di Aurelio Porfiri
Il grande apologeta Gilbert Keith Chesterton diceva che “l’uomo non vive di solo sapone”. Non so se lo conoscesse, ma certamente Hamou Haji lo aveva preso proprio alla lettera. Infatti ho avuto un attimo di trasalimento nel leggere la notizia che era morto “l’uomo più sporco del mondo”. Immagino l’intimo gaudio dei familiari nel vedere il loro congiunto ricordato per questa caratteristica. E anche intuisco che non sarà morto in odore di santità, ma emanando altre fragranze che qui non osiamo immaginare.
Ovviamente la curiosità ha vinto la mia resistenza e ho voluto saperne di più. Ho allora imparato che questo signore iraniano non si lavava dal 1954 e che il motivo, tenetevi forti, è che aveva paura di ammalarsi! Leggendo e rileggendo ho poi imparato altre cose sulla bella vita del signor Haji: “Oltre alla sua avversione per la pulizia, temeva anche il cibo e le bevande fresche, pensando che anche questo lo avrebbe fatto ammalare. Per questo era celibe, mangiava carne di animali morti per strada e fumava una pipa piena di escrementi di bestie. Il suo cibo preferito era il porcospino in decomposizione e beveva l’acqua da una lattina di olio foderata di ruggine. Nel 2013 sulla sua vita fu realizzato un breve documentario intitolato La strana vita di Amou Haji in cui l’uomo rivela il motivo della sua scelta: le difficoltà e i problemi vissuti da ragazzo lo hanno spinto all’isolamento”.
Insomma, un salutista sui generis. Ed è morto a novantaquattro anni! E, ancora tenetevi forte, è morto pochi mesi dopo che gli altri abitanti del villaggio, per motivi che a naso sembrano ovvi, lo avevano costretto a lavarsi! C’è da dire che era anche un accanito fumatore.
Ora, nessuno nega i danni del fumo e di una mancanza di igiene personale e non voglio certamente decantare le prelibatezze di una dieta a base di animali morti in decomposizione, ma certo vorrei riflettere sull’ossessione salutista che negli ultimi anni ci ha completamente travolto. Siamo in un tempo in cui per paura di ammalarci moriamo della paura di non ammalarci. L’ipocondria è divenuta endemica. Maurizio Costanzo denuncia come le nuove generazioni si stiano stancando di questa ossessione: “Stili di vita iper-sani? No grazie. La Generazione Z si ribella a questo diktat salutistico che, almeno fino a oggi, sembra regnare incontrastato tra gli amanti del benessere, a tal punto da diventare per loro una vera e propria ossessione” (luce.nazione.it).
Giulia Dallagiovanna (ohga.it) ci racconta questa ossessione in Italia: “Stiamo implementando un servizio di pasti gratuiti realizzati da nutrizionisti per essere sempre belli, performanti e sani come il mondo che vogliamo”. Siamo a Milano e questo è un annuncio di lavoro. Nello specifico, la frase evidenziata si trova nello spazio dedicato al “cosa offriamo”, sotto la voce “miglioramento personale”.
Performance è la parola d’ordine attorno alla quale tutto ruota. Il lavoro, lo sport praticato nel tempo libero, il quantitativo di relazioni sociali. L’imperativo è dare sempre il massimo.
Qualche giorno fa sulla pagina Facebook di un’azienda è comparso questo post: “Determinazione è lavorare duro quando si è già stanchi per il duro lavoro”. E per macchine sempre perfettamente funzionanti la benzina più indicata è una dieta sana, attentamente controllata. In questo contesto, il rischio di oltrepassare il confine delle buone pratiche e sfociare nell’ossessione è dietro l’angolo.
Ora, non stiamo dicendo che si debba seguire l’esempio della buonanima del signor Haji, ma se egli è a un estremo, noi siamo all’altro.