Già un sinodo sulla sinodalità suscita perplessità. La Chiesa che non doveva essere autoreferenziale si avvita su se stessa e si concepisce sempre più come istituzione del tutto umana. Poi, la decisione di Francesco di prolungare il sinodo fino al 2024 le rafforza. Ecco che la Chiesa si mette in una sorta di assemblea permanente, un assemblearismo che ricorda quello sessantottesco e del quale è facile prevedere l’esito: un’orgia di parole alla moda. Discernimento di qua e discernimento di là. Ascolto e cammino, cammino e ascolto. Con il contorno delle solite condanne per i rigidi.
Le comunità locali, in realtà, hanno ascoltato e non hanno risposto. Il disinteresse per questo sinodo pleonastico è totale. Ma al centro, anziché prenderne atto, hanno deciso di rilanciare. Il centralismo dei decentratori è senza pari. Così il sinodo da “evento” diventa “processo”. Processo. Altra parola in voga. Che si tradurrà nella solita produzione di indeterminatezza, di sì che sono anche no, di no che sono anche sì, di formule vaghe che cercano di tenere insieme tutto e il contrario di tutto. Perché mica bisogna essere rigidi.
Nato nel segno della collegialità, e già ci sarebbe molto da dire in proposito, il sinodo sfocia nell’assemblearismo. Ma truccato. Perché con il sinodo del 2014-2015 sulla famiglia il papa forzò la mano rispetto alle posizioni dei vescovi e di fatto lo gestì pilotandolo dal centro. E così è anche adesso.
L’assemblearismo che si prospetta darà quindi la possibilità di introdurre cambiamenti dottrinali nel nome del decentramento. L’autorità magisteriale ne risulterà ulteriormente svalutata, la confusione si farà ancora più marcata e il popolo, l’amato popolo del quale tanto si ciancia, sarà ancora più confuso.
Nella Chiesa antidogmatica si vanno accumulando i nuovi dogmi: accanto al cammino e all’ascolto, la sinodalità ha ormai un suo posto. Un’altra parola magica si è aggiunta all’elenco. La regola è che più il significato è vago, meglio è. La decisione di estendere il sinodo sulla sinodalità è funzionale all’idea che la Chiesa debba essere sempre in sinodo. Ovvero sempre più liquida. Un assemblearismo permanente che si affianchi all’autorità e che anzi diventi esso stesso magistero. Col risultato di legittimare tutto. Perché una Chiesa che cammina, ascolta e discerne, un Chiesa in sinodo, non è una Chiesa che decide, che stabilisce limiti, ma una Chiesa “aperta” e “in uscita”.
Prepariamoci al diluvio di parole vuote e formule ambigue. I nuovi dogmi della Chiesa antidogmatica incombono e saranno gestiti in modo sempre più sfacciato.
A.M.V.
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