“La peste bianca”. Un’epidemia, un dittatore, un popolo narcotizzato. Era il 1937, ma sembra oggi.
di Fabio Longo
Mi sono casualmente imbattuto in una rappresentazione teatrale de La peste bianca (Bila Nemoc) di Karel Capek.
È un’opera del 1937 e mi ha colpito per certe inquietanti analogie con la situazione contemporanea.
In breve, è la storia di un’immaginaria nazione europea in cui improvvisamente compare un’epidemia di origine asiatica a rapida diffusione per la quale non c’è cura.
Questa peste bianca colpisce solo i soggetti oltre i quarantacinque anni uccidendoli in pochi mesi. Ci si aspetta dunque che si cerchi una terapia, ma il dittatore locale preferisce occupare la mente e le energie della popolazione con una continua propaganda bellica, allo scopo di fomentare e mantenere uno stato di guerra contro un Paese limitrofo.
L’unica cura efficace è scoperta da un medico idealista che decide di diffonderla solo in cambio della pace e della rinuncia ai preparativi bellici.
Naturalmente tutto ciò è fortemente osteggiato dall’autocrate, interessato solo a mantenere il controllo totale di una popolazione narcotizzata alla quale la guerra viene inculcata come unica ragione di vita.
Alla fine il dittatore stesso si ammala e implora invano la cura per sé mentre il dottore muore durante un tumulto di strada e la formula della cura scompare con lui.
Davvero inquietante la descrizione di una pandemia asiatica che colpisce solo certe fasce di popolazione, una gestione autocratica che non cerca una terapia ma sacrifica la gente, il parallelo auspicato e promosso avvento di una guerra che occupa e obnubila le menti di tutti: era il 1937, ma sembra oggi.