di Robert B. Greving*
Nel classico della spiritualità Il combattimento spirituale si afferma che la prima arma necessaria per raggiungere la santità è la diffidenza di noi stessi [[1]] o, come disse Chesterton, «essere assolutamente sicuri di sé non è solamente un peccato; essere assolutamente sicuri di sé è una debolezza» [[2]]. Qualcuno a Roma dovrebbe riflettere un po’ su questo punto prima di far sì che un numero ancora maggiore di cattolici metta in questione la fede (o, quantomeno, la Chiesa). Quei qualcuno a Roma – e noi con loro – dovrebbero anche prendere in considerazione, apprezzandola, la diffidenza di sé di papa san Paolo VI. Lasciatemi spiegare.
Il problema è questo: papa Francesco ha cambiato la dottrina morale ininterrotta della Chiesa in almeno due occasioni. Prima con Amoris laetitia, consentendo a cattolici in relazioni adulterine di ricevere la santa Eucaristia, poi quando ha dichiarato la pena di morte «inammissibile».
Ora, conosco molti disposti a sostenere che la dottrina non ha subito cambiamenti. Per farlo, non esiteranno a ricorrere ad arzigogoli mentali, teologici ed ecclesiali talmente contorti da rendere elementare la questione del numero degli angeli che possono ritrovarsi contemporaneamente sulla capocchia di uno spillo.
Circa i due casi sopra citati non si può parlare né di “travisamenti”, né di interpretazioni “fuori contesto”. Si è trattato di pronunciamenti ufficiali di papa Francesco. Circa la concessione data a cattolici adulteri di ricevere la Comunione, non possiamo più giocare la carta della “nota a piè di pagina ambigua”. Perché lo stesso Francesco, qualche tempo dopo, ha dato personalmente delle direttive ai vescovi argentini spiegando che, sì, la nota significa proprio quella cosa lì. Tutte le richieste di chiarimento sono state ignorate.
Sulla questione della pena di morte, il Papa, di sua iniziativa e non citando alcun’altra autorità che non fosse la propria, ha apportato un cambiamento nel Catechismo ufficiale della Chiesa cattolica. In entrambi i casi, ci sono ben pochi dubbi che la dottrina della Chiesa in tema di morale sia cambiata, e sia stata modificata, in modo ufficiale e pubblico, dal Papa.
Qui non si tratta di giudizi prudenziali o affari attinenti al governo della Chiesa. Questi sono punti di dottrina morale. E quando dico che sono “cambiati” non intendo “sviluppati” (che è la parola che il Papa preferisce). Intendo proprio “cambiati”. Nel primo caso, ciò che una volta era ritenuto peccaminoso non lo si considera più tale; nel secondo, ciò che un tempo era ritenuto ammissibile ora non lo è più. Per il comune fedele cattolico, il nero è diventato bianco, e il bianco è ora nero.
Adesso è in arrivo un terzo cambiamento, e forse ancora più catastrofico. La Pontificia accademia per la vita ha pubblicato un documento che descrive un «cambio di paradigma» circa l’insegnamento della Chiesa sul controllo delle nascite [[3]]. Nel documento si afferma quanto segue: poiché «ci sono infatti condizioni e circostanze pratiche che renderebbero irresponsabile la scelta di generare», una coppia sposata potrebbe decidere di ricorrere, con «una scelta saggia», a tecniche contraccettive. L’arcivescovo Vincenzo Paglia, che papa Francesco ha appositamente voluto alla presidenza dell’Accademia scrive : «Il testo si assume la responsabilità di operare una svolta, passando, per così dire, dalla sfera al poliedro» [[4]] (non me lo sto inventando!).
Alcuni potrebbero sostenere che si tratta solo di un documento elaborato o, se si vuole, promosso dall’arcivescovo Vincenzo Paglia. Non si tratterebbe perciò dell’insegnamento ufficiale della Chiesa. Gli stessi potrebbero anche aggiungere che vi sono membri della Pontificia accademia che hanno criticato il documento, precisando di non essere stati consultati. Ma si tratta di un copione già visto (vedi Amoris laetitia) e possiamo intuire come andrà a finire. Inoltre, l’arcivescovo Paglia ha messo in chiaro che papa Francesco era informato sin dall’inizio tanto sull’iniziativa che sul documento e, stando a quanto dice Paglia, ne ha anche incoraggiato la pubblicazione. Qualcuno già considera questo documento la pezza di appoggio cui farà poi appello il cambio di dottrina che un’enciclica verrà a stabilire.
Non è mia intenzione entrare nel merito della dottrina. Voglio solo evidenziare due cose. La prima è la sicurezza di sé che papa Francesco e i suoi teologi hanno dimostrato nei loro giudizi circa i mutamenti della dottrina della Chiesa. La seconda è che questa sicurezza di sé sta invece minando la fiducia di molti cattolici nei confronti della Chiesa. Se ne rendono conto?
Ecco la domanda che pongo a me stesso, e volesse il Cielo che avessi la risposta: se papa Francesco ha ragione, allora la Chiesa fino all’avvento del suo pontificato era in errore, e il mio credere in ciò che quella Chiesa insegnava è stato malriposto. Al contrario se, come credo, la Chiesa fino a papa Francesco era nel giusto, allora lui è in errore e la mia adesione a uno dei principi fondamentali di quella fede – l’esistenza di un’autorità magisteriale – è stata malriposta, il che mina la mia fiducia nell’istituzione nel suo complesso.
Voglio essere chiaro: non sto “attaccando” papa Francesco. Mi limito a constatare quanto ha fatto. E se anche i cambiamenti apportati mi trovassero d’accordo, il problema rimarrebbe. Adesso dobbiamo affrontare il fatto che in un caso (o due, o potenzialmente tre) un pronunciamento della Chiesa in materia di morale, nei termini in cui un papa lo ha promulgato in forza della sua autorità magisteriale su questioni inerenti alla morale, non si è rivelato infallibile. Può cambiare.
Che cosa deve fare allora un cattolico (per “cattolico” intendo qualcuno che si è fidato nella Chiesa quanto alla dottrina morale coerentemente insegnata per duemila anni attraverso i suoi Concili e tutti i suoi Pontefici)? Dobbiamo dedurre che avessero tutti torto?
Il papato di Francesco presenta molti risvolti ironici, ma questo potrebbe essere il più ironico di tutti. Questi cambiamenti sono stati fatti – e lo stesso si può dire di quelli futuri – per tenere la Chiesa al passo con i tempi (potete usare un linguaggio teologico sofisticato quanto vi pare, ma alla fine di questo si tratta). Adesso noi «la sappiamo più lunga».
Lo hanno presumibilmente fatto – concedendo le migliori intenzioni – per rafforzare e accrescere la Chiesa. Ma non otterranno nulla del genere. Riusciranno solo a indebolirla oltre ogni immaginazione e a ridimensionarla considerevolmente. Con tutto il dovuto rispetto per le altre fedi, penso specialmente ai protestanti, le persone non si convertivano – e non si convertiranno in futuro – alla fede cattolica perché è un credo come ce ne sono altri.
Non sto affermando che la Chiesa dovrebbe rimanere aggrappata alla sua dottrina solo per differenziarsi, per offrire qualcosa di veramente esclusivo nel proprio menù. Sto solo dicendo che, a partire dalla mia esperienza – il mio personale cammino di fede (una frase sgradevole ma necessaria) ma anche le storie di conversione di molti che conosco –, l’approdare o il riapprodare alla fede cattolica è avvenuto perché solo lei osava affermare: «Noi abbiamo la verità, una verità immutabile, la roccia della verità». E adesso quella roccia si sta polverizzando in granelli di sabbia.
Ripeto: che dovrebbe fare un cattolico? Non lo so. Forse il prossimo conclave eleggerà un “nostro uomo” che porrà in essere “politiche” (cioè insegnamenti di dottrina morale) che condividiamo. In questo caso lo sforzo e il costo sarà enorme. Di sicuro, Francesco è stato bene attento a concedere posizioni di potere solo a persone che erano d’accordo con lui. Aveva il diritto di farlo come papa e non lo biasimerò per questo. Magari Giovanni Paolo II o Benedetto fossero stati più “francescani” da questo punto di vista!
Una buona parte (il cinquanta per cento? il settantacinque per cento?) del collegio cardinalizio e dell’episcopato andrebbe ristrutturato. E cosa fare con coloro che, che ci piaccia o no, sono vescovi a vita e sono ancora in circolazione? Poi ci sono interi ordini religiosi che andrebbero depurati. Ci sono università e seminari che andrebbero spurgati o chiusi del tutto. Interi Paesi potrebbero meritare l’interdetto. E dopo aver fatto tutto ciò?
Forte della sua fiducia in se stesso, Francesco – ne sono certo, inconsapevolmente – ha trasformato il papato in un mandato presidenziale in cui gli insegnamenti morali sono ridotti a mere politiche. L’“altra parte” aspetterà semplicemente il proprio turno per piazzare “il proprio uomo” (o, perché no, “la propria donna”) e provare a invertirne il corso. Benvenuto, protestantesimo!
E, intanto, che dire dei nostri sacerdoti? Penso ai tanti che sono diventati sacerdoti proprio per il modo in cui Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno difeso la dottrina cattolica. Saranno sopraffatti non solo dal dilemma morale, ma anche dal fatto di dover spiegare ai parrocchiani – mantenendo, peraltro, un volto imperturbabile – perché il peccato non è più peccato.
Perché ho evocato la figura di Paolo VI? Torno a Il combattimento spirituale e alla sua prima lezione: diffidare di sé. Ce n’è di materia per esprimere critiche nei confronti di Paolo VI e del suo pontificato. L’accusa più frequente è la diffidenza e un’eccessiva propensione al cambiamento. Cosa che certamente ebbe risvolti problematici. Ma giacché stiamo per essere travolti da una sconfessione papale dell’Humanae vitae, è probabile che sia stata proprio la scarsa confidenza in se stesso a salvare Paolo VI e a spingerlo a pubblicare una enciclica in cui ribadiva l’insegnamento tradizionale. La scarsa confidenza in se stesso è precisamente la qualità che è vistosamente assente oggi a Roma.
Sappiamo che la commissione nominata da Paolo VI si era espressa a favore di un’apertura nei confronti della contraccezione. E non è escluso che lo stesso Paolo VI fosse personalmente propenso ad accogliere quelle indicazioni. E certamente l’avrebbe fatto se si fosse limitato a interpellare il suo tempo e coloro che lo circondavano. Ma forse – e dico “forse” – anche in quell’occasione non si è fidato abbastanza di se stesso. Forse si è girato indietro, ha guardato i suoi predecessori, i Concili e i dottori della Chiesa e, osservando quella realtà universale e plurisecolare che è la Chiesa, può aver concluso: «Chi sono io per andare contro tutti loro?».
Come molti che si stanno interrogando se ancora appartengono alla Chiesa cattolica di oggi o se vi sia in essa posto per loro, non mi resta che sperare che il papa regnante faccia propria in misura un po’ maggiore quel tipo di diffidenza.
*docente di Latino e Inglese presso un liceo del Maryland (Usa). Per cinque anni, dopo essersi laureato in Giurisprudenza presso la Dickinson School of Law, ha fatto parte dell’avvocatura militare degli Stati Uniti
[1] Cfr. Lorenzo Scupoli C.R. (1530 ca.-1610), Il combattimento spirituale, cap. II.
[2] La citazione si trova in Ortodossia (1908).
[3] L’autore si riferisce al volume Etica teologica della vita. Scrittura, tradizione, sfide pratiche. Atti del seminario di studio promosso dalla Pontificia accademia per la vita, pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana il 1° luglio scorso.
[4] Vincenzo Paglia, presentazione al volume Etica teologica della vita, pp. 8-9.
Fonte: crisismagazine.com
Titolo originale: It’s Not for the Pope to Change
Traduzione di Maurizio Brunetti
Note aggiunte dal traduttore
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