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Kwasniewski / Il mio viaggio dall’ultramontanismo al cattolicesimo. 3

Il mio viaggio dall’ultramontanismo al cattolicesimo. Si intitola così il testo di Peter Kwasniewski apparso originariamente in lingua inglese come una serie in tre parti nell’edizione cartacea di Catholic Family News (numeri di novembre 2020 e gennaio 2021). Il saggio, poi pubblicato integralmente nell’edizione digitale della stessa rivista, è l’estensione di una conferenza tenuta da Kwasniewski il 20 settembre 2020 presso la chiesa cattolica di Santo Stefano d’Ungheria ad Allentown, in Pennsylvania, un apostolato della Fraternità Sacerdotale San Pietro.

Kwasniewski mi inviato la traduzione italiana del testo, che Duc in altum vi propone in tre puntate. Dopo quelle pubblicate nei giorni scorsi [qui e qui], ecco la terza.

***

di Peter Kwasniewski

Nella prima parte di questa serie ho definito il fenomeno dell’ultramontanismo, ho spiegato perché è nato e ho analizzato la sua pericolosità in quanto atteggiamento che porta a considerare il papato più di ciò che è realmente, o meglio lo rende altro da ciò per cui è stato concepito. Nella seconda parte, ho preso in esame un esempio estremo e attuale di questo iperpapismo, vale a dire il blog Where Peter Is, e ho citato le affermazioni di alcuni teologi sul perché e sul quando i cattolici sono autorizzati a condannare o a resistere ad un Papa.

“A cosa serve, allora, avere un Papa?”, potrebbe essere tentato di chiedere qualcuno. “A sentire te, staremmo meglio senza”.

La mia risposta è che:

  1. questo non è certamente vero, se guardiamo ai molti papi santi e valorosi che hanno difeso e, quando necessario, definito il deposito della fede nel corso dei secoli;
  2. un Papa giova alla Chiesa quando, e proprio nella misura in cui, esercita bene il suo ufficio.

La frustrazione nei confronti del papato si verifica solo per coloro che hanno un’idea esagerata del ruolo del Papa. Nel corso della storia, la gran parte dei cattolici sono stati in grado di ignorare ciò che il Papa faceva, perché conoscevano già la loro fede: ciò che dovevano credere e pregare, quello che dovevano fare e quello che dovevano rifuggire. Da parte sua, come abbiamo visto, il Vaticano I è chiaro sulle circostanze specifiche in cui l’infallibilità della Chiesa è esercitata dal suo capo terreno. Il Papa dovrebbe essere “il punto di riferimento” quando c’è una controversia che non può essere risolta in altro modo. Egli deve essere, come dice il cardinale Newman, una remora, una una barriera contro l’innovazione dottrinale, non un motore per lo sviluppo dottrinale né tanto meno un chiacchierone che condivide le sue opinioni personali in interviste sui giornali o conferenze stampa in volo[1]. Un sacerdote che scrive sotto lo pseudonimo di Pauper Peregrinus osserva:

«Sarà stato anche a causa dell’indebolimento della concezione delle loro stesse prerogative, che i vescovi ortodossi sono arrivati ad essere troppo dipendenti da Roma nell’insegnamento di dottrine poco popolari, come ad esempio quelle sulla morale sessuale? Sebbene siamo stati benedetti da molte belle encicliche papali nel XIX e XX secolo, non è un segno salutare quando le lettere del Romano Pontefice alla Chiesa universale diventano il mezzo abituale con cui tra i cattolici viene mantenuta l’ortodossia. L’episcopato è il mezzo normale per farlo; il papato esiste per eliminare gli errori che l’insegnamento episcopale non è stato in grado di sconfiggere. L’aumento massiccio, nei tempi moderni, di documenti papali diretti alla Chiesa universale è una causa o un effetto della carenza di buon insegnamento episcopale? Bella questione[2]».

In effetti, la serietà dell’ufficio papale è tale, e così grande la responsabilità, che un Papa dovrebbe essere caratterizzato dal dire meno di quanto fanno la maggior parte dei vescovi o dei sacerdoti, anziché dal dire più di loro. Dovrebbe essere un uomo di poche e gravi parole, per così dire un “prigioniero del Vaticano” che, invece di andarsene in giro per il mondo, lavora instancabilmente per mettere in ordine la casa della Chiesa attraverso una rigorosa selezione di vescovi ortodossi e la nomina di collaboratori eccezionali per ortodossia, santità e zelo per le anime. Questo è chiedere troppo? Se guardiamo a ciò che hanno fatto San Pio V e San Pio X, possiamo vedere che non è certamente una pretesa eccessiva.

