazione putiniana i fatti per come essi sono. E i fatti vengono sempre prima delle opinioni che sono tutte legittime».
La risposta migliore però è quella di Augias. Che proprio su Repubblica replica così: «Cadono le braccia. Non per l’accusa insensata ma per i suoi estensori. Mi chiedo dove prendano le loro informazioni, con quale criterio, quale preparazione, le valutino. Sono andato con la memoria alla ricerca di una possibile fonte. Credo di averla trovata nel fatto che, nel corso del programma Rebus (Raitre), ho detto che bisogna anche tenere presenti le ragioni storiche che possono aver motivato il dittatore russo nella sua aggressione all’Ucraina. Il sottotitolo del programma è il celebre motto virgiliano “Rerum cognoscere causas”, cercare di capire perché le cose avvengono». E infine: «Esorto gli estensori dell’accusa a coltivare la lettura e, volendo, a qualche parola di rammarico».
Fonte: open.online
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E nella lista nera finisce chi fa vera informazione
I dem, con portavoce l’onorevole Andrea Romano, hanno deciso di portare in Parlamento una black list in cui sono stati inseriti – come già aveva riportato il Corriere – tutte quelle personalità considerate filo-putiniane e portatrici di disinformazione riguardo al conflitto ucraino-russo. Se personaggi come Alessandro Orsini e Toni Capuozzo sono ormai i veterani dei cattivoni, alla lista – redatta da Pd con l’appoggio di +Europa – si aggiunge un’altra schiera tra giornalisti, opinionisti e professionisti dell’informazione. È il turno, infatti, tra i tanti, di Corrado Augias, Gian Micalessin, Sigfredo Ranucci, Marc Innaro e addirittura Oliver Stone, incolpato di aver intervistato Vladimir Putin.
Il dossier contro i “putiniani”
L’accusa è quella di uno stravolgimento palese dell’informazione sulla Russia e di una “penetrazione massiccia della disinformazione russa attraverso canali televisivi privati, pubblici e attraverso la stampa”. Nel dossier a cura della Federazione italiana diritti umani, con vicepresidente Eleonora Mongelli che era presente alla conferenza stampa insieme ad altri ospiti, tra cui il dem Romano, si legge: “Dall’inizio del conflitto in Ucraina, speculazioni e contenuti propagandistici sono stati diffusi sul web e nei media italiani. Anche la Rai si è spesso prestata alla diffusione di falsi miti o ideologie che tendono a sostenere la visione russa”.
L’attacco del dem Romano
È lampante la totale falsità di tali affermazioni, in quanto è innegabile che, dal primo giorno di guerra, l’informazione è andata certamente a senso unico ma solo ed esclusivamente nei confronti dell’Ucraina. Le poche “pecore nere” che hanno cercato di argomentare una visione quantomeno più generale si sono immediatamente ritrovate all’angolo, vedi Toni Capuozzo e Alessandro Orsini che si è visto chiudere il suo Osservatorio dalla prestigiosa Università Luiss per aver commesso il terribile gesto di esprimere le proprie opinioni – in contrasto con il pensiero unico – durante alcuni talk show.
Ma, la lettura di questo dossier e le parole di Romano in conferenza stampa portano a una conclusione assai più grave per il nostro paese e per la libera informazione, che sembra ormai essere diventata un miraggio.
Romano taccia “il caso italiano” – e verrebbe da chiedersi: quale caso? – come “una cosa che ci imbarazza profondamente”. E, nella sua lunga orazione orientata a quella che lui considera “libertà di espressione”, sostiene: “Un conto è il pluralismo, cioè la libera circolazione delle idee, che caratterizza le democrazie dalle dittature; un conto è il trattamento paritario di ogni opinione. Possiamo mai immaginare un dibattito di par condicio tra aggressori e aggrediti? Sarebbe un insulto e qualcosa di inaccettabile. Non si trattano alla stessa maniera tutte le opinioni”.
Innaro messo alla gogna
Si nota quindi una particolare e stravolta visione del pluralismo per il Pd: sacrosanto solo se la pensi come i dem, altrimenti le opinioni non sono degne di essere espresse. Le dimostrazioni sono facilmente ritrovabili nel dossier. Marc Innaro, giornalista del Tg2 è inserito nella lista perché nella puntata del 26 febbraio ha detto, riportando cosa stava succedendo in quei primi giorni di conflitto: “Il presidente del parlamento russo è sicuro della sua fuga [di Volodymyr Zelensky] a Leopoli. Erano stati registrati – dice – i suoi videomessaggi di ieri. A colpire il palazzo di Kyiv non è stato un missile russo – dichiara il ministero della Difesa di Mosca – si è trattato di un missile terra terra ucraino lanciato dalle milizie neonaziste di Pravyi Sektor”. Ma il virgolettato del Ministero della Difesa Russa riportato da un giornalista italiano non viene accettato: “Innaro riporta le narrazioni ufficiali del governo russo senza metterle in dubbio”.
