Devo ammetterlo. Non sono mai stato uno studente modello e non ho mai amato la scuola. Mi è sempre sembrata, fin dalla materna (quando scappai dall’asilo e una suora mi riacchiappò mentre me ne tornavo a casa) una copia di un carcere, o giù di lì. Più avanti, sono stato uno scolaro svagato e un po’ indolente, forse proprio come reazione a un sistema che non mi andava a genio.
Può darsi quindi che le mie riflessioni siano viziate da un marcato pregiudizio antiscolastico, comunque, nell’imminenza della ripresa delle lezioni, sono rimasto colpito da un articolo che ho letto in un sito americano.
Vi si dice che le scuole Usa, nelle quali ogni giorno bambini e ragazzi trascorrono la maggior parte delle loro ore di veglia, assomigliano sempre più a luoghi di detenzione più che a centri di apprendimento e, con la scusa di rendere le scuole più sicure, i funzionari statali le stanno rendendo più autoritarie nel senso del politically correct. Il risultato è che invece di allevare una generazione di cittadini capaci di responsabilità individuale e pensiero critico, i burocrati dell’istruzione stanno tirando su futuri cittadini ignoranti, che in virtù dell’ideologia della cancel culture sanno poco o nulla della loro storia e della loro libertà, e sono destinati a diventare esecutori di ordini imposti dall’alto. Invece di imparare a leggere, scrivere e far di conto, questi alunni sono addestrati a vivere in uno stato di polizia, a base di indottrinamento, intimidazione e intolleranza.
I casi di cui si occupa la cronaca sono ormai numerosi e inquietanti. Con la scusa degli statuti anti-bullismo la parola viene criminalizzata e ci si può esprimere solo utilizzando il vocabolario politically correct imposto dai controllori. I test standardizzati favoriscono le risposte meccaniche e superficiali anziché il pensiero personale. La mentalità politicamente corretta porta alla censura verso se stessi, compagni e amici. I sistemi biometrici di sorveglianza abituano i giovani a vivere in un mondo privo di libertà di pensiero, di parola e di movimento. Le scuole si trasformano così in qualcosa di molto simile a istituti di detenzione, complete di telecamere di sorveglianza e politiche di tolleranza zero contro chi sgarra.
Si è arrivati al punto che giocare a guardie e ladri e usare pistole giocattolo porta dritti nell’ufficio del preside per una rampogna o addirittura una sospensione. Idem per chi ha osato usare la matita “in modo minaccioso” verso un compagno o mimare con le dita una pistola o un arco con le frecce. E c’è anche il caso di un liceale che è stato sospeso per aver detto “bless you” (“ti benedica”) a un compagno che aveva starnutito, perché l’espressione è poco rispettosa dei non credenti o dei credenti in qualcos’altro.
Paradossalmente, prosegue l’articolo, invece di rendere le scuole più sicure i funzionari scolastici sono riusciti nella bella impresa di creare un ambiente in cui gli alunni, fin da piccoli, sono così traumatizzati e condizionati da soffrire di disturbi da stress, incubi, ansia, depressione, sfiducia verso l’autorità, sentimenti di rabbia.
Qualcuno dirà: ma questa è la solita America, da noi è diverso. Lo spero. Ma se penso allo scorso anno scolastico, con le mascherine in classe e l’ossessione del distanziamento, vedo qualcosa di poco simpatico anche da noi. E che dire dei testi scolastici che inneggiano al vaccino e sposano la propaganda di governo definendo fake news le perplessità di chi non si allinea alla narrativa dominante?
Quando sento insegnanti sostenere che la scuola non deve trasmettere conoscenze ma forgiare i cittadini di domani e occuparsi della formazione della personalità avverto un brivido. “Formazione”, in questo caso, per i miei gusti assomiglia un po’ troppo a “formattazione”. E quando ascolto pedagogisti secondo i quali la scuola non deve insegnare nozioni (in tal caso diventerebbe impositiva) ma trasmettere metodi di apprendimento, altro brivido. A che cosa servirà mai un metodo se le teste sono state debitamente svuotate? “Tutto quello che non so – diceva Leo Longanesi – l’ho imparato a scuola”.
Comunque, chi vivrà vedrà. Speriamo che sia finita con maschere, tamponi, dad, isolamento. Ma non dimentichiamo ciò che è stato. Buon anno scolastico a tutti!
A.M.V.
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