Perché il Papa è come san Giuseppe

Trovo utile riflettere su come il Papa svolga un ruolo non dissimile da quello di san Giuseppe nei confronti della Vergine e del Bambino. Cristo, il Verbo, ha origine altrove: Giuseppe non è il suo padre naturale, ma solo il suo protettore. La Vergine, immagine della Chiesa, eccelsa più del marito, è posta comunque sotto la sua cura e autorità. Giuseppe è “l’uomo giusto” perché non eccede e non viene mai meno al ruolo che gli è stato assegnato, che lo pone allo stesso tempo in subordinazione alla moglie e al figlio adottivo e in una certa posizione di governo su di loro. Ma San Giuseppe è anche “l’uomo silenzioso”: non una sola sua parola è riportata nelle Scritture. Fa quello che gli viene chiesto di fare, senza fare scalpore, senza eccesso di verbosità e senza bisogno di mettersi in luce. Non c’è da stupirsi che nei primi 1.500 anni del cristianesimo non ci sia stato quasi nessun culto di san Giuseppe. Egli si nascondeva nell’ombra. Guardando ai papi della storia, potremmo chiederci quali si sono comportati più come san Giuseppe e quali meno.

John Henry Newman ci aiuta a vedere la religione cattolica come qualcosa di intero, complesso, sublime e coerente, in cui non vediamo il papato incombere come una protuberanza dominante e sproporzionata rispetto al resto del corpo, ma come uno dei pezzi di un vivace mosaico disegnato dal divino Artigiano. Newman riconosce con gratitudine il ruolo cruciale del Papa, ma rifiuta di farne l’artefice o la misura della dottrina o della vita cristiana. Per questo credo che, leggendo il “Manifesto della fede” del cardinale Müller[3], Newman avrebbe avuto la stessa reazione che ha avuto padre John Hunwicke (anche lui convertito dall’anglicanesimo):

«Il silenzio può dire più di un milione di parole. Come il cane di Conan Doyle, che non abbaiava nella notte. Credo che la cosa più sorprendente del Manifesto consegnatoci da Gerhard Müller sia ciò che esso non menziona: il papato.

Basti pensare alla quantità di controversie che la questione del ministero petrino ha creato all’epoca del Vaticano I, a quante controversie ci sono state tra polemisti cattolici e non. Pensiamo al culto della personalità che ha circondato i papi a partire, credo, all’incirca dall’ultima parte del pontificato del Beato Pio IX. Un culto che tratta il vescovo di Roma come un semidio o una pop star. […] Penso che sia sentimentale e sdolcinato, malato, corrotto e corruttore. Non è certo stato inventato da Papa Francesco e dai suoi compari, ma ha raggiunto in questo pontificato un nuovo picco teologico. I compari curiali ci dicono che lo Spirito Santo parla attraverso la bocca di Papa Francesco; i vescovi inglesi gli scrivono lettere per informarlo che lo Spirito Santo è stato responsabile della sua elezione e lo guida quotidianamente; un certo padre Rosica ci spiega, incredibilmente, che il Papa è libero dagli ingombri della Scrittura e della Tradizione. È ciò che ho chiamato “bergoglianesimo”: non solo credo che sia qualcosa di malato in sé, ma credo anche che sia un pericoloso veleno di rara tossicità all’interno della Chiesa militante.

Eppure, nonostante tutto questo, il cardinale Müller non ha nemmeno accennato a questo enorme elefante in una piccola stanza, nemmeno di sfuggita. Non mi sentivo così ristorato da molto tempo[4]».

Naturalmente, il ristoro passa presto quando, con un sospiro, ci rendiamo conto ancora una volta che viviamo in un mondo e in una Chiesa in cui le sagge riserve di Newman sul ruolo del Papa e la fiducia del cardinale Müller nei fondamentali della dottrina cattolica non sono condivise da un gran numero di vescovi, nonostante il fatto che, proprio in quanto successori degli Apostoli, essi siano solennemente impegnati nel loro ruolo, simile a quello di Giuseppe, di custodire la santità di nostra Madre e di fornire una casa degna di essere abitata da Cristo.

