di Pietro Licciardi
Intervista al dottor Paolo Gulisano, medico epidemiologo, che durante l’epidemia Covid-19 ha affrontare la malattia in prima linea e curato centinaia di pazienti.
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Il governo italiano ha dichiarato che nel 2020, annus horribilis, il Covid-19 ha causato centomila decessi. Ma questo significa una mortalità dello 0,16% quando in Italia ogni anno c’è un 35% (dato Istat) di decessi per sole malattie cardiache. Secondo lei tutta l’emergenza che c’è stata era giustificata?
«Il discorso sulla mortalità è piuttosto complesso. I governi che si sono succeduti hanno utilizzato i numeri in modo volutamente confuso, con l’intento di spaventare la popolazione, anzi, di terrorizzarla. Si è parlato molto del numero grezzo di morti, ma non si è voluto mettere l’attenzione sul tasso di letalità, che è un dato importantissimo, perché ci dice quanto è grave una determinata malattia. La letalità è il rapporto tra le persone che si ammalano di una certa malattia e quelle che muoiono. Ci sono tumori che hanno un tasso di letalità, a cinque anni dalla diagnosi, del 92%: un dato impressionante. Qual è invece il tasso di letalità del Covid? Poco più del 2%. Ciò significa che su cento persone che si ammalano novantotto guariscono. Siamo dunque molto lontani dalla narrazione data da Mario Draghi, che disse: “Se non ti vaccini, ti ammali e poi muori”. Decisamente non è così. Se ti ammali, ti curi e guarisci. Alla popolazione è stato fatto credere di essere di fronte a un mostro invincibile, a una malattia incurabile, ma non è così. La paura è servita a realizzare un controllo sociale sulle persone senza precedenti nella storia italiana».
Noi non siamo medici eppure ci è sembrato strano il divieto governativo di eseguire autopsie nelle prime settimane dell’emergenza. Non è proprio l’autopsia la prima cosa che si fa per capire con cosa si ha a che fare in casi del genere?
«Certamente. Nel corso di questi mesi di “epidemia” abbiamo sentito molto spesso innalzarsi dei panegirici nei confronti della Scienza, quasi una sorta di divinità infallibile. Ma l’atteggiamento scientifico per eccellenza è quello descritto nell’antico motto rerum cognoscere causas. Occorre scoprire la causa delle cose, dei fatti, dei fenomeni che accadono. E cosa poteva essere meglio per indagare una nuova malattia che effettuare esami autoptici? Ma il ministro Speranza, tra le varie scelte discutibili e contraddittorie, ha fatto anche quella di vietare le autopsie. Per quale motivo? Solo una commissione di inchiesta parlamentare appositamente istituita – se ci sarà la volontà politica di farlo, cosa di cui dubito fortemente – potrà acclarare i motivi di una scelta insensata che ha causato migliaia di perdite di vite umane».
Perché secondo lei c’è stata tanta ostilità verso le cure domiciliari, tanto che medici che hanno osato non applicare i protocolli per ricorrere ad altre cure, oltretutto dimostratesi efficaci, sono stati addirittura sospesi dall’Ordine?
«Fin dall’inizio il pensiero mainstream ha ripetuto ostinatamente che per il Covid non c’era cura, negando l’evidenza di ciò che i professionisti impegnati direttamente sul campo stavano dimostrando, cioè che il Covid si cura con determinati farmaci, e lo si può fare anche a casa, senza ospedalizzazione. Per le autorità governative invece al problema non c’erano che due soluzioni: lockdown, segregazione in casa, chiusura della vita sociale, e in secondo luogo una campagna vaccinale».
I vaccini sono stati presentato come la soluzione al problema…
«Invece col tempo il vaccino ha mostrato tutti i suoi limiti di efficacia, tanto che oggi la maggior parte delle persone che si ammalano anche gravemente sono vaccinati con tre dosi. Occorrerebbe da parte delle istituzioni riconoscere che il vaccino non ha eradicato la malattia ed è scarsamente efficace nei confronti delle decine di varianti che esistono; quindi la soluzione al problema Covid deve essere trovata nelle cure giuste ed efficaci».
A due anni dall’inizio dell’emergenza c’è ancora gente con la mascherina in strada e l’obbligo di indossarla sui mezzi pubblici. Si tratta veramente di misure sanitarie utili?
«La mascherina è un dispositivo di protezione utile, ne faccio uso io stesso e sicuramente, avendo avuto contatti con centinaia di malati e non essendomi mai contagiato, posso dire che rappresenta una barriera nei confronti dei microrganismi, anche se parziale. Tuttavia la mascherina ha lo scopo di prevenire il contagio da contatti tra esseri umani. Non ha alcun senso indossarla se si è in macchina da soli, se si cammina per strada, per non dire delle persone evidentemente manipolate mentalmente che la mettono anche sui sentieri di montagna o mentre fanno il bagno nel mare. Si è perso il senso della misura e della ragionevolezza, sotto l’influenza del terrore indotto».
