di Antonio Polazzo
Caro Aldo Maria Valli,
seguo da qualche giorno la discussione aperta da Fabio Battiston sull’intervista rilasciata da monsignor Viganò a Michael J. Matt per la Catholic Identity Conference.
Monsignor Viganò ha l’indiscutibile merito di dire che il problema dell’attuale crisi nella Chiesa risale al Vaticano II e di dirlo senza mezze parole (“il Concilio Vaticano II […] è la causa principale di questa strage di anime che grida vendetta al Cielo”; il Vaticano II “è estraneo e opposto alla Tradizione”).
Per contro ritengo che il suo pensiero sulla questione dell’autorità della Chiesa, emerso in modo chiaro nella suddetta intervista e nella replica dell’ex nunzio a Battiston, non sia compatibile con la verità dell’indefettibilità della Chiesa.
Dice infatti mons. Viganò[1]:
- “Mai nella Storia abbiamo assistito ad un sistematico tradimento della Fede, della Morale, della Liturgia e della disciplina ecclesiastica, favorito e persino promosso dalla stessa Autorità suprema della Chiesa, nel silenzio complice della Gerarchia e nell’accettazione acritica di molti tra i chierici e i fedeli”;
- “I singoli vescovi e l’intera Gerarchia di questi ultimi decenni dovranno rispondere dinanzi a Dio e alla Storia della propria complicità a questa crisi, anzi di esserne stati per certi versi ispiratori e fautori, abdicando al ruolo della Chiesa di Domina Gentium”;
- “Il problema, come si vede, risiede nella crisi dell’autorità, che non accetta di sottomettersi – essa per prima – alla suprema autorità di Dio”;
- “Ciò che dovrebbe scandalizzare, ed essere ritenuto inaudito, non sono le «gravissime accuse al Papa», che mi sembrano ampiamente fondate, ma il fatto che colui che esercita la propria autorità nella Chiesa si mostri come un nemico di Cristo e del gregge che Egli gli ha affidato, nell’assordante silenzio della Gerarchia, che anzi gli è complice”;
- “Non sono i cattolici che devono lasciare una Chiesa divenuta eretica nella sua gerarchia”.
Per il monsignore, dunque, quella che secondo lui è oggi (dal Vaticano II in poi e comunque oggi) la Chiesa docente, la gerarchia cattolica, è causa di eterna dannazione.
Ma è impossibile pensare questa cosa e contemporaneamente credere nell’indefettibilità della Chiesa.
Se, come vuole la nostra fede, la Chiesa è indefettibile, essa evidentemente non può essere causa di dannazione. Se la Chiesa fosse “diventata” causa di dannazione è chiaro che avrebbe cessato di esistere (sarebbe infatti mutata la sua essenza che è quella di essere causa o strumento esclusivamente di salvezza, Arca di salvezza) e quindi non sarebbe indefettibile.
Le note della Chiesa, che ricordiamo nel Credo, dicono che la Sposa di Cristo, oltre a essere una e cattolica, è santa e apostolica. Anche nella dottrina che insegna, ovviamente.
Dire che un Concilio ecumenico in materia di fede o di morale ha insegnato dottrine non sante e non apostoliche, ha insegnato errori, significa dire che la Chiesa è venuta meno.
Non c’è rimedio concettuale o dialettico che possa cambiare questa realtà.
Se si ritiene che il Vaticano II è stato approvato e promulgato da un vero Papa e da veri vescovi (secondo la gerarchia di giurisdizione) non si può dire che le dottrine da essi approvate e promulgate non sono dottrine della Chiesa e che, invece, sono dottrine soltanto di suoi “ministri” o di suoi “uomini” o della sua “governance” (come se questa o quelli deviassero “in proprio” dalla fede o dalla morale) o della Chiesa docente come entità distinta e dissociata dal Corpo Mistico.
Quando infatti un Concilio ecumenico insegna una cosa è la Chiesa che la insegna. È la Chiesa che parla. Lo stesso vale per ciò che insegna un Papa assieme ai vescovi in comunione con lui allorché i vescovi, anziché essere riuniti in un medesimo luogo fisico intorno al Papa, si trovano dispersi per tutto il mondo.
Ebbene, se quello che il Vaticano II ha insegnato è contrario alla fede o alla morale e si pensa che gli autori di quel magistero siano veri Papi e veri vescovi, cioè la Chiesa, allora non si può credere nello stesso momento che la Chiesa sia indefettibile.
Come quello di ampia parte del cosiddetto tradizionalismo cattolico, il pensiero di monsignor Viganò, pertanto, porta con sé questo enorme problema. Un problema che, come si vede, tocca direttamente la nostra fede.
Personalmente ancora mi auguro e spero che presto egli si convinca della necessità di riconoscere che Francesco e i vescovi in comunione con lui non hanno alcuna autorità apostolica.
Questa mia speranza non si attacca soltanto alla considerazione che lo zelo e il coraggio sono doti che a monsignor Viganò certamente non mancano, ma anche al fatto che egli è fresco di “conversione”, avendo aperto gli occhi sulla drammatica situazione della Chiesa con la condanna del Vaticano II e del Novus Ordo soltanto in anni recenti. Quindi forse deve ancora adeguatamente ponderare le posizioni teologiche di coloro che hanno aperto gli occhi prima di lui.
Inoltre, forse c’è già materia per pensare che la sua fede abbia già “intuito” che le cose stanno così (cioè che Francesco non abbia autorità).
