Lettera aperta a S.E. Mons. Franco Gulio Brambilla, vescovo di Novara, sull’applicazione di Traditionis custodes
di Carlo Maria Viganò
Eccellenza Reverendissima,
la Sua recente decisione di sospendere la celebrazione della Liturgia tridentina nella chiesa di Vocogno e nella cappella di San Biagio, nelle Valli Ossolane, ha provocato una grande amarezza in migliaia di fedeli e nei sacerdoti legati al Rito tradizionale. Dopo anni di applicazione del Motu Proprio Summorum Pontificum, suscita profonda indignazione la freddezza con cui Ella ha dato esecuzione a Tratitionis custodes, nonostante che le facoltà riconosciute dal Codice di Diritto Canonico agli Ordinari diocesani Le permettessero di derogarvi.
Posso comprendere come il Suo ruolo di Vescovo e di Successore degli Apostoli sia messo alla prova dalle pressioni di un evidente autoritarismo esercitato da Roma. Comprendo parimenti che, dovendo scegliere tra l’obbedienza ai diktat romani e la tutela dei sacrosanti diritti dei fedeli, la scelta umanamente più semplice sia quella che in altri tempi portò don Abbondio a rendersi complice delle sopraffazioni di don Rodrigo e dell’Innominato. Questa Messa non s’ha da fare, perché così vuole il potente.
La “chiesa della misericordia” si ritrova ad esercitare il Suo potere con la forza della coercizione, che viene meno quando dovrebbe essere invece usata per sanare situazioni ben più gravi: deviazioni teologiche, aberrazioni morali, sacrilegi e irriverenze in ambito liturgico. L’immagine della Gerarchia data al popolo di Dio è riassunta nell’adagio: Forte con i deboli, debole con i forti. Il che, se mi permette, è l’esatto opposto di ciò che Ella si è impegnata a fare come Vescovo.
I molteplici appelli alla parresia e alla sinodalità sono quotidianamente sconfessati da decisioni autoritarie, mosse da quel clericalismo tante volte deplorato a parole. Quale esecrando crimine hanno compiuto i fedeli di Vocogno e San Biagio, per essere privati della Messa tradizionale, riconosciuta da Benedetto XVI come «mai abrogata» ed oggi cancellata come divisiva perché contraria all’ecclesiologia del Vaticano II? Dov’è finita la famosa ermeneutica della continuità? Dove l’attenzione per il popolo di Dio e l’ascolto di cui tanto si parla al Sinodo sulla sinodalità?
Nel Simbolo Niceno-Costantinopolitano professiamo la Chiesa Una, Santa, Cattolica e Apostolica: essa è una non solo nella sua diffusione su tutta la terra, ma anche nel trascorrere del tempo e nell’avvicendarsi degli eventi. Il fedele è in comunione non solo con la Chiesa del suo tempo, ma deve esserlo necessariamente anche con la Chiesa di tutti i tempi, con quella delle Catacombe, di Costantino, di San Bernardo, di San Pio V e del Beato Pio IX. La lex credendi – e la lex orandi che la esprime – non possono essere suscettibili di adulterazioni dettate dalle mode o dalle contingenze. Ma se la lex orandi partorita dalla mente modernista di Annibale Bugnini viene riconosciuta come unica espressione cultuale della “chiesa conciliare”, ciò significa che la dottrina che essa esprime è altra – e opposta – all’insegnamento di Nostro Signore agli Apostoli, tramandato nel corso dei secoli e custodito fedelmente dalla Chiesa Cattolica. Se questa rottura con la Tradizione è riconosciuta e ammessa dallo stesso estensore di Traditionis Custodes, ciò pone la “chiesa conciliare” al di fuori della Tradizione cattolica, facendo venir meno la legittimazione dell’autorità a promulgare leggi in contrasto con i fini per i quali il Signore l’ha istituita.
Non so se Vostra Eccellenza condivida questa visione, e se Ella consideri la Santa Messa tridentina come inconciliabile ed estranea alla “chiesa sinodale”. Mi pare che la Sua decisione, oltre a rivelare un esercizio dell’autorità episcopale come svincolato dal dovere di custodire il depositum fidei, dimostri una preoccupante distanza dal corpo ecclesiale, vittima della volubilità e delle idiosincrasie di una Gerarchia che segue un proprio programma ideologico senza curarsi minimamente delle conseguenze che esso può avere. Ne esce un’immagine di Pastori ben poco lusinghiera, in cui la rerum novarum cupiditas calpesta impunemente il Magistero immutabile della Chiesa, i legittimi diritti dei sacerdoti e le necessità spirituali dei fedeli; i quali, come Le è noto, altro non chiedono al loro Vescovo se non di essere lasciati liberi di fruire di un rito che per secoli è stato la voce orante della Chiesa, e che sessant’anni di fallimenti e di aberrazioni non possono rendere illegittimo solo perché ne scopre gli inganni e le falsificazioni.
