Quella brutta storia del vaccino “per amore” e il virus della paura
Ci vuole una memoria molto corta oppure una buona dose di malafede per negare che alla base dell’imposizione, da parte del governo Draghi, del cosiddetto Green Pass c’era la presunzione che il vaccino impedisse il contagio del virus covid 19.
Lo hanno detto mille volte, lo hanno ripetuto fino alla noia: il vaccino impedisce il contagio, chi si vaccina non trasmette il virus, chi non si vaccina è invece “pericoloso” perché mette a rischio la vita degli altri!
Lo disse il presidente Mattarella, poi con estrema saccenza lo ribadì Draghi nel suo famoso discorso contro i non vaccinati (“Non ti vaccini, ti ammali, contagi, fai morire“), lo imposero Speranza e Sileri come “verità scientifica” (“Renderemo la vita difficile comenlo stiamo facendo perché i non vaccinati sono pericolosi!“), lo annunciarono ogni giorno su tv e radio i virostar (“A Natale non invitate i non vaccinati!”), lo ricordarono i datori di lavoro, lo reiterarono i colleghi e i vicini di casa. Chi si vaccina non si ammala e non trasmette la malattia, chi non si vaccina è pericoloso per la società.
Lo annunciò persino papa Bergoglio che, dal soglio di Pietro, esortò le nazioni a vaccinarsi come un “atto d’amore” e lo impose con fermezza irremovibile nel piccolo stato dove regna sovrano, il Vaticano, dove non fu più permesso entrare senza vaccino e dove alcuni lavoratori furono ipso facto sospesi e lasciati senza stipendio (sempre “per amore”). Alcuni vescovi sospesero i loro sacerdoti non vaccinati, alcuni parroci impedirono l’accesso a incontri, celebrazioni e catechismo (non alla messa) ai non vaccinati. Il vaccino divenne così dogma di fede e i non vaccinati definiti quasi scismatici per opposizione al Papa. Tutto questo senza contare la delicatissima questione etica delle linee cellulari di feti abortiti utilizzate dai vaccini in commercio, sulla quale la Chiesa, dopo essersi espressa in maniera chiara, ha di fatto soprasseduto in base alla (falsa) idea che il vaccino fosse efficace e l’unica via per sterminare l’epidemia.
Chi osava mettere in dubbio l’efficacia di un vaccino sperimentale, approvato in tempi record, acquistato e somministrato su scala mondiale come il migliore, anzi l’unico mezzo per fermare i contagi, venne subito catalogato come un incosciente reazionario, un pericolo per la società, un complottista e menefreghista, incurante della sorte dei propri cari e concittadini. In base a questo assioma fu azionata la macchina di fango contro i “novax” mentre partiva la cosiddetta “campagna” vaccinale e su questo principio furono vaccinati i giovani e persino i bambini, premiati con certificati di coraggio per essersi impegnati per salvare genitori, maestri e nonni.
Poi, col passare del tempo, il vaccino si rivelò inutile ai fini della trasmissione del virus e la narrazione ufficiale dovette cambiare: “Non impedisce il contagio – sentenziarono – ma preserva dalla malattia grave”. In un solo colpo cadde la definizione dogmatica del “vaccino per amore”. Il vaccino non salva gli altri ma salva se stessi dalle forme acute del covid.
Ma la scienza (e l’economia) non poteva certo badare a queste particolarità e il Green Pass da vaccino (o Super Green Pass) diventò la chiave per far parte della società. Il resto della popolazione poteva tranquillamente rimanere a casa (“Chiusi in casa come sorci!”, disse Burioni). Senza lavoro, senza stipendio, senza permesso di entrare nei negozi, nei bar, nei ristoranti e senza poter utilizzare i mezzi di trasporto pubblico. Molti medici e professori furono sospesi. Lo stato fu il mandante, i giornali e giornalisti la sua voce, le forze dell’ordine e gli operatori sanitari gli esecutori e i semplici cittadini il suo occhio: gli occhi dei vicini di casa, dei colleghi e degli amici (ben istruiti e impauriti dalla propaganda) diventarono gli occhi del Grande Fratello di orwelliana memoria. Spiati, additati, accusati, i no vax diventarono il male sociale da estirpare.