Sempre parlando dell’autorità in rapporto all’attuale situazione della Chiesa, monsignor Viganò, in uno scritto del 31 gennaio 2021[2], ebbe infatti a ricordare che l’autorità “nel momento in cui viene esercitata contro lo scopo per cui essa sussiste, si priva della legittimazione che la giustifica”[3]. Egli, purtroppo, anche in quel contesto esprimeva la stessa posizione che io critico qui oggi. Ma resta il fatto che affermò una cosa molto importante e cioè che la legittimità dell’autorità non esiste al di fuori del fine per cui quell’autorità sussiste. Ma – ed è per questo che penso che “intuisca” che Francesco non abbia autorità – che cos’è in realtà un’autorità illegittima se non una “non autorità”?
Più di quarant’anni prima padre Guérard Des Lauriers o.p. considerando che “nulla sussiste nella Chiesa che per relazione a Cristo che ne è il Capo”[4] aveva evidenziato che “l’Autorità non sussiste come tale che nel rapporto che essa sostiene con la finalità della Chiesa”[5], la quale finalità “è la Gloria di Dio realizzata nella santificazione dei membri che compongono la Chiesa”[6].
Padre Guérard, che morì nel 1988, ne concludeva che Paolo VI e poi Giovanni Paolo II non avevano autorità pontificia (quanto a Paolo VI almeno a partire dalla promulgazione del Vaticano II).
Spero sinceramente che anche monsignor Viganò possa presto giungere a uguale conclusione sia con riguardo ai “pontificati” di Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI (i quali tutti hanno aderito e insegnato il “magistero” del Vaticano II), sia con riguardo al “pontificato” di Francesco.
Non conosco i motivi che “trattengono” monsignor Viganò a non concludere in questo senso.
Penso in generale che molti rifiutino questa conclusione, prima ancora che per sciocchi timori di settarismo, perché da essa discende la dolorosissima visione di una Chiesa attualmente priva di autorità, senza però considerare sufficientemente che dalla conclusione opposta (Francesco è vero Papa e i vescovi in comunione con lui sono la vera Chiesa docente) discende un’immagine infinitamente più angosciante e, soprattutto, assolutamente incompatibile con la nostra fede, l’immagine cioè di una Chiesa che avvelena i propri figli e li porta alla dannazione.
Questo mi riporta alla domanda posta dal signor Battiston nel suo primo intervento: perché Francesco non reagisce contro monsignor Viganò nel modo che sarebbe naturale aspettarsi? È probabile che diversi motivi – che non mi cimento a individuare – abbiano concorso a determinare il comportamento di Francesco (e bene fa Battiston a mettere in luce con quella domanda come l’“autorità” non agisca da vera autorità). Vorrei solo osservare che se è vero che, sul piano pratico-mediatico, difficilmente può dubitarsi che in un caso del genere ogni rumore in qualche modo favorirebbe le posizioni di monsignor Viganò, posto che -Francesco lo sa benissimo- senza quel rumore monsignor Vigano rimane prigioniero del silenzio, ignoto alla gran parte della gente. Se è vero questo, dicevo, sotto diverso profilo mi sembra però altrettanto vero che finché monsignor Viganò vedrà in Francesco l’autorità di un vero Pontefice, il “falso vero Pontefice” saprà di averlo in pugno, perché saprà che egli è parte integrante, benché indocile, della religione del Novus Ordo (una religione che dalla FSSPX e monsignor Viganò al – che so – “cardinale” Marx reputa di avere in Bergoglio il Romano Pontefice). Del resto, l’idea di una Chiesa che porta alla dannazione non può, in fin dei conti, che essere ben voluta dai fautori della Rivoluzione.
Ps: A scanso di ogni possibile equivoco tengo a precisare che ho scritto quello che ho scritto col massimo rispetto di monsignor Viganò e di tutti i carissimi lettori di Duc in altum che sono intervenuti, senza minimamente dubitare delle buone intenzioni di alcuno.
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[1] Le frasi sono estratte dalle due fonti appena citate.
[2] Cfr.: https://www.medias-presse.info/reponse-de-mgr-vigano-a-un-superieur-de-communaute-au-sujet-de-la-crise-dautorite-dans-leglise/139988/.
[3] Anche nei due interventi di mons. Viganò che costituiscono oggetto della discussione cominciata da Fabio Battiston ci sono tracce della suddetta “intuizione”. Ad esempio, l’ex nunzio dice:
- “L’autorità istituita per custodire la Fede non può legiferare contro di essa, proprio perché attinge il proprio potere dalla stessa fonte, cioè Dio supremo Legislatore, che non può essere in contraddizione con Se stesso”;
- “Oggi […] la Sede Apostolica è occupata da un nemico dichiarato della Chiesa di Cristo”;
- “totale estraneità di Bergoglio al Papato”;
- “Non sono i cattolici che devono lasciare una Chiesa divenuta eretica nella sua gerarchia, ma i lupi travestiti da agnelli e i falsi profeti, che abusano dell’autorità vicaria di Dio e usurpano una potestà contro il fine per cui essa è stata istituita da Nostro Signore” [usurpa chi fa indebitamente proprio un ufficio legittimamente spettante ad altri o comunque non a lui].
[4] R.P. M.L. Guérard des Lauriers o.p. in Cahiers de Cassiciacum – Etudes de sciences religiueuses, I, Le Siège Apostolique est-il vacant? (lex orandi, lex credendi), Nice, 1979, p. 44 (“Rien ne subsiste dans l’Eglise que par relation au Christ qui en est le Chef”).
[5] Ivi, p. 43 (“l’Autorité ne subsiste en tant que telle, que dans le rapport qu’elle soutient avec la finalité de l’Eglise”).
[6] Ivi, pp. 42-43 (“L’Eglise est un collectif humain, en ce sens qu’elle est composée d’êtres humains qui, par grâce et par choix libre, ont une Fin commune. Cette Fin, qu’on peut appeler Bien divin, est la Gloire de Dieu réalisée dans la sanctification des membres qui composent l’Eglise”).
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