Cari amici di Duc in altum, ricevo e volentieri propongo questo intervento. Torniamo sulla questione della Comunione sulla lingua. Gli abusi vanno segnalati e combattuti. Basta con le prevaricazioni.
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Sia lodato Gesù Cristo!
Recentemente abbiamo avuto modo (come non poche altre persone) di leggere con la debita attenzione la Risposta ad alcune domande relative al Protocollo delle celebrazioni (30 agosto 2022) diffusa dalla diocesi ambrosiana.
È evidente che se – come scritto nel suddetto comunicato a firma dell’Avvocatura della Curia arcivescovile di Milano – si è resa necessaria tale “risposta” è perché, di fatto, il succitato Protocollo, almeno per certi aspetti, non era chiaramente comprensibile.
Pacatamente ci chiediamo se quel modo poco chiaro di esprimersi fosse dovuto a limite umano oppure – Dio non voglia! – se non sia stato deliberatamente voluto: e questo al fine di “sbarazzarsi” della modalità di ricezione della Santa Comunione sulla lingua, per spingere in certo qual modo i fedeli cattolici a ricevere, da ora in avanti, la Santissima Eucaristia esclusivamente nelle mani; in nome, magari, di un malinteso ecumenismo: ossia, detto in altre parole, una pedissequa imitazione della pratica protestante.
Ma, attenzione, cari amici: protestanti che hanno una ben altra concezione – alquanto errata e fuorviante – della Messa e del Pane Eucaristico.
Una cosa a nostro avviso molto importante: nel Protocollo veniva “concesso” solo implicitamente il “permesso” di ricevere di nuovo la Santa Comunione sulla lingua, nella fase post-emergenziale relativa al covid.
Quindi, ben venga (anche se un po’ in ritardo: poiché lo stato di emergenza sanitaria è terminato in data 31 marzo) questo intervento chiarificatore, ossia la “Risposta ad alcune domande relative al Protocollo per le celebrazioni”.
In essa, tra le altre cose, è scritto, nero su bianco, che “Non sono esclusi e non è possibile escludere dalla Comunione Eucaristica i fedeli che non abbiano la mascherina e/o vogliano ricevere la Comunione sulla lingua”.
E, poco sopra, sempre nel detto documento dell’Avvocatura diocesana, è scritto: “Nessuna porzione del territorio diocesano è al momento caratterizzata da un particolare rischio epidemiologico”.
È pertanto necessario che tutti i parroci si attengano alle norme previste.
Il Protocollo deve quindi ritenersi non derogabile.
Ora, cari fratelli e sorelle nel Signore, cosa succede in realtà?
Iniziamo a dire questo (ma riservandoci il diritto di tornare su tale argomento): è evidente, in base a fatti occorsi a noi stessi nonché ad altri fedeli – sia oggi che in altra recente occasione – che nella Comunità pastorale Sant’Antonio abate di Varese (e, purtroppo, abbiamo motivo di ritenere che questo non avvenga soltanto lì, ma anche in altre parrocchie ambrosiane, e non), non si rispetta, per certi aspetti, quanto stabilito dall’Avvocatura della Curia in materia di distribuzione della Santa Comunione.
Difatti, coloro che lecitamente desiderano ricevere il Signore Gesù, realmente presente nel Santissimo Sacramento dell’altare, nel modo tradizionale, cattolico: porto dal sacerdote direttamente sulla lingua del comunicando – senza dubbio, oggettivamente parlando, modalità molto più rispettosa – vengono, per l’ennesima volta, ingiustamente discriminati.
In concreto: stasera, a noi stessi, e a qualche altra persona, nel corso della Santa Messa di inizio dell’anno pastorale, nonché del settenario dell’Addolorata, nella basilica di San Vittore in Varese, il ministro straordinario cui ci eravamo (ovviamente uno alla volta) accostati per ricevere il Pane di Vita, si è rifiutato di comunicarci, esortandoci a metterci a parte (tipo bambini in castigo) che ci avrebbe dato la Comunione solo dopo aver comunicato tutte le altre persone.
Senza clamore, ma con la giusta determinazione, mia moglie Sabrina ha risposto a questo ministrante, il quale non voleva porgerle l’Ostia Santa in bocca, che non poteva negarle il Sacramento; e, dato che questo ministro straordinario della Santa Comunione insisteva che ella si mettesse a parte, per ricevere, appunto, il Signore “dopo”, insieme a quegli “ultimi” di cui sopra (che erano lì, a lato, in piedi… inqualificabile discriminazione), Sabrina gli ha pacatamente risposto che nel Protocollo della Curia arcivescovile ciò non era scritto.
