Cari amici di Duc in altum, da tempo dico che la nostrana Destra è solo l’altra faccia della medaglia globalista. Di conseguenza, non mi aspettavo nulla dal discorso di Giorgia Meloni per la fiducia alla Camera. E quasi nulla è arrivato. In ogni caso Fabio Battiston esamina qui punto per punto il discorso della neopremier. E il fatto che l’abbia ribattezzata Draghina Melonsky fa già capire quale sia il giudizio complessivo.
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di Fabio Battiston
Il 25 ottobre 2022 la Repubblica, la politica e la società italiane hanno celebrato un evento certamente “storico”; il primo discorso di una presidentessa del Consiglio nel dibattito per la fiducia al nuovo governo. Ma non è certo di questo che mi interessa parlare. Lascio volentieri all’inconcludente pettegolezzo dei giornalai nazionali d’ogni colore il disquisire su aspetti che, una volta di più, non fanno altro che perpetuare la stantia contrapposizione sul potere uomo-donna e relative discriminazioni. Si dimentica infatti che, fatte salve le sacrosante diversità di genere valide in ogni campo del vivere, dovremmo parlare sempre e comunque di persone.
Ciò di cui voglio discutere, come cittadino culturalmente, politicamente e direi quasi antropologicamente di destra, è il contenuto specifico di ciò che la Meloni ha proposto nel suo discorso. Un intervento finalmente “politico” (lo dico dando a questa parola la nobiltà e dignità che merita) sul quale tuttavia, da cattolico e persona ideologicamente schierata, nutro più di una grave perplessità e qualche condivisione. Dunque vediamo.
Come cattolico provo delusione. Nel discorso della Meloni, al netto di un breve richiamo alle radici greco-giudaico-cristiane dell’Europa e alla figura di san Benedetto, è totalmente mancata qualsiasi condanna delle nefandezze perpetrate dall’Unione europea sui principi e i valori le cui fondamenta, per due millenni, sono state rappresentate dal pensiero classico e religioso occidentale. Un’azione strategicamente pianificata che ha prodotto, specie in Italia, effetti a dir poco devastanti. Per meglio precisare il concetto voglio citare una dichiarazione dell’insigne giurista austriaco e cultore del Diritto romano Paul Koschaker (1879 – 1951), con la quale egli soleva indicare l’identità europea: “L’Europa poggia su tre colli, Il Partenone, il Campidoglio ed il Golgota”.
Credo sia sotto gli occhi di tutti che in questi ultimi decenni la cosiddetta e mai troppo odiata Unione europea ha ben provveduto a:
- spianare il Partenone;
- diserbare il Campidoglio;
ma soprattutto a:
- disintegrare il Golgota.
Altro forte elemento di delusione è stata l’assenza di ogni riferimento alla possibilità, non dico di abolire, ma almeno di mettere in discussione qualcuno dei capisaldi della legge 194. Nessun accenno, inoltre, da cui si sia potuta percepire l’intenzione del nuovo esecutivo di mettere un freno allo strapotere delle lobby LGBTQRSTUVZ++ sui cosiddetti “diritti civili”. La signora premier, parlando dell’istruzione ad esempio, avrebbe potuto aggiungere alla parola “merito” qualche considerazione che potesse far pensare a una scuola pubblica non più schiava delle ideologie e dei proclami gender/transgender. Anche in questo caso, purtroppo, silenzio assoluto.
