Post Covid / Una fase nuova non si può aprire con un concetto distorto del perdono
Siamo entrati nella fase post Covid, ma, a quanto pare, viviamo ancora immersi nell’errore e in una visione distorta della realtà
Coloro che nel pieno della psicopandemia dicevano che bisognava “fidarsi della scienza” e correre a iniettarsi il siero spacciato come vaccino sicuro ed efficace ora, a fronte del conclamato fallimento del siero, degli altrettanto conclamati effetti avversi e delle conseguenze devastanti della politica dei lockdown e dei green pass, si dividono in due schiere: da una parte quelli che, come se niente fosse, continuano a sostenere che è stato giusto così; dall’altra quelli che dicono: sì, abbiamo forse esagerato, ma non sapevamo e non potevamo sapere.
A questo secondo fronte appartiene per esempio Emily Oster che su The Atlantic ammette che “le nostre preoccupazioni erano totalmente fuorvianti” ma “il fatto è che non lo sapevamo”. Di conseguenza, afferma, ora non è il caso di intraprendere una guerra culturale fra chi aveva capito e chi no. Piuttosto, si tratta di arrivare a una “amnistia” per la pandemia.
Un momento. Troppo comodo. Se da tutta questa storia non trarremo una lezione l’avremo vissuta invano. E potremmo ricascarci.
Qui non si tratta di recriminare. Si tratta di fare memoria di ciò che è avvenuto e di metterla agli atti.
A quanto vedo l’idea dell’”amnistia”, o della pacificazione, sta facendo breccia soprattutto fra i cattolici. Siccome noi, si dice, siamo quelli chiamati a perdonare, non dobbiamo incaponirci nell’analizzare ciò che è stato, ma siamo chiamati ad andare avanti per ricostruire.
Eh no. Questo è un discorso che non posso accettare. Con questa visione distorta del perdono si arriva al colpo di spugna. Che è una negazione della verità
Certo, nel mio cuore posso perdonare chi mi ha accusato di irresponsabilità perché sostenevo che i vaccini non sono sicuri e determinano effetti avversi. Posso perdonare chi ha fatto inoculare il siero perfino ai bambini. Posso perdonare chi, ipnotizzato dalla narrazione ufficiale, ha creduto nel distanziamento e nei green pass. Ma ciò non significa giustificare e dimenticare.
Questo concetto distorto del perdono non è una risposta cristiana alla necessità di aprire una fase nuova. Perché la risposta cristiana può essere data solo sulla base della verità. Se il perdono avviene al prezzo della verità è insipienza intellettuale e morale.
Occorre poi tener conto dei diversi gradi di responsabilità. Se nei confronti del conoscente, dell’amico e del familiare che ha sposato fanaticamente e istericamente la narrazione dominante posso anche evitare, da cristiano, di fargli pesare l’errore, non così nei confronti di chi, in posizione di comando, ha preso determinate decisioni e ha estromesso dal lavoro migliaia di persone. Gli autori delle politiche criminali e della narrazione aberrante vanno messi di fronte alle loro responsabilità. E mi riferisco anche agli uomini di Chiesa.
Perdonare non è mai dimenticare. Caso mai, è trasformare. Il punto fermo deve essere la verità.
Ecco perché dico no a una riconciliazione a buon mercato. Certo, non intendo umiliare nessuno, nemmeno chi nel pieno della psicopandemia mi ha offeso dandomi del deficiente e dell’irresponsabile, e nemmeno chi rivolse gli stessi epiteti ai medici che, non aderendo ai protocolli ufficiali, prestavano cure precoci e salvavano vite. Pretendo però che la verità sia affermata e ricordata. E vorrei tanto che da qualcuno arrivassero le scuse. Per esempio, chi da una cattedra altissima parlò di vaccino come “atto d’amore” ora dovrebbe avvertire il bisogno di chiedere scusa.
E che nessuno dica: “Non lo sapevamo, non potevamo sapere”. Non è vero. Tra noi ci fu chi fin da subito diede l’allarme. Ma non fummo ascoltati. I padroni del pensiero e i sacerdoti della parola autorizzata ci condannarono come complottisti e negazionisti. Anziché accettare un confronto con noi, ci furono appiccicate addosso le etichette di no mask e no vax. Fummo estromessi dal consesso civile. E ora dovremmo tacere pro bono pacis?
Non accetto nemmeno che, con riferimento ai funzionari pubblici, ora la giustificazione sia che “hanno solo eseguito gli ordini”. Troppo comodo. Se sei un funzionario hai il dovere di informarti, di capire, di consultare tutte le fonti a disposizione. E questo vale anche per vescovi, sacerdoti e religiosi.
Io posso perdonare e amare perfino il mio nemico, ma i comportamenti criminali restano criminali. Se non li denunciassi ne diventerei complice e lascerei campo aperto al prossimo esperimento sociale che ci vorrà nuovamente privare di libertà fondamentali e della nostra stessa dignità.
San Giovanni Paolo II, che ricordiamo come il papa del perdono, ci ha insegnato a purificare la memoria eliminando dalla coscienza personale e comunitaria ogni forma di risentimento e violenza. Ma ciò non significa dimenticare né tanto meno ignorare le responsabilità. Nostro primo dovere è sempre testimoniare e difendere l verità.
A.M.V.