Dibattito sulla Chiesa / Ulteriori (e sofferte) considerazioni
di Fabio Battiston
Mi permetto di intervenire nuovamente sul dibattito in corso sul se e come essere in questa Chiesa. L’obiettivo è quello di meglio precisare ed argomentare le considerazioni che ho proposto nei miei precedenti interventi.
Anzitutto alcuni chiarimenti che ritengo essenziali prima di entrare nel merito della questione.
Primo. Condivido totalmente le analisi, le critiche ed i rilievi (anche molto decisi e spesso estremamente duri) che ormai da diversi anni si riversano – sui piani dottrinale, magisteriale e pastorale – sull’attuale…inquilino di Santa Marta. Non mi riferisco, ovviamente, al solo monsignor Carlo Maria Viganò ma anche a tutti quei rappresentanti del clero cattolico, dai cardinali sino all’ultimo parroco di campagna, che hanno avuto ed hanno il coraggio di parlare e di denunciare, in modo lucido e documentato, la situazione in cui versa la Chiesa cattolica.
Secondo. considero una vera benedizione l’esistenza di una realtà, mi si passi il termine, resistenziale grazie alla quale noi laici possiamo trarre forza e determinazione per condurre questa battaglia insieme ai sacerdoti che condividono le nostre ansie. Il silenzio e l’ignavia, nello scenario che stiamo vivendo, sarebbero i più gravi dei peccati.
Terzo. Concordo in pieno con il concetto che chiunque si ponga in atteggiamento di contrapposizione, accusa o denuncia abbia come bersaglio la sola componente umana, e quindi fallibile, della Chiesa cattolica. Tale distinzione deve essere costantemente rimarcata. Parlare di apostasia, neopaganesimo, illegittimità e financo satanismo di chi oggi ha in mano, a tutti i livelli, il destino della Chiesa non intacca minimamente la nostra appartenenza, come membra vive, al Corpo Mistico di Cristo.
Ciò detto, devo però ancora riproporre quella che ritengo la domanda fondamentale. Una domanda alla quale ciascuno di noi – come laico o ministro consacrato – deve (o dovrà) prima o poi rispondere in modo definitivo. Posso ancora “essere, restare e vivere” in “questa” Ecclesia? È possibile scindere la nostra appartenenza alla Chiesa tenendo conto della sua doppia natura spirituale ed umana? E ancora: rispondendo sì a tale domanda non saremmo comunque obbligati ad una scelta scismatica? È Gesù Cristo che ha posto le basi affinché la Chiesa terrena fosse elemento imprescindibile ed inscindibile del Corpo Mistico. Non esistono cristiani, siano essi cattolici, ortodossi, protestanti, copti, ecc. al di fuori della loro Chiesa. E ciascuna di esse vive ed opera nella sua doppia natura. Spero di non scandalizzare nessuno se, in questo contesto, faccio riferimento a due grandi figure della filosofia e dell’ortodossia russa: Vladimir Solovëv e Pavel Aleksandrovič Florenskij; di quest’ultimo, una figura che amo particolarmente, voglio ricordare il suo profondo concetto di Divinoumanità della Chiesa cui dedica un capitolo nel suo Il concetto di Chiesa nella Sacra Scrittura (Edizioni San Paolo, 2008).
Auspicando l’aiuto e l’ispirazione di Nostro Signore, è dalla risposta che daremo a tali domande – a noi stessi ed alla nostra coscienza di credenti e peccatori – che dipenderanno le scelte che faremo e le decisioni che prenderemo.