Passo ora a un breve accenno di tipo culturale. La signora Giorgia ha ritenuto opportuno – collegandosi alla novità di una donna per la prima volta a Palazzo Chigi – citare per nome una serie di personaggi femminili che hanno contribuito, in cent’anni e più di storia italiana, a rompere quel “tetto di cristallo” più volte richiamato in questi giorni. Intuizione lodevolissima, ma pongo una domanda che è anche una riflessione. Le donne che, una a una, sono state solennemente citate fanno parte di un “album” che qualsiasi rappresentante del pensiero politically correct avrebbe potuto presentare. Dalla signora Meloni, visti i suoi trascorsi giovanili da lei stessa orgogliosamente citati, mi sarei aspettato un piccolo, doveroso omaggio ad alcune grandi donne “di destra” che sono state sovente osteggiate, vilipese e isolate dal mondo della cultura dominante; un ostracismo dovuto proprio alla loro appartenenza ad un’intellettualità sempre odiata e disconosciuta dal pensiero unico. Sarebbe stato bello, allora, sentir evocare nell’aula di Montecitorio i nomi di Ada Negri, Orsola Nemi, Cristina Campo, Margherita Sarfatti, Gianna Preda e Luisa Ferida (fucilata dai partigiani, senza processo e senza prove, insieme al suo compagno Osvaldo Valenti, il 30 aprile 1945). Ma andiamo avanti.
Capitolo politica estera. Qui il disastro è totale. L’allineamento, anzi la sottomissione, della premier alle strategie occidentali (Ue, Usa e Nato) si è evidenziato senza discussione. Le responsabilità del cosiddetto “mondo libero” nella tragica involuzione della crisi russo-ucraina non sono state neppure sfiorate. Non una parola sugli eventi (e massacri) ucraini nel Donbass nel 2012, nulla di nulla sulle conseguenze derivanti dall’irresponsabile strategia di allargamento ad est della Nato a partire dagli anni Novanta. Zero assoluto sulle ignobili e controproducenti sanzioni economiche adottate dalla cricca Von Der Leyen. Si sono solo citati un aggredito (l’Ucraina del neo-nazista Zelensky) e un vile aggressore (la Russia di Putin). Non una parvenza di posizione, non dico autonoma, ma che potesse almeno indicare qualche possibile soluzione alternativa al continuo invio di armi a Kiev e al mantenimento/incrudimento delle sanzioni. Un sì incondizionato della Meloni, quindi, a una scelta che porterà a ulteriori e forse incontrollabili escalation del conflitto. Non a caso, il primissimo atto politico della Meloni “vincente” è stata la telefonata fatta il 5 ottobre 2022 al leader ucraino.
Economia e ambiente. Vi è stato un rapido accenno a una possibile revisione del PNRR. Molto poco a dir la verità. Questo strumento dovrebbe essere rivoltato da capo a piedi sia nel metodo sia nel merito. Niente di simile è emerso dal discorso della premier. Si sarebbe potuto denunciare, ad esempio, che il comparto sanitario è l’ultimo per risorse destinate; esso è addirittura preceduto da quello denominato “Coesione e inclusione” (ci siamo capiti, no?). Perché non proporre il posizionamento all’ultimo posto di questo ridicolo asset, insieme a una drastica riduzione delle risorse a esso destinate? Per il resto è parso chiaro ai più come sia emersa una quasi totale aderenza alle strategie della “Draghinomics”. Il manovratore e padrone europeo non sarà certo disturbato nelle sue indicazioni e direttive. E noi, poveri illusi, che ancora crediamo all’abbandono dell’Euro e a una nostrana Italexit. Sciocchi che siamo! Sul versante ambientale, in luogo di una forte e chiara denuncia di quanto sia falso il concetto di “cause antropiche dei cambiamenti climatici”, si è fatto un vago riferimento a politiche ecosostenibili che non escludano l’uomo e siano frutto di un corretto equilibrio tra salvaguardia ambientale ed esigenze umane. Posizione a mio parere troppo sfumata e ossequiosa verso i poteri forti (anche europei) delle lobby ambientaliste; quei poteri che, qui ed ora, stanno decidendo quali strategie economiche e modelli di sviluppo adottare rispetto a scenari climatico-ambientali disegnati, in modo ideologico, sulla base di presupposti sbagliati! Questa posizione “supina”, dichiarata dal nuovo presidente del Consiglio, non deve però stupire. La scelta di nominare Cingolani (ministro della Transizione ecologica nel governo Draghi) come consigliere del nuovo governo sul medesimo tema, la dice molto lunga sulla continuità sostanziale tra vecchio e nuovo esecutivo. Questo è molto grave.