Mi chiedo quale insegnamento trarranno i fedeli della Diocesi di Novara – e i milioni di fedeli tradizionali in tutto il mondo – da quest’uso autoritario del potere, contro gli stessi fini da cui esso trae la propria legittimità. Sia che obbediscano a un ordine considerato ingiusto, sia che vi si oppongano in nome dell’obbedienza a Dio piuttosto che agli uomini, l’autorità dei Pastori ne esce totalmente screditata, perché ciò che ieri la Chiesa ha insegnato e raccomandato oggi è disprezzato e proibito da chi ricopre ruoli di governo, mentre ciò che prima era considerato contrario all’insegnamento di Cristo viene ora additato a modello cui conformarsi.
Cosa si potrà mai rimproverare ai sacerdoti e ai fedeli legati all’usus antiquior, che sia di scandalo per quanti – quasi tutti senza convinzione e per mero conformismo – si sono rassegnati all’imposizione del Novus Ordo? L’adorazione di Dio? il raccoglimento e il decoro nella celebrazione? l’ineguagliabile ricchezza dei testi liturgici tradizionali, comparata alla vacuità deliberatamente equivoca del rito riformato? l’anelito di vedere anticipata in terra la gloria della Corte celeste? la pia contemplazione della Passione di Cristo, al posto di una chiassosa agape fraterna in cui il Signore è solo l’alibi per celebrare se stessi? Cosa c’è di così intollerabile, di così deplorevole nel voler pregare con le parole sacre tramandateci da duemila anni di Fede?
I fedeli e i sacerdoti di Vocogno, come tutti i Cattolici sparsi nelle Diocesi del mondo, troveranno il modo di sottrarsi a questi diktat, come avvenne al tempo dell’eresia ariana, durante la Pseudoriforma o con lo scisma anglicano. La loro sofferenza per la privazione di un diritto inalienabile è una prova di fedeltà che li rende graditi a Dio, al pari di quanto fece il Clero refrattario ai tempi del Terrore in Francia. Ma non creda di conquistarli al nuovo rito, né di piegarli nella loro determinazione a conservarsi fedeli alla Religione dei padri. Al massimo, potrà impedire loro di avere la consolazione della Messa quotidiana, o di assistere alle funzioni di precetto, ma tutto questo non favorirà né la concordia tra i fedeli né il loro rispetto per l’Autorità ecclesiastica.
Il tempo darà loro ragione, come sempre è accaduto nelle vicende che hanno contrapposto l’ortodossia cattolica professata dai semplici alle deviazioni ereticali imposte da un’autorità traviata o asservita al potere. Darà loro ragione anche il Giudizio di Dio, al Quale Ella dovrà render conto del proprio operato come Vescovo. Non La giudicheranno né il sinedrio bergogliano, né il consiglio presbiterale, né i falsi amici che La appoggiano interessatamente in questa battaglia già persa per tenere insieme la ormai screditata narrazione conciliare. Credo quindi che un salutare pensiero ai Novissimi e al Suo destino eterno sia quanto mai opportuno, anche in considerazione dell’età e dell’ineluttabilità dell’incontro con il giusto Giudice. Se Ella ritiene di aver agito e di agire secondo la volontà di Dio, non ha nulla da temere: continui a considerare i fedeli e i sacerdoti della Val d’Ossola come dei ribelli, proibisca tutte le Messe tradizionali e dimostri tutta la Sua incondizionata sudditanza al potente di turno. Ma ricordi che i potenti di questo mondo passano, e chi li ha sostenuti e assecondati è destinato a seguirli nell’oblio o nell’unanime condanna.
Con l’auspicio che la consapevolezza del tempo che Le rimane per meritare la gloria eterna Le sia di sprone nel ritornare sui Suoi passi e compiere un gesto di vera Carità nei confronti dei fedeli a Lei affidati, assicuro Vostra Eccellenza del ricordo nel Santo Sacrificio della Messa (di San Pio V, ovviamente), implorando il Paraclito perché illumini con il dono del Consiglio l’Eccellenza Vostra Reverendissima, di cui mi dico
dev.mo in Christo,
+ Carlo Maria Viganò, Arcivescovo
Post Scriptum:
Questa lettera aperta è destinata anche ai Confratelli di Mons. Brambilla e a tutti i Vescovi che si trovano esposti alle pressioni della Curia Romana perché vanifichino sistematicamente i benefici effetti del Motu Proprio Summorum Pontificum.
18 novembre 2022
In Dedicatione Basilicarum Ss. Apostolorum Petri et Pauli