La folle accusa a Micalessin
Stesso trattamento, che sfiora la comicità, per il giornalista di guerra Gian Micalessin che il 17 maggio durante il Tg1 afferma: “Mi trovo a Donetsk, la capitale di una delle due repubbliche separatiste del Donbass. L’evacuazione di 264 militanti del battaglione Azov, avvenuta ieri sera, sta suscitando perplessità nella popolazione e imbarazzo nelle autorità locali […] Secondo molti abitanti e cittadini, questi militanti del battaglione Azov sono i principali responsabili della catena di violenze, omicidi e discriminazioni etniche che hanno colpito i filorussi dal 2014”. Qui ad essere contestato, e quindi tacciato per filo-putiniano, è addirittura il termine usato da Micalessin per i soldati Azov, e cioè “militanti”: “È da notare che i membri del battaglione Azov sono ripetutamente chiamati ‘militanti’, suggerendo così che si tratta di combattenti irregolari piuttosto che di membri a pieno titolo delle forze armate ucraine, soggetti alla Convenzione di Ginevra”, si legge nel dossier.
E ancora su Micalessin che il 16 marzo scorso al Tg1 spiega di essere entrato “in Ucraina questa mattina, attraversando il confine settentrionale della Crimea”, il Pd risponde: “È un giornalista freelance” – inquadrandolo come uno alle prime armi e dimostrandosi completamente estraneo alla tematica essendo Gian Micalessin uno dei principali reporter nazionali che ha calcato tutti i teatri di guerra degli ultimi 30 anni – “Egli trascura di dire che la Crimea non ha confini internazionali con l’Ucraina, ma deve essere considerata un territorio occupato dalla Russia. Entrare in Ucraina dalla Russia attraverso la Crimea occupata rappresenterebbe una violazione della legislazione ucraina”. Comportamento che tutti i giornalisti, per forza di cose, in situazioni come quella del conflitto ucraino-russo adottano.
La censura del Pd
Insomma, di esempi ce ne sarebbero molti altri, ma la linea è sempre la stessa: una crociata che non ammette voci fuori dal coro, anche se motivate, professionali e pertinenti. Non c’è spazio per chi è libero intellettualmente.
E infatti Romano afferma: “È singolare e imbarazzante che in Italia si assista a un dibattito pubblico, in nome dell’audience e del clamore, e si tratti con strumenti di par condicio gli argomenti dell’aggressore e dell’aggredito. È qualcosa che va denunciato ed isolato”. Isolare le idee: questo perseguono i dem, criticando la Russia per lo stesso motivo. Interessante però, come lo stesso Romano non sia sempre stato di questa opinione: non più tardi di un anno fa, esattamente il 16 luglio 2021, si è fatto portavoce, insieme ad altri deputati, della proposta di legge “Disposizioni per la tutela del pluralismo nei servizi di media”.
Due pesi e due misure
Anche Mongelli, che di diritti dovrebbe saperne, non è da meno e si lascia andare in conferenza stampa a dichiarazioni del tutto discutibili: “Le frasi ‘le sanzioni non funzionano’, ‘più si mandano armi, più la guerra durerà’ e ‘la guerra è una guerra civile dove si stavano scannando da anni tra ucraini e filo russi’, sono semplicemente un manuale per la propaganda del Cremlino”. Una grande messa in scena, quindi, per creare confusione appositamente e per il gusto di confondere le idee. Arrivando, addirittura, a mettere in discussione 8 anni di conflitto in quel pezzo di terra del Donbass, martoriato da conflitto che è stato tenuto all’ombra del mondo, dimenticando morti, aggressioni e povertà, definendolo oggi solo un copione usato per sponsorizzare Putin.
Se il politically correct e l’allineamento ad ogni costo ai diktat delle grandi potenze non sono una novità per quel partito che si fa chiamare “democratico”, è alquanto curioso – per usare un eufemismo – la facilità e la possibilità di gettare fango sul passato, manipolando un presente che fa da preambolo a un futuro pericoloso. Evidentemente per i dem esistono due pesi e due misure: non hanno vergogna ad affermarlo, non hanno vergogna di perdere tempo a proporre una lista di proscrizione in Parlamento mentre l’Italia cade a pezzi, non hanno vergogna di dimostrarsi al pari di coloro su cui gettano benzina.
Fonte: nicolaporro.it