Elezioni / Ecco perché sto andando verso il non voto
di Aldo Maria Valli
Cari amici di Duc in altum, il voto del 25 settembre è ormai prossimo e se mi chiedete per chi voterò mi tocca rispondere che, in tutta sincerità, non lo so. Non c’è niente da fare. Nessuno degli schieramenti in lizza, per un motivo o per l’altro, risponde ai miei ideali e alle mie richieste. Sì, qualcuno ci va vicino, ma alla fin fine non mi convince. Motivo per cui ho incominciato a chiedermi: e se non votassi?
L’astensionismo, si sa, non gode di buona fama. Anzi, da molti è dipinto come un vero e proprio attacco alla democrazia. Ma chi l’ha detto? Il non voto è un voto, è un giudizio politico, proprio come tutti gli altri.
Se vado in un negozio per comprare, che so, una giacca, e non ne trovo nessuna che mi vada bene, posso benissimo uscire senza acquistare nulla. Non sta scritto da nessuna parte che io debba per forza acquistare una giacca, magari accontentandomi di quella che mi sta meno peggio.
Lo stesso vale per i partiti. Se il panorama politico non offre una proposta alla quale sento di poter aderire, nulla e nessuno può obbligarmi a votare comunque. Il voto è un diritto-dovere, non un’imposizione.
Se davvero mi asterrò sarà la prima volta. In passato non l’ho mai fatto, forse anche perché sono stato condizionato dall’idea che astenersi è espressione di qualunquismo politico. Idea distorta, diffusa ad arte. Certo, non votare può essere espressione di qualunquismo se nasce da un generico e superficiale sentimento antipolitico, come quello espresso da chi dice “tutti i politici sono ladri” o “la politica fa schifo”. Ma non è detto che l’origine del non voto sia sempre quella. Se nasce da una riflessione approfondita, alla luce dei propri ideali nutriti con passione, il non voto corrisponde a una precisa scelta politica, ricca di implicazioni.
La condanna del non voto sa tanto di ricatto messo in opera da chi vuole il tuo voto a ogni costo, e chi vuole il tuo voto a ogni costo chiaramente non desidera essere il tuo rappresentante: cerca solo di utilizzarti per entrare nel palazzo del potere.
Il sistema politico guarda con orrore al non voto non perché, come si sente dire spesso, sia un “attacco alla democrazia”, ma perché minaccia di delegittimare la classe politica. Che cosa succede se la maggioranza degli aventi diritto al voto non vota? Certamente si ha comunque un parlamento e un governo, ma dotati di quale credibilità? Più piccola sarà la minoranza dei votanti minore sarà la credibilità degli eletti. E a fronte di qualsiasi legge partorita in tale contesto, la maggioranza dei cittadini avrebbe buon gioco a rispondere: “Non vi riconosco. Non mi rappresentate”.
Siamo abituati a vedere la rappresentanza politica dalla parte di coloro che si presentano alla competizione elettorale, tanto è vero che chiediamo loro di mostrarci il programma. Dovremmo invece cercare di vedere la competizione dal punto di vista degli elettori, sottoponendo ai politici le nostre richieste. Così facendo, nel caso in cui nessun competitore risponda agli ideali e alle esigenze espresse, nulla vieta che si arrivi alla conclusione di non concedere a nessuno il proprio voto. Un attacco alla democrazia? No, una presa di coscienza da parte del demos, non più disposto a farsi rappresentare da chi non se lo merita. Riflettere sull’astensione aiuta a spostare il punto di vista dall’offerta politica alla domanda politica.
Arrivo a sostenere che l’astensione possa risultare obbligatoria, in coscienza, a fronte di determinate condizioni legate ai meccanismi elettorali e alla qualità dell’offerta. Non votare è meglio che votare male. Non votare è scelta obbligata quando non ci sono oggettivamente le condizioni per votare bene. In quanto diritto, il voto va esercitato al meglio. Se le condizioni date sono tali per cui, votando, si può solo votare male, il diritto al voto viene pericolosamente svalutato.
Dipinto strumentalmente come espressione di antipolitica e qualunquismo, il non voto è in realtà un’arma potente, perché va a intaccare la legittimità politica. Se il non voto nasce da una riflessione consapevole sulla rappresentanza politica, non votare non significa sbarazzarsi della propria responsabilità: significa esercitarla al massimo grado.
In una democrazia rappresentativa abbiamo un confronto tra due poteri: quello dei rappresentanti e quello dei rappresentati. Concedere il proprio voto di malavoglia e turandosi il naso non fa che rafforzare il potere dei rappresentanti. Il non voto contribuisce invece a ridare importanza ai rappresentati, i quali mediante l’astensione dimostrano di non voler stare al gioco a qualsiasi condizione.
La legittimità della classe politica si fonda sul consenso politico che le viene attribuito. Ridurre o eliminare il consenso mette in crisi la legittimità. Dunque l’autorità.
Si tratta di riflessioni quanto mai necessarie alla luce di quanto abbiamo vissuto negli ultimi due anni nelle nostre democrazie rapidamente trasformatesi in democrature o pseudodemocrazie.
Se l’offerta politica è formata da chi in un modo o nell’altro ha contribuito alla discesa verso l’autoritarismo sostanziale, il non voto diventa obbligatorio. Con il non voto affermo che non sono disposto a dare il mio consenso, e dunque a legittimare, coloro che si sono resi responsabili dell’involuzione in senso autoritario.
Direte: ma ci sono anche le forze antisistema. È vero. Ma (lo dico con dispiacere, perché all’interno di queste forze ci sono persone degne di stima) il fatto che non si siano unite e che sembrino già afflitte dai personalismi (per tacere di alcune candidature fortemente problematiche) non mi consente di dare loro il mio consenso.
Per tutte queste ragioni dico: mi sa tanto che questa volta non voterò.
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