Perché Pietro è la pietra

Pietro – il Pietro originale e ciascuno dei suoi successori – è chiamato “pietra” perché sostiene e professa pubblicamente la verità inamovibile di Cristo e della Sua Chiesa. Non si tratta di una fede soggettiva che deve essere determinata da ogni generazione o personalizzata da ogni nuovo Papa, ma piuttosto della fede comune della Chiesa, che ognuno di noi riceve come membro del Corpo Mistico di Cristo. Questa è la fede che è forte in ogni cristiano che ha imparato bene il catechismo e che sa, per istinto soprannaturale, cosa è vero e compatibile con la verità e cosa invece suona eretico o offensivo alle sue orecchie devote. Se la fede dovesse essere mutevole e cangiante, Cristo avrebbe chiamato Pietro “acqua” o “fango”, non “pietra”.

In un’epoca di confusione, una cosa è chiara: dobbiamo restare saldamente ancorati alla Tradizione consolidata e articolata della Chiesa. Dobbiamo restare fedeli alla sua dottrina (ad esempio, quella che troviamo esposta in modo esauriente in una raccolta accurata come il Compendio di teologia dogmatica di Ludwig Ott) nella nostra vita morale, secondo l’insegnamento e l’esempio perenni dei santi; restare fedeli al suo culto liturgico, ai suoi autentici riti secolari. Questo è ciò che ci viene chiesto: restare fedeli all’eredità che abbiamo ricevuto prima dell’era dell’anarchia.

A chi replica: “Questa posizione tradizionalista è soggettiva!”, rispondo: no, non lo è. La Tradizione cattolica include le interpretazioni generalmente accettate della Scrittura da parte dei Padri e dei Dottori della Chiesa, nonché le numerose definizioni magisteriali, come i dogmi e gli anatemi dei Concili ecumenici. Esistono numerose indicazioni oggettive del magistero cattolico che si rafforzano a vicenda, e queste costituiscono dei veri e propri limiti a ciò che il Magistero attuale (Papa / vescovi) può legittimamente insegnare, o a ciò che un cattolico oggi può accettare come razionalmente coerente. Se vi trovate in una situazione in cui di fatto dovete negare sia la vostra fede nella guida passata della Chiesa da parte dello Spirito Santo, sia la vostra ragione – che vi dice, in base alle prove disponibili e a una solida argomentazione, che una cosa è meglio o peggio di un’altra – per aggrapparvi a un percorso autodistruttivo scelto dai funzionari della Chiesa, in che cosa siete diversi da un calvinista che nega che la fede e la ragione abbiano qualcosa a che fare l’una con l’altra, o da un mormone che non ha né fede né ragione su cui contare? È breve il passo che conduce dall’apriorismo al fideismo più cieco e patetico.

Il conservatore, prendendo indiscriminatamente il “magistero del momento” come guida in ogni cosa, si svincola dal contenuto consolidato dell’insegnamento cumulativo e rischia di essere guidato dai capricci di un monarca volubile o dai dogmi sintetici di un ideologo. Il conservatore non avrebbe alcuna base per entrare in dibattito o dissentire da un Papa su qualsiasi questione, per quanto si discosti dall’insegnamento dei suoi predecessori o persino da quello delle Scritture. Una simile visione infallibilizza di fatto in un colpo solo il Magistero attuale o l’attuale Papa di Roma, dissentendo così dalla comprensione del Vaticano I circa l’infallibilità che Cristo ha voluto che la Chiesa possedesse[5].

