Politically correct all’opera. Tocca a Otello
di Aurelio Porfiri
Anche il mondo dell’opera lirica sta rapidamente cascando nelle grinfie del politically correct, accodandosi alla narrativa dominante. Ne avevo già parlato in passato ma ora ne devo riparlare nell’occasione della rappresentazione di Otello di Gioacchino Rossini, nostra gloria nazionale. La storia, che tutti conoscono, parla di un generale moro, appunto Otello, che si innamora di Desdemona, una donna bianca, ma poi, istigato alla gelosia, la uccide.
La rappresentazione di cui parlo è in scena a Pesaro per la regia di Rosetta Cucchi. Ecco come ne parla Federica Acqua (Ansa): “La storia d’amore e gelosia tra Otello, capitano della flotta veneta, e Desdemona, che lo sposa segretamente contro il parere del padre Elmiro che voleva destinarla a Rodrigo, invidioso dei successi del Moro come pure Iago, che desidera Desdemona, ma non può averla, si trasforma nel riadattamento di Cucchi in una vicenda di rivalità tra esponenti dell’alta borghesia ambientata in un interno contemporaneo: sala da pranzo, lavanderia e salotto con lungo tavolo, dove le donne (Desdemona e la sua cameriera Emilia) vengono maltrattate e disconosciute. Partendo dal femminicidio di Desdemona, proclamato dai giornali e reso visivamente in scena con proiezioni e immagini sullo sfondo, Cucchi procede a ritroso, analizzando la dimensione psicologica di tutti i personaggi, evidenziando quasi didatticamente le esperienze di vita e i traumi infantili che li hanno portati a diventare quello che sono. E se Iago, simbolo del male assoluto, non ha giustificazioni, Otello, un militare di successo, non più di colore nella regia di Cucchi che rinuncia al black face, ma non accettato per le sue umili origini da una società snob e classista, e per di più ingannato da Iago, appare più giustificato. L’uccisione di Desdemona, in ogni caso, assurge simbolicamente a quella di tutte le donne violate, prevaricate e impaurite, che nel finale appaiono unite sul proscenio piegate da una ridda di maschi minacciosi e beffardi inquadrati nel palcoscenico come racchiusi in una porta, pronti a colpire ancora”.
In un’intervista ad Avvenire la regista Rosetta Cucchi ha tra l’altro detto: “Ho pensato alla cronaca, ma soprattutto all’insensibilità che ci prende nel leggere ogni giorno di un altro omicidio, di un’altra donna violata, di altre persone che muoiono per la guerra o per un naufragio in mare. Penso che oggi ci sia una grande insensibilità al dolore, che viene da un bombardamento quotidiano di notizie che ci anestetizza e provoca quasi un’assuefazione. Così ho pensato che oggi [la] tragedia di Desdemona si compirebbe davanti all’indifferenza generale di una società borghese estranea alla miseria e alla povertà”.
Femminicidio, black face, il maschio cattivo… L’idea è che per rendere attuale una storia o un’opera d’arte del passato si debba stravolgerla inchinandosi ai diktat della cultura dominante. Non si crede che l’opera possa parlare da sola per come è stata concepita, e che sia necessario assecondarla, non tradirla.
E poi questa storia del black face, francamente, ha stufato. Otello era un generale moro. Punto. In che modo questo sarebbe razzismo? Lo sarebbe se ci fosse stata l’intenzione di disprezzare gli uomini di colore, ma non ė proprio il caso di questa storia nella quale un uomo di colore è semplicemente uno dei protagonisti di una tragedia.
Se non ci difenderemo da questo clima asfissiante (e non parlo del caldo) saremo sempre più prigionieri e impediti di esprimerci, proprio come succede nelle tanto vituperate (a parole) dittature.
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Nella foto (Avvenire), Dmitry Korchak e Antonino Siragusa in una scena di Otello di Rossini
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