Cosa pensa dei vaccini, dell’obbligo vaccinale e di chi ha rifiutato di farsi iniettare le dosi del siero?
«Come dicevo prima, i vaccini sono stati investiti di un ruolo quasi messianico, come la salvezza per eccellenza. Si tratta invece di semplici ritrovati farmacologici, in questo caso di tipo sperimentale, sulla cui efficacia e sulla cui sicurezza si deve fare una valutazione in base ai dati epidemiologici. Credo che tra non molto tempo avremo dei dati significativi su cui ragionare. Per ora, alla luce di quanto abbiamo già visto in venti mesi, credo che siano giustificate le perplessità espresse anche da grandi scienziati come il Premio Nobel Luc Montagnier sulla efficacia e anche i timori riguardanti gli effetti avversi. Il vaccino, inoltre, dovrebbe essere una scelta individuale, pertanto sono assolutamente contrario a qualunque obbligo di legge, a quelle forme incivili di ricatto per cui molte persone che avevano lecitamente declinato l’invito forzato a vaccinarsi hanno perso il posto di lavoro o hanno subito altre vessazioni e coercizioni. Mi auguro che si arrivi a scelte di civiltà e di libertà che portino all’abolizione di lasciapassare e obblighi. Se una persona vuole vaccinarsi, lo faccia pure. Ma nessuno si veda costretto a farlo».
In occasione di un incontro pubblico lei ha parlato di esperimento sociale, riferendosi a tutto quello che è stato imposto in occasione della “pandemia”. Perché ha usato questo termine?
«Quello che è iniziato nel 2020 è stato chiamato il Great Reset. Questa definizione non viene da qualche esponente del pensiero non allineato, ma da un grande protagonista della visione ideologica dominante, il tedesco Klaus Schwab, la guida e l’ispiratore del World Economic Forum. L’epidemia ha rappresentato un’occasione per dare una spinta formidabile verso quella “Quarta rivoluzione industriale” di cui parla sempre Schwab e che ha l’obiettivo di cambiare drasticamente l’economia, la politica, la sanità, e persino l’uomo stesso. È l’inquietante rivoluzione del transumanesimo».
Lei, che è stato anche docente di Storia della medicina ed è in grado di confrontare le misure sanitarie adottate in passato in occasione di altre epidemie, che idea si è fatto delle misure sanitarie adottate in Italia dal ministro Speranza, ancora in carica?
«All’inizio erano misure assolutamente arcaiche: quella del chiudersi in casa, del non uscire, come in occasione della peste del 1348. In un’epoca ipertecnologica come quella presente non si è trovato di meglio, senza nemmeno riuscire a tracciare i positivi e di conseguenza circoscrivere i contagi. Ma era proprio necessario farlo? Nella primavera del 2020 un gruppo di scienziati, di epidemiologi e infettivologi rilasciò la “Dichiarazione di Great Barrington”, dal luogo del New England dove avvenne il loro incontro. In essa si diceva come affrontare il Covid, evitando chiusure indiscriminate, mettendo in sicurezza la popolazione più fragile, e come permettere che per tutti gli altri, soprattutto bambini e ragazzi, la vita continuasse normalmente. Ecco, in Italia le autorità hanno fatto esattamente l’opposto di ciò che era indicato nella Dichiarazione, e i risultati si sono visti».
Molti cattolici sono rimasti sconcertati dalle misure draconiane imposte anche dai vescovi, che sono arrivati a chiudere le chiese durante il lockdown, a proibire di inginocchiarsi e distribuire la Comunione sulle mani oltretutto preventivamente inquinate con i gel sanificanti. Qual è il suo parere di epidemiologo in merito?
«La Conferenza episcopale italiana si è posta in un atteggiamento di docile e totale obbedienza nei confronti dello Stato. In certi momenti è parso di rivivere il dramma dello scisma anglicano del Cinquecento, con la Chiesa trasformata in una longa manus dello Stato. La narrazione ufficiale è stata accolta in maniera acritica, con un fideismo che non si vede più nemmeno là dove sarebbe assolutamente necessario. Non si difendono più i dogmi della Fede, ma i dogmi del pensiero dominante. Questa posizione ideologica si è declinata perfino in campo liturgico, con la decisione, assolutamente ingiustificata dal punto di vista scientifico, di proibire di ricevere la Comunione nella sua forma ordinaria, normale, cioè in bocca. Molti sacerdoti e vescovi, trasformati in funzionari statali, hanno applicato le cosiddette “regole” con una durezza, con una intransigenza, a volte con una cattiveria, che hanno ferito tantissimi buoni fedeli. Sono ferite che resteranno, insieme all’amarezza di aver visto la Chiesa obbedire più agli uomini che a Dio».
Fonte: informazionecattolica.it
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