Bacci ci rinuncia

Nella prima parte, ho citato alcuni passaggi dei diari da me scritti negli anni dell’università, quando, inebriato dalla celebrità di Giovanni Paolo II, propugnavo un ultramontanismo esasperato come soluzione a tutti i mali. Nella seconda parte ho notato che c’è oggi un intero sito web che si occupa di questo sport estremo. E ne troviamo un esempio piuttosto sorprendente nel libro, per il resto edificante, Meditazioni per tutti i giorni dell’anno scritto dal cardinale Antonio Bacci, il principale latinista del Vaticano sotto quattro papi consecutivi (Pio XI, Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI):

«C’è nel mondo […] un uomo nel quale la grandezza di Dio si riflette nel modo più straordinario di tutti. Egli partecipa all’autorità e in un certo senso alla personalità di Cristo. Quest’uomo è il Vicario di Gesù Cristo, il Papa. […] Il suo potere si estende fino ai confini del mondo ed è sotto la protezione di Dio, che ha promesso di confermare in cielo tutto ciò che egli deciderà sulla terra. La sua dignità e la sua autorità, quindi, sono quasi divine. Inchiniamoci umilmente davanti a questa grandezza. Promettiamo di obbedire al Papa come a Cristo. […] Non possiamo contestare o mormorare contro nulla di ciò che lui insegna o decreta. Disobbedire al Papa significa disobbedire a Dio. Discutere o mormorare contro il Papa significa discutere o mormorare contro Gesù stesso. Quando ci troviamo di fronte ai suoi comandi, abbiamo una sola scelta: l’obbedienza assoluta e la resa completa[6]».

Affermazioni pericolose, alle quali il cardinale stesso dovette poi rinunciare. Gli anni 1967 e 1969 videro Bacci distinguersi, quasi da solo nel collegio cardinalizio, in atti di nobile e garbata opposizione alla linea adottata da Papa Paolo VI. Come si addice a un letterato e a un appassionato di latino, questi atti presero la forma di critiche alla riforma liturgica. La prima fu la prefazione dello stesso Bacci alla diatriba di Tito Casini contro la volgarizzazione della liturgia, La tunica stracciata, in cui non fece nulla per nascondere la sua disapprovazione per l’omicidio senza appello della lingua madre della Chiesa di rito latino. La seconda fu la disponibilità di Bacci ad aggiungere il suo nome alla lettera di presentazione del Breve esame critico del Novus Ordo Missae scritto da un gruppo di teologi romani. Sebbene molti alti prelati avessero inizialmente accettato di firmarla (l’arcivescovo Marcel Lefebvre affermò che seicento prelati l’avrebbero fatto), tutti ebbero i proverbiali ripensamenti quando il testo venne divulgato prematuramente. Alla fine, il testo fu inviato a Paolo VI con due sole firme: Quella del cardinale Ottaviani e quella del cardinale Bacci. Questo atto di coraggio sarà ricordato nei secoli a venire non meno della scelleratezza di Paolo VI nel permettere che la magnifica liturgia della Chiesa romana fosse profanata[7].

Queste tribolazioni sono per metterci alla prova e purificarci

È vero che in un momento di tensione come questo, possiamo diventare impazienti e frustrati per l’inerzia dei nostri vescovi, che dovrebbero perlomeno condannare gli errori dilaganti e le azioni malvagie (ad esempio, le linee guida di Buenos Aires, l’errore sulla pena di morte, la venerazione della Pachamama, la dichiarazione di Abu Dhabi, ecc.). Ma è proprio in questi momenti che noi siamo provati come l’oro nella fornace, la nostra pazienza è messa a dura prova e cresce la nostra fiducia nella Divina Provvidenza e il nostro fervore nell’invocare il Suo intervento.

La cosa peggiore che potremmo fare è abbandonare la nave, rifugiandoci in uno dei rami dell’ortodossia orientale o negli immaginari verdi pascoli del sedevacantismo, con il pretesto che in qualche modo questi gruppi stanno “meglio” di noi. A cosa servirebbe questa mossa? Non farebbe altro che allontanare buona gente proprio da dove è più necessaria, cioè all’interno del Corpo gerarchico visibile di Cristo, e contribuirebbe ulteriormente allo scandalo dei cristiani divisi tra loro. Ciò che occorre è un attaccamento costante alla Sposa di Cristo, nonostante il suo volto terreno sfigurato, una fedeltà incrollabile al suo Capo eterno e l’accettazione totale della dottrina che Egli le ha affidato, nella sua integrità.

Stiamo vivendo un’epoca senza precedenti. Tante “certezze” sono saltate in aria, come colpite da granate e bombe. L’unica strada sicura è quella di attenersi a ciò che sappiamo essere certo, di implorare quotidianamente l’aiuto e l’intervento di Dio, di affidarsi alla Vