La morte del cardinale Jozef Tomko (Udavské, 11 marzo 1924 – Roma, 8 agosto 2022) riporta d’attualità la vicenda dell’indagine voluta da Benedetto XVI sulla corruzione curiale legata allo scandalo Vatileaks del 2011.
Il 24 aprile 2012 Tomko fu infatti incaricato da papa Ratzinger, insieme ai cardinali Julian Herranz e Salvatore De Giorgi, di far parte di una speciale commissione d’indagine che portò i tre porporati a scrivere un documento, presentato al papa il 17 dicembre 2012, il cui contenuto non è mai stato rivelato ma nel quale, a quanto risulta da indiscrezioni, parlavano delle scoperte fatte in merito a una lobby omosessuale, attiva all’interno del Vaticano, che non solo praticava la corruzione sessuale ma si contendeva denaro e potere. Secondo le indiscrezioni filtrate, al centro del documento ci sarebbero infatti i peccati contro il esto e il settimo comandamento, i divieti biblici contro l’impurità sessuale e il furto.
Lo scottante dossier fu consegnato a papa Francesco da papa Benedetto in persona, a Castel Gandolfo, e molti ricorderanno la foto dei due pontefici, seduti l’uno di fronte all’altro, con in mezzo lo scatolone bianco contenente le risultanze dell’indagine (e sopra lo scatolone due buste bianche). Risultanze, lo ripetiamo, mai rese pubbliche.
Più volte monsignor Carlo Maria Viganò ha lamentato questo lungo silenzio. “Che fine ha fatto – ha chiesto l’arcivescovo – l’indagine ordinata da Benedetto XVI e condotta dai tre cardinali? Nessuno ne ha parlato. Se si volesse ripulire la corruzione, affrontare i risultati di questo rapporto sarebbe un buon punto di partenza. Tutti abbiamo visto una scatola di documenti consegnata da un papa all’altro a Castel Gandolfo, e ora è scomparsa”.
La vicenda giudiziaria della fuga di documenti riservati della Santa Sede si concluse con l’arresto, il processo, la condanna e poi la grazia del maggiordomo del papa, Paolo Gabriele, che sarebbe morto, a soli cinquantaquattro anni, nel novembre 2020. Ma la sostanza dell’indagine sta in quei documenti che Benedetto consegnò a Francesco con tanto di foto.
L’allora portavoce vaticano padre Federico Lombardi lo disse chiaramente: Benedetto volle che tutto il lavoro dei tre cardinali venisse messo a disposizione del nuovo papa. Ma poi?
L’indagine di Tomko, Herranz e De Giorgi arrivò fino alle vicende riguardanti monsignor Ettore Balestrero, potente collaboratore dell’ex segretario di Stato Tarcisio Bertone Tarcisio, e alla nomina di René Bruelhart alla direzione dell’Aif, l’autorità di supervisione finanziaria.
Tomko, il più anziano dei tre cardinali, fu richiamato in servizio da Benedetto quando aveva già ottantotto anni. Di origine slovacca, aveva lavorato per Giovanni Paolo II come responsabile del controspionaggio vaticano.
Il cardinale Tomko è morto nel suo appartamento a Roma, assistito dalle Suore della Carità di San Vincenzo de’ Paoli, dopo sei settimane al Policlinico Gemelli a causa di una lesione alla vertebra cervicale. Il 30 aprile di quest’anno papa Francesco lo aveva incontrato in Aula Paolo VI in occasione del pellegrinaggio slovacco e nel discorso aveva detto: “Saluto cordialmente il cardinale Jozef Tomko, la cui presenza ci fa sentire che la Chiesa è una famiglia che sa onorare l’anzianità come un dono”.
Circa i risultati dell’inchiesta dei tre cardinali, una fonte rimasta anonima disse a Repubblica che potrebbe esserci addirittura un collegamento tra l’esito dell’inchiesta e la rinuncia di Benedetto XVI al pontificato: “Tenga presente che i commissari hanno fatto quattro o cinque audizioni alla settimana. Sa cosa vuol dire? In quella scatola ci sono le testimonianze su tutti i passaggi oscuri, le malefatte, le malversazioni, l’abolizione della legge anti-riciclaggio voluta dal papa, le colpe e le responsabilità. È probabile che Benedetto davanti alla portata di quei risultati e dell’intervento necessario abbia avuto un crollo di forza”.
Nell’intervista concessa all’AdnKronos il 30 ottobre 2020 papa Francesco disse: «La Chiesa è e resta forte ma il tema della corruzione è un problema profondo, che si perde nei secoli. All’inizio del mio pontificato andai a trovare Benedetto. Nel passare le consegne mi diede una scatola grande: “Qui dentro c’è tutto – disse –, ci sono gli atti con le situazioni più difficili, io sono arrivato fino a qua, sono intervenuto in questa situazione, ho allontanato queste persone e adesso… tocca a te”. Ecco, io non ho fatto altro che raccogliere il testimone di papa Benedetto, ho continuato la sua opera».
All’inchiesta dei tre cardinali monsignor Viganò contribuì con un rapporto, e oggi l’arcivescovo ricorda che alla fine del suo incontro con Francesco avvenuto a Santa Marta il 23 giugno 2013, quando il papa a bruciapelo gli chiese un’opinione sul cardinale McCarrick e sui gesuiti negli Usa (evidentemente per capire da che parte stava il nunzio negli Usa), al momento dei saluti Bergoglio disse a sorpresa: “Ha visto che Benedetto mi ha consegnato questa cassa di documenti. Io non ho ancora potuto prenderne conoscenza, ma lei potrebbe consegnarmi il suo rapporto che ha scritto per i tre cardinali?”.
L’arcivescovo rispose che non aveva il rapporto con sé, ma che avrebbe potuto andare nella sua stanza, nella vecchia Santa Marta, a prenderlo, e Francesco rispose: “Sì, vada, io l’aspetto e lascio la porta aperta”.
Viganò dunque andò, prese una copia del rapporto e subito la portò al papa, il quale disse: “Ora lo porto nella mia camera da letto, dove ho una piccola cassaforte. Lo metto lì e stasera lo leggo”.
Questo ricordo è molto vivo nella memoria di monsignor Viganò, il quale oggi commenta: “Non so se Francesco abbia letto o meno il rapporto che avevo consegnato ai tre cardinali. Quel che so è che in seguito ha promosso e favorito esattamente tutti coloro che io avevo denunciato come corrotti”. Il motivo? Molto semplice: “Promuovere chi può essere ricattato è funzionale al suo sistema di potere”.
A.M.V.
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Foto di Aldo Maria Valli ©
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