Per quanto mi riguarda – l’ho già accennato nei miei precedenti interventi – mi considero tutt’ora in cammino per arrivare a una risposta conclusiva; certamente i dubbi, le problematiche ed una sorta di “fastidio fisico e psicologico” a vivere e relazionarmi con quanto la nostra Chiesa mostra oggi di essere aumentano sempre più. E non si tratta, si badi bene, di una reazione che scaturisce da un banale “questo è un Papa che non mi piace”, sarebbe puerile e sciocco. Ha perfettamente ragione monsignor Viganò quando afferma che La Chiesa non è un’associazione che si può decidere di abbandonare quando non ci si trova d’accordo con chi la dirige. Tuttavia penso non si possa non tener conto che, oggi, non ci troviamo “soltanto” di fronte ad un Papa falso profeta, ad un isolato apostata promotore di un proselitismo panteista e neopagano. Quello che stiamo vivendo è invece la parte conclusiva (?) di un processo assai ampio e complesso le cui radici, dentro la Chiesa istituzione, affondano in periodi addirittura precedenti il Concilio Vaticano II. Pensiamo, ad esempio, a quanto il cosiddetto cattolicesimo liberale, affermatosi nel post-Risorgimento, ha prodotto in termini di inquinamento protestante della nostra fede. Oppure – e qui qualcuno sobbalzerà dalla sedia – al progressivo secolarismo/relativismo inevitabilmente determinato, nei fedeli, dall’ingresso della politica nel mondo cattolico (o dei cattolici in politica, fate voi). Politica come arte del possibile e difesa dei valori non negoziabili: un ossimoro. Quello di cui oggi facciamo parte è un gigantesco scenario ecclesiale che – partendo dai suoi vertici – ha ormai inglobato la gran parte del collegio cardinalizio, numerose e potenti conferenze episcopali (specialmente in Europa e nelle Americhe) ordini monastici, congregazioni e – non certo ultimo – la maggioranza del mondo delle parrocchie e dell’associazionismo cattolico-laico. Se aggiungiamo in questo scenario la mostruosa saldatura che si è ormai creata tra – prendendo ancora a prestito un’efficacissima definizione di Viganò – i lupi travestiti da agnelli, i falsi profeti e le organizzazioni globaliste assistite dall’informazione/comunicazione massmediale, ci rendiamo ben conto di quale è la tristissima realtà che ci circonda. Trasformo questa mia argomentazione in una domanda: in una città di un milione di abitanti in cui – progressivamente e inesorabilmente – cultura, consuetudini, tradizioni e valori sono stati spazzati e sostituiti da “altro”, poichè il 95% della popolazione ha mutato i suoi modi di fare, essere e relazionarsi, chi si troverà nella condizione di doverla lasciare? O meglio, chi sarà costretto a scappare?
Quando monsignor Viganò afferma, con grande autorevolezza, che… Non sono i cattolici che devono lasciare una Chiesa divenuta eretica nella sua Gerarchia, ma i lupi travestiti da agnelli e i falsi profeti, che abusano dell’autorità vicaria di Dio e usurpano una potestà contro il fine per cui essa è stata istituita da Nostro Signore, egli sostiene una posizione certamente giusta e sacrosanta. Essa tuttavia si scontra con una realtà che vede noi cattolici altri – ormai sparuta minoranza – essere sostanzialmente espulsi da questo contesto ecclesiale. In altre parole, non siamo più noi a poter decidere se abbandonare la barca di Pietro o restarci; è quella moltitudine di “lupi” che ci sta cacciando via o, almeno, tenta di farlo. Un esempio paradigmatico di questa mia affermazione è facilmente riscontrabile nella liturgia. Il progetto in atto prevede infatti “l’espulsione” definitiva della Tradizione da qualsiasi rito di Santa Romana Chiesa. E quando, tra non molto, non vi saranno più Chiese ove poter assistere alla Santa Messa in rito Tridentino… Signore da chi andremo? Probabilmente ci si riserva un futuro prossimo nelle catacombe.
Vorrei ora porre alcune ulteriori domande su alcuni aspetti che non riesco proprio a comprendere. È certamente la mia limitatezza a mettermi in questa condizione. Ben vengano quindi coloro che, su ciò che ora chiederò, potranno utilmente illuminarmi/ci.
La prima domanda la rivolgo sia ai sacerdoti che ai laici. Ma se si afferma (e io lo condivido) che Jorge Bergoglio – per parole, scritti, decisioni e opere – è e rappresenta tutto ciò che in questi anni ben conosciamo, perché si accetta di celebrare una messa, o parteciparvi, in comunione con lui (il famoso una cum)? Attenzione, con questa domanda io non voglio assolutamente entrare nella questione inerente alla validità o meno della Santa Messa; dico soltanto che appare oltremodo incomprensibile sentir recitare la formula In comunione col nostro Vescovo e Papa Francesco da quegli esponenti del clero che (giustamente) esprimono aspre e motivate critiche all’azione di costui. Qualcuno potrebbe obiettare: “Ma se non con Francesco, in comunione con chi?” Dal 2013, personalmente, continuo a recitare in silenzio In comunione col nostro Vescovo e Papa Benedetto XVI.
