Cari amici di Duc in altum, a partire da oggi il cardinale Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong, sarà processato. Alla sbarra con il porporato ci saranno altri cinque sostenitori della democrazia arrestati assieme al cardinale lo scorso maggio: l’avvocato Margaret Ng, la cantante Denise Ho, l’ex parlamentare Cyd Ho, l’accademico Hui Po-keung e l’attivista Sze Ching-wee.
Anche se Zen, che ha compiuto novant’anni lo scorso gennaio, non dovrebbe rischiare il carcere ma solo una pesante multa (è infatti caduta l’accusa principale, di collusione con potenze straniere. Il capo di imputazione riguarda la mancata registrazione del Fondo utilizzato dal cardinale e dagli attivisti pro-democrazia per assistere i manifestanti delle proteste del 2019), il processo ha una pesante portata sia sostanziale sia simbolica.
Il processo avviene proprio nel momento in cui si deve decidere se confermare per altri due anni l’accordo segreto fra Cina e Santa Sede sulla nomina dei vescovi, che scade il 22 ottobre. Tutto lascia prevedere che l’accordo, stipulato nel 2018, sarà confermato, dopo che Francesco si è espresso in tal senso. Ora, il fatto che l’accordo venga confermato mentre l’anziano cardinale Zen, che si è strenuamente speso contro l’intesa con Pechino, è trascinato in tribunale, costituisce una profonda ferita e una grande umiliazione per la Chiesa cattolica.
Dopo l’accordo, la persecuzione anticattolica in Cina non si è affatto fermata. Al contrario, è diventata ancora più sfacciata. Tutto come previsto da Zen. Cedendo su tutto, la Santa Sede ha consegnato i cattolici cinesi al regime comunista senza ottenere nulla in cambio. Un patto col diavolo, come l’ha definito Nathan Law, tra i leader della resistenza in esilio.
A rendere più triste la situazione hanno provveduto le parole di Francesco in aereo di ritorno dal Kazakistan, quando, in u discorso al solito fumoso, ha in pratica scaricato Zen parlando di lui come di un “anziano” che “dice quello che sente”, ma “parlare della Cina come antidemocratica io non me la sento”.
Davanti a questa situazione, Aurelio Porfiri, guardando alla storia, ci ricorda il cristallino insegnamento di Pio XII e una delle figure più eroiche della Chiesa cattolica cinese fedele a Roma. Altri tempi. Altri papi.
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di Aurelio Porfiri
Come è ben noto, la Cina cattolica ha conosciuto grandi tensioni dopo che nel 1957 il governo comunista decise di creare l’Associazione patriottica cattolica cinese, organismo che intende governare i cattolici cinesi indipendentemente dal Papa e dalla Santa Sede. Questo per un cattolico non è ovviamente possibile e nell’anno 1958 Pio XII reagì puntualmente con l’enciclica Ad Apostolorum Principis in cui tra l’altro diceva: “Ma nello stesso tempo è Nostro dovere denunciare apertamente – e lo facciamo con profonda pena – il nuovo e più insidioso tentativo di sviluppare e di portare alle estreme conseguenze il funesto errore che Noi così chiaramente avevamo riprovato. Infatti, con un piano che si rivela accuratamente disposto, è stata fondata presso di voi una ‘associazione patriottica’, alla quale i cattolici con pressioni di ogni genere sono costretti ad aderire. Questa – come è stato detto più volte – avrebbe lo scopo di unire il clero e i fedeli nel nome dell’amore della patria e della religione per propagare lo spirito patriottico, difendere la pace tra i popoli e al tempo stesso cooperare alla ‘costruzione del socialismo’ già stabilito nel paese, nonché aiutare le autorità civili ad applicare la cosiddetta politica di libertà religiosa. Ma è ormai anche troppo chiaro che, sotto queste espressioni di pace e di patriottismo che potrebbero trarre in inganno gli ingenui, il movimento che si dice