Nonostante la memoria corta della maggioranza degli italiani, l’obbligo vaccinale e la relativa tessera verde rimarrà nella storia come la più grande discriminazioni di stato avvenuta dopo il ventennio fascista. Mai nel dopoguerra, una minoranza della popolazione fu volutamente privata dei diritti fondamentali (mobilità, parola, lavoro, stipendio, assistenza dei propri cari…) ed esclusa dalla vita sociale (parole di Draghi e dei vari medici e giornalisti) per norma di legge. Con la complicità della magistratura e del presidente della Repubblica lo stato ha promosso una polarizzazione sociale tra buoni e cattivi cittadini, scatenando di fatto una guerriglia civile con i tristi episodi a cui tutti abbiamo assistito. A tutto ciò si aggiungano i danni (alcuni irreversibili) psicologici causati a giovani e bambini (ma non solo) di cui ci si dovrà occupare a breve (e non basterà correre ai ripari con un “bonus psicologico”).
Ora la verità sul vaccino inizia ad emergere (molte cose ancora dovranno essere rivelate): l’agenzia Pfizer ammette che il vaccino non fu testato dal punto di vista della trasmissione del virus. Tutto l’iniquo sistema vessatorio nei confronti dei cittadini non vaccinati basato sul Green Pass si rivela dunque, come volevasi dimostrare, poggiato su una grossa bufala, o meglio, su una colossale fake news di Stato.
Proprio in questi giorni il virologo di stato, il dottor Burioni, dopo aver contratto il virus in seguito alla quarta dose, ha ammesso l’inefficacia del vaccino nell’impedire il contagio (attribuendo il fatto alle varianti). Allo stesso tempo ha definitivamente data per obsoleta l’idea del “vaccino per amore” affermando: “All’inizio chi si vaccinava lo faceva per gli altri, ora chi si vaccina lo fa un po’ per egoismo, per salvare se stesso, ma anche per gli altri perché non va in terapia intensiva a sprecare risorse sanitarie preziose”.
Oggi, scrive Andrea Zambrano sulla Nuova Bussola Quotidiana, una delle poche testate non allineate al verbo vaccinista, “La politica e le sue istituzioni sono mute di fronte all’ammissione clamorosa di Pfizer che in Parlamento europeo ha detto di aver informato i governi che i vaccini a mRna non fermavano il contagio”.
Finita la favola del “vaccini come atto d’amore”, tante domande restano ora, e forse lo resteranno, senza risposta. Furono mossi dall’ignoranza o dalla malafede? A chi ha giovato tutto questo? Come è stato possibile un simile conformismo totalizzante? Com’è stato possibile che la stragrande maggioranza degli italiani abbia obbedito ciecamente ai diktat di una classe politica in continua e palese contraddizione? Come hanno potuto ottenere così tanta autorità i virologi e medici che hanno aggredito verbalmente e accusato con macabra violenza chi non si è sottoposto al vaccino? Come è stato possibile che l’obbligo vaccinale abbia scatenato una guerra civile che ha diviso persino le famiglie e intere comunità, persino le parrocchie? Chi pagherà per il male commesso e diffuso? E infine, cosa resta del ruolo della Chiesa e dei suoi pastori che hanno invocato il vaccino come un atto morale nei confronti dell’altro?
È il contagio della paura diffuso dalle immagini e dai proclami televisivi. Nessuno, al di là delle proclamate buone intenzioni (vaccinarsi “per amore” e “per civiltà”) si è sottoposto alla sperimentazione per amore altrui bensì per aver salva la pelle in un clima di terrore mediatico e politico. “Nessuno si salva da solo” dicevano, per spingere alla vaccinazione totale e relegare i reprobi nel girone dei fratricidi. Da qui l’odio verso il diverso, il lebbroso, colui che “mette a rischio la vita degli altri”, capro espiatorio (come abbiamo più volte visto e raccontato) su cui far sfociare la propria rabbia e paura della morte.
Dietro a questa gestione della pandemia si cela una visione dell’uomo, del mondo e della politica tutt’altro che rassicurante. Come denuncia con coraggio e fermezza Susanna Tamaro nel suo ultimo libro Tornare umani (Solferino 2022), fresco di stampa. La pandemia ci ha lasciato – scrive – “un trauma collettivo di cui oggi viviamo le conseguenze: una situazione di gravissimo contrasto sociale, patologie psicologiche diffuse in forme acute soprattutto tra i giovani, un’incertezza generale sul futuro (…) Una concezione aberrante secondo cui le persone non sono unioni irripetibili di corpo e anima ma solo oggetti da trattare, da riempire di pillole e vaccini, fino all’estremo di sopprimerle quando non più «funzionali»”. “Non sarà, si chiede Tamaro, il caso di tornare a pensare”?
Fonte: testadelserpente.wordpress.com
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