Qualcuno dirà: “Ma c’è qualcosa che lei ritiene condivisibile?”. Naturalmente sì, ma si tratta di questioni che avrebbero meritato indicazioni ben più corpose e “divisive” su modi e tempi di attuazione; faccio alcuni esempi.
Energia e ambiente: senz’altro positiva la decisione di utilizzare risorse nazionali sin qui delittuosamente trascurate. Il sì ai rigassificatori, ad esempio, è un primo importante passo. Ma quest’opportunità non può innestarsi, come ha fatto invece la Meloni, in uno scenario che mette in primo piano le “salvifiche” energie rinnovabili (un altro feticcio del radicalismo ambientale di stampo “gretino”). Ottenere un significativo livello di autonomia energetica, rispetto ai reali fabbisogni di una nazione come l’Italia, col mito del sole e del vento è una pia illusione. Sarebbe stato necessario, andando contro tutte le stupide narrazioni dell’odierno ecologismo da strapazzo, parlare della necessità – da subito – di una robusta politica nucleare incentrata sullo sviluppo di centrali di ultima generazione. Purtroppo quest’opzione è oggi tremendamente difficile da attuare e non soltanto per la cecità di una società ormai terrorizzata da qualunque concetto che contenga la parola “nucleare”. Dal 1987 infatti, per una scelta assassina dei politici di allora a seguito di un altrettanto nefasto esito referendario, abbiamo abbandonato non solo il nucleare come fonte energetica ma, addirittura, gli studi e gli sviluppi su questa tecnologia. Le iper-bollette che ci sommergono oggi sono anche il frutto velenoso di quella mostruosa decisione. Sono lontani gli anni in cui l’atomo italiano era la “quarta forza” mondiale. Ironia del destino, quella splendida stagione (anni ’50 e ’60), fu dovuta in gran parte a… un comunista, l’ingegner Felice Ippolito. E chissà cosa penserebbe, oggi, nel vedere i suoi compagni di partito, o i giovani pan-ambientalisti di sinistra, sfilare orgogliosi al grido di “Mai più il nucleare”.
Altri punti condivisibili sono: l’auspicabile eliminazione del reddito di cittadinanza, una nuova politica in ambito migratorio con la sacrosanta attuazione del blocco navale, la separazione delle carriere in magistratura, l’avvio di un percorso che porti al graduale instaurarsi del presidenzialismo e la difesa dell’agroalimentare italiano contro i soprusi di Bruxelles. Si tratta tuttavia di questioni sui quali la premier e la sua maggioranza dovranno dimostrare di essere realmente capaci di andare contro il “pensiero unico”, costi quello che costi; su quest’aspetto devo sottolineare una frase della Meloni che farebbe ben sperare: “Cercherò di fare ciò che mi propongo anche a costo di non essere rieletta”; insomma, niente coccoina sulla poltrona. Da non dimenticare, infine, il doppio annuncio sul versante pandemico: una commissione d’inchiesta su tutte le nefandezze perpetrate in questi due anni e mezzo da chi ha gestito la pandemia – politicamente, scientificamente e organizzativamente – e la promessa (che mi auguro sia subito trasformata in realtà) dell’abbandono totale di ogni vessazione vaccinista e greenpassista. Con buona pace di Bergoglio e dell’intera Conferenza episcopale italiana.
Complessivamente però, e concludo, il discorso della Meloni non mi ha fatto ricredere rispetto alla scelta fatta il 25 settembre scorso (cioè non votare la coalizione poi risultata vincitrice). Il suo programma, al netto di alcuni aspetti sui quali sarà comunque problematico far passare politiche realmente alternative, è una sorta di duplicato di quello della sinistra. Infatti, sulle questioni più urgenti e dirimenti – Europa, economia, guerra e disgregazione valoriale dell’Occidente cristiano – credo che il modo migliore di chiamare colei che guiderà questo nuovo esecutivo sia Draghina Melonsky. Spero vivamente di sbagliarmi (ma ci credo poco).
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