In Francia il Consiglio di Stato ha recentemente convalidato una circolare che autorizza gli studenti transgender a utilizzare un nome di loro scelta e non quello con cui sono stati registrati all’anagrafe. A scuola gli studenti transgender potranno quindi usare il nome che avvertono come corrispondente al loro genere. Una misura – sottolinea il Conseil d’État, organo con funzioni consultive e giurisdizionali – che consente una migliore integrazione degli studenti transgender e non viola la legge.
La circolare della quale era stata chiesta la cancellazione risale al settembre 2021 e afferma che la possibilità di scegliersi un nome diverso da quello originario, perché sia usato da tutti i membri della comunità educativa, si inserisce “all’interno del quadro di rispetto dell’identità di genere dello studente, a condizione che la richiesta sia avanzata con il consenso di entrambi i genitori” nel caso in cui l’alunno sia un minore.
La richiesta di impugnazione della circolare era stata avanzata per “eccesso di potere”, in quanto la legge francese del 1794 prevede che “nessun cittadino può portare un cognome o un nome diversi da quelli indicati nell’atto di nascita”. Inoltre, sempre secondo la legge, i pubblici ufficiali non possono permettere ai cittadini di utilizzare negli atti ufficiali nomi diversi da quelli riportati nel certificato di nascita.
Secondo il Consiglio di Stato però nel consentire agli studenti di usare un nome di propria scelta all’interno della scuola non c’è alcuna violazione della legge. Pertanto questa possibilità viene riconosciuta sia per quanto riguarda la vita di tutti i giorni sia per quanto riguarda i documenti scolastici.
La circolare del 29 settembre 2021 si inserisce, viene spiegato, nella volontà di promuovere una scolarizzazione “inclusiva”. Il fine è “prendere in considerazione gli studenti transgender (…), facilitare il loro sostegno e tutelarli, fermi restando quelli che saranno i loro percorsi personali”. Occorre “garantire integrazione e benessere attraverso la comprensione dei bisogni espressi dai giovani interessati”.
Le reazioni a queste affermazioni non si sono fatte attendere. Fra le altre, quella dell’avvocato Thibault Mercier, il quale vede nella sentenza del Consiglio di Stato “una mutazione senza precedenti del concetto di diritto, che ora trasforma ogni desiderio in diritto individuale, e tutto ciò a danno della collettività”.
Avvocato, saggista e presidente del Cercle Droit & Liberté, Mercier sostiene che il cambio di rotta è molto pericoloso. “Se la società tradizionalmente considerava il bambino come un essere vulnerabile, alla mercé degli altri e talvolta anche di se stesso, questa diga sembra sul punto di saltare di fronte all’ideologia dell’antidiscriminazione e dei diritti individuali”.
Prendiamo il caso di Bastien, otto anni e mezzo, che ora, secondo la legge, potrà chiedere e ottenere che i suoi insegnanti e compagni di classe si rivolgano a lui come a Joséphine. Bene, ma allora viene da chiedersi: perché la legge che da un lato permette a Bastien di scegliere nome e genere dall’altro gli vieta di lavorare, bere alcolici, guidare un’automobile e comprare una casa? Se autodeterminazione deve essere, che autodeterminazione sia. Altrimenti la legge diventa contraddittoria.
Secondo i consiglieri di Stato, vietare a un bambino di scegliere il proprio genere e quindi il proprio nome sarebbe una forma di adultismo, termine coniato dal filone di pensiero secondo cui tutta l’educazione è oppressiva e anti-egualitaria. Ma allora bisogna trarne le conseguenze e consentire al bambino, a quel punto equiparato a un adulto, letteralmente tutto.
Secondo Mercier, la decisione del Consiglio di Stato mette in discussione il concetto stesso di diritto e il suo rapporto con la natura umana. “Nelle nostre società occidentali contemporanee, sembra che l’individuo rifiuti ogni giorno un po’ di più l’idea che la natura umana possa avere un valore prescrittivo: il dibattito sulla partecipazione dei transgender alle categorie sportive femminili o il caso di Bastien ne sono esempi tipici”. Ormai prevale la natura intesa soggettivamente e quindi, non essendo più riconosciuta una natura oggettiva, la decisione del soggetto ha in sé il suo fondamento e la sua giustificazione. Una “soggettivazione della realtà” che permette alla volontà individuale di pretendere di imporsi sulla realtà oggettiva.
“Prendendo atto di questa trasformazione filosofica – afferma Mercier – l’attuale tendenza della legge consiste nel convertire in diritto qualsiasi desiderio individuale, che ora può essere opposto con successo a ogni regola collettiva”.
La legge in questo modo diventa schiava delle pulsioni individuali, che si sostituiscono al vecchio dritto comune. E l’individuo ha pieni poteri di fronte alla società.
Per il momento il bambino è ancora legalmente incapace, ma con la decisione del Consiglio di Stato gli viene conferito il potere di obbligare gli adulti. E quanto ci vorrà prima che questo obbligo venga esteso a tutti gli ambiti della vita?
Se in passato la legge era guidata dal dovere di ogni individuo di riconoscere la realtà, ora si fa guidare dal diritto di ogni individuo di decostruire se stesso. Ma il ruolo della legge può essere davvero quello di convertire ogni desiderio in diritto individuale, anche a scapito della collettività?
“La legge – si chiede Mercier – non dovrebbe essere dedotta dall’osservazione oggettiva e condivisa della natura umana? Questo è ciò che ci ha insegnato il pensiero classico. L’accettazione dei limiti imposti dalla realtà biologica e antropologica dell’uomo non va vista come un vincolo o una discriminazione, ma al contrario come la possibilità per la società di garantire la propria conservazione”.
A.M.V.
Fonte: lefigaro.fr