patriottico propugna tesi e promuove iniziative che mirano a ben precisi scopi perniciosi. Sotto il falso pretesto di patriottismo, infatti, l’associazione vuole gradualmente condurre i cattolici a dare l’adesione e l’appoggio ai principi del materialismo ateo, negatore di Dio e di tutti i principi soprannaturali. Sotto il pretesto di difendere la pace, la stessa organizzazione fa propri e diffonde falsi sospetti e accuse contro molti ecclesiastici, contro venerandi pastori, contro la stessa sede apostolica, attribuendo loro insani propositi di imperialismo, di acquiescenza e complicità nello sfruttamento dei popoli, di preconcetta ostilità verso la nazione cinese. Mentre da una parte si afferma che è necessaria una assoluta libertà religiosa, e si proclama di voler facilitare le relazioni tra l’autorità ecclesiastica e la civile, di fatto l’associazione pretende che la chiesa, posposti e trascurati i suoi diritti, rimanga del tutto sottoposta alle autorità civili. I membri sono quindi spinti ad accettare e giustificare ingiusti provvedimenti come l’espulsione dei missionari, l’incarceramento dei vescovi, di sacerdoti; di religiosi e religiose, di fedeli; sono parimenti costretti ad acconsentire alle misure prese per impedire pertinacemente la giurisdizione di tanti legittimi pastori; sono indotti a sostenere principi che ripugnano all’unità e all’universalità della chiesa e alla sua costituzione gerarchica, nonché ad ammettere iniziative intese a sovvertire l’obbedienza del clero e dei fedeli ai legittimi ordinari, e a staccare le varie comunità cattoliche dall’unione con la sede apostolica”. Questa condanna rimase immutata nei decenni e fu ribadita anche nel 2007 da Benedetto XVI nella Lettera ai cattolici cinesi: “Nelle singole nazioni tutti i Vescovi legittimi costituiscono una Conferenza episcopale, retta secondo uno statuto proprio che, a norma del diritto canonico, deve essere approvato dalla Sede Apostolica. Tale Conferenza episcopale esprime la comunione fraterna di tutti i Vescovi di una nazione e tratta le questioni dottrinali e pastorali, che sono rilevanti per l’intera comunità cattolica nel Paese, senza però interferire nell’esercizio della potestà ordinaria e immediata di ogni Vescovo nella sua diocesi propria. Inoltre, ogni Conferenza episcopale mantiene opportuni e utili contatti con le Autorità civili del luogo, anche per favorire la collaborazione tra la Chiesa e lo Stato, ma è ovvio che una Conferenza episcopale non può essere sottoposta a nessuna Autorità civile nelle questioni di fede e di vita secondo la fede (fides et mores, vita sacramentale), che sono esclusivamente di competenza della Chiesa”.
Non pochi vescovi hanno testimoniato la loro fedeltà alla Santa Sede rinunciando a entrare nella Chiesa patriottica. Fra questi Giuseppe Fan Zhongliang, figura emblematica. A vent’anni si unisce ai gesuiti e nel 1951 viene ordinato sacerdote. Nel 1955 è arrestato a Shanghai insieme al vescovo Kung e nel 1958 è condannato a vent’anni di prigione. Al suo rilascio, nel 1978, si dedica all’insegnamento e nel 1985 è ordinato vescovo coadiutore di Shanghai, con il vescovo Kung ancora in prigione. Il vescovo Fan verrà arrestato in seguito più volte. Alla morte del cardinale Kung (che sarà creato cardinale da Giovanni Paolo II) egli diventa il vescovo ordinario per volere del Vaticano. Ma il governo cinese nomina come vescovo di Shanghai Aloysius Jin Luxian, creando una spaccatura nella Chiesa. I due in seguito cercheranno di collaborare anche se il vescovo Fan rimarrà praticamente per tutta la sua vita sotto sorveglianza e agli arresti domiciliari. Esiste un video girato dopo la sua morte dove è possibile vedere i fedeli che omaggiano questo grande Pastore, simbolo di resistenza e perseveranza nella fede.