Il secondo quesito riguarda l’effettiva portata e validità, in termini magisteriali e dottrinali, di tutto ciò che sta connotando il pontificato dell’inquilino di Santa Marta. In questi anni ho spesso sentito affermare da autorevoli rappresentanti del clero che, in realtà, le posizioni verba e scripta di Bergoglio non dovevano e non potevano costituire una reale problematica in termini di Magistero e conservazione del Depositium fidei. I suoi scritti, ad esempio, essendo spesso formalizzati in Motu proprio, lettere o esortazioni sono stati frettolosamente derubricati, da questi commentatori, alla stregua di semplici atti amministrativi. Ancor più insignificanti, rispetto alla dottrina ed alla pastorale, sono state ovviamente trattate le dichiarazioni, interviste, discorsi, ecc. Ma allora, come stanno effettivamente le cose? Vorrei richiamare, a riguardo, alcuni articoli del Catechismo della Chiesa cattolica (1992) quelli riguardanti, in particolare l’ufficio di insegnare (mie le sottolineature).
Art. 888 (incipit). I vescovi, con i presbiteri loro cooperatori “hanno anzitutto il dovere di annunziare a tutti il Vangelo di Dio”, secondo il comando del Signore. Poche righe che richiamano, tra l’altro, la missione fondamentale della Chiesa sancita al capitolo 1 della Lumen gentium. Inserisco questo articolo solo per richiamare l’evidente contrasto tra queste parole è l’effettiva “missione” che sta distinguendo l’attuale pontificato.
Art. 889. Cristo, che è la verità, ha voluto rendere la sua Chiesa partecipe della propria infallibilità… Il Popolo di Dio “aderisce indefettibilmente alla fede” sotto la guida del Magistero vivente della Chiesa.
Art. 890 (inizio). La missione del Magistero [verso il Popolo] è di salvaguardarlo dalle deviazioni e dai cedimenti; garantirgli la possibilità oggettiva di professare senza errore l’autentica fede. Il compito pastorale del Magistero è quindi ordinato a vigilare affinchè il Popolo di Dio rimanga nella verità che libera.
Tralascio l’articolo 891, dedicato all’infallibilità papale, in quanto non strettamente attinente all’argomentazione che intendo sostenere.
Art.892 (importantissimo e legato all’891). L’assistenza divina è inoltre data ai successori degli Apostoli, che insegnano in comunione con il successore di Pietro, e, in modo speciale al Vescovo di Roma, pastore di tutta la Chiesa, quando, pur senza arrivare ad una definizione infallibile e senza pronunciarsi in maniera definitiva propongono, nell’esercizio del Magistero ordinario, un insegnamento che porta ad una migliore intelligenza della Rivelazione in materia di fede e di costumi. A questo insegnamento ordinario i fedeli devono aderire col religioso ossequio dello spirito che, pur distinguendosi dall’ossequio della fede, tuttavia ne è il prolungamento.
Le parole di questi articoli sono chiarissime e, a un tempo, gravissime rispetto alla temperie che stiamo attraversando. Dunque è acclarato che il compito pastorale del Magistero sia quello di mantenere il Popolo di Dio nella verità. E par anche di capire che l’assistenza dello Spirito Santo in questo compito (cioè nell’attività/insegnamento dottrinale, magisteriale e pastorale del Papa) si mantiene viva ed operante al di là di situazioni ex cathedra; è altresì necessario che alle risultanze di detta attività debba esservi una totale ed incondizionata adesione dei fedeli. Come si concilia tutto questo con la decisa sottovalutazione che in molti ambienti viene fatta sugli effetti reali dell’azione bergogliana? Perché delle due l’una: o Jorge Mario Bergoglio è totalmente (o in gran parte) conforme ai dettami definiti negli articoli citati e allora, essendo pienamente ispirato dallo Spirito Santo, è scorretto attaccarlo e malefico metterne in discussione pensieri, parole ed opere di questi dieci anni. Oppure – come penso – le centinaia di dichiarazioni, libri, interviste e prese di posizione da parte di autorevoli esponenti del clero e del laicato cattolico hanno un reale fondamento di attendibilità e verità. Ma allora, quasi come un logico automatismo, debbono conseguentemente scattare una serie di azioni, decisioni, accuse e denunce connotate da un livello di forza e gravità via via crescente. Tra queste azioni – vista la vastità, potenza e pervasività della minaccia della Nuova Chiesa Universale di matrice catto globalista e massonica – deve poter essere contemplata anche l’extrema ratio dello scisma (e qui son certo che mi pioveranno addosso le inevitabili accuse d’essere uno strumento del demonio, che fomenta divisioni all’interno della Chiesa. Accetto tutto, ma parliamone almeno).