A questo punto, seppur a malincuore (obtorto collo), il ministro ha comunicato mia moglie al Corpo del Signore, nella modalità in cui ella aveva tutto il diritto di riceverLo.
Abbiate coraggio, cari fedeli, nel chiedere ciò è giusto!
Pacatamente, ma non senza dolore dell’animo, diciamo: pensavamo che l’arcivescovo della diocesi dei santi Ambrogio e Carlo si chiamasse monsignor Mario Delpini. Ma evidentemente, da questi fatti, a quanto pare, ce n’è più d’uno.
Non volendo dilungarci ulteriormente preferiamo – ora – non entrare nel merito degli abusi di potere (alcuni davvero deplorevoli e profondamente ingiusti) commessi, in questi anni segnati dalla ben nota pandemia, nella diocesi ambrosiana come in non poche altre.
Concludiamo rivolgendoci, con il dovuto rispetto, e con animo nel contempo pacato e serio, ai membri del Clero ambrosiano: a cominciare da sua eccellenza monsignor Mario Delpini, e dai vescovi che collaborano con la Sua persona al governo della nostra amplissima diocesi, per giungere – sempre col cuore in mano – a ogni sacerdote e a ogni diacono regolarmente ordinati in questa porzione della Chiesa del Signore. Per dire loro: nel corso del pontificato di Jorge Mario Bergoglio si parla tanto di sinodalità, parresia; di accoglienza, di rispetto, ma – come dicevamo poco sopra – la realtà, purtroppo non di rado, mostra ben altro.
Lo stesso Signore Gesù – Fondatore e Capo invisibile della Chiesa: Una, Santa, Cattolica, Apostolica e Romana – l’ha voluta nel suo ordinamento gerarchico.
Sappiamo inoltre, voi e noi, che la Madre Chiesa, Sposa del Cristo Redentore e Vittima, respira con due polmoni: quello istituzionale e quello genuinamente carismatico: effusione dello Spirito del Risorto.
Continuate a cercare “ricette”, come voi stessi dite, per essere “una Chiesa più credibile agli occhi del mondo”: bene, cominciate a smetterla una volta di abusare del potere conferitovi da Cristo.
Ricordiamoci tutti, pastori e fedeli, che ciascuno di noi – in quanto battezzato/a, facente cioè parte della famiglia di Dio (Efesini 2, 19-22): grazia inestimabile! – ha dei diritti e parimenti dei doveri.
Corrispondiamo – ognuno di noi là ove il Signore e Salvatore lo ha posto a coltivare la mistica vigna della Sua Chiesa – con fede, con amore, con fortezza e umiltà, alla propria specifica e personale vocazione: liberi da pregiudizi, senza prevaricazioni, rigettando le amare invidie; e cercando – sopra a tutto – quella che è la Santa Volontà di Dio.
Essa è custodita, e chiede di essere da noi accolta, anzitutto nella Sacra Scrittura e nell’autentica Tradizione della Chiesa cattolica.
Allora sì che si realizzerà quell’autentico rinnovamento, tanto anelato dalle anime di buona volontà, che amano il Signore, e vivono e operano nella Sua Chiesa.
Quel rinnovamento che nasce anzitutto da un cuore che desidera sinceramente convertirsi per poi crescere, giorno dopo giorno, nella vita di Grazia: alla maggior gloria e consolazione del Cuore di Dio e per autentico dono di sé verso i fratelli e le sorelle in cammino comune verso la Meta: il Cielo.
Lassù, lo sappiamo, cari vescovi e presbiteri, la Comunione sarà perfetta ed eterna, fonte di ineffabile Beatitudine: per Grazia e Misericordia, vedremo Dio così come Egli è.
Però, coraggio!
Pur consapevoli, ognuno di noi, dei nostri limiti ed incongruenze, cerchiamo fin da ora – in questa terra d’esilio – di edificare una comunità cristiana profondamente e veracemente ispirata e mossa dall’Amore.
8 settembre 2022, Natività della Beata Vergine Maria, Madre di Dio
Fonte: messaggidelsacrocuore.it
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