Un’ultima domanda, infine, che mi è sollecitata da due splendide frasi che monsignor Viganò ci ha dato nella sua lettera con la quale ha grandemente arricchito questo nostro dibattito:
Guardiamoci dal considerare la Chiesa responsabile delle colpe dei suoi Ministri
E ancora: Essa è santa perché è Corpo Mistico di Cristo, e quel che vi è di corruttibile non le appartiene.
La domanda che pongo è probabilmente ingenua, tipica di chi non ha – come me – i necessari strumenti e la cultura per affrontare tematiche teologiche: ma se tutto ciò che è corruttibile non appartiene alla Chiesa, come dobbiamo considerare il rapporto tra essa ed i suoi Ministri, fino allo stesso Vicario di Cristo in Terra? Sant’Ambrogio ha scritto: Ubi Petrus, ibi ecclesia. Non posso fare a meno di chiedermi: quanto è fondamentale allora questo Petrus (nei suoi pensieri, parole, opere, omissioni, ecc.) nella mia personale relazione con la Chiesa? Una relazione che non può, io credo, non essere costruita su due piani (e qui torniamo al concetto della divinoumanità): il primo, fondamentale, come parte delle membra del Corpo Mistico di Cristo; il secondo come credente che vive nella Chiesa in quanto “istituzione umana”. E cosa avviene in una situazione come quella che stiamo vivendo, nella quale non solo Petrus, ma la gran parte dei Ministri della Chiesa e molti suoi fedeli sembrano seguire direttive deviate?
Una possibile risposta pare emergere da quanto ci dice Viganò: Ma come la Vergine Santissima partecipò alla Passione del Suo divin Figlio ai piedi della Croce, così anche la Chiesa – nelle sue singole membra durante i secoli e nell’intero corpo alla fine dei tempi – deve vivere il passio Ecclesiæ seguendo il proprio Capo sulla via del Calvario.
È quindi questo il nostro compito (comunque di peccatori, non dimentichiamolo mai, poiché il rischio di essere quelli che gettano la prima pietra è sempre dietro l’angolo) dentro una Chiesa in cui prevale la corruttibilità dei suoi Ministri? Vivere da fedeli isolati la passio Ecclesiæ così come la Santa Vergine partecipò alla Passione del Figlio? Ma in questo scenario non finisce, definitivamente (?), qualsiasi mediazione sacerdotale? Non diviene prevalente, fino a essere esclusivo, un rapporto “diretto e personale” con il Dio trinitario, un rapporto nel quale scompare sostanzialmente qualsiasi scopo della Chiesa intesa come istituzione? Non so cosa pensare, chiedo aiuto.
Troppe domande? Non sarà forse meglio vivere una fede dei semplici (dando a questo aggettivo la più alta dignità e nobiltà)? Forse è un mio limite ma, parafrasando Chesterton, sono sempre stato tra quei cattolici che – entrando in chiesa – si tolgono il cappello ma non il cervello. Al tempo stesso, però, continuo a vivere con grande angoscia la mia presenza dentro questa Chiesa; osservo, con sgomento, la crescita progressiva e inarrestabile di un se-dicente “popolo di Dio” (clero e laici) sempre più allineato con la deriva apostatico-sincretistica definitivamente esplosa in questi ultimi dieci anni. Noi invece siamo sempre di meno e, quel che è peggio, stiamo costantemente diminuendo. Sono anch’io convinto che a essere cacciati dovrebbero essere i lupi che stanno usurpando la Cattedra di Pietro ma, al tempo stesso, mi domando: non potremmo meglio combattere la nostra battaglia scendendo tutti uniti da questo “autobus” prima che esso precipiti, esplodendo, nel burrone dove sta per gettarsi?
Con questo ho terminato. Chi scrive è il primo tra i peccatori e certamente l’ultimo a poter dare lezioni di probità ai lupi che infestano questa nostra Chiesa; forse sono anche uomo di poca/incerta fede se ancora non dedico il giusto tempo per pregare Nostro Signore e la Vergine Santa affinché ci diano la forza che deriva da una certezza: che saranno Loro a portarci alla vittoria, sconfiggendo di volta in volta i nemici che il Male, nei tempi storici, invia per distruggere la Chiesa e la fede. Mi trovo, come tutti noi, in cammino e il percorso, purtroppo, è lungo e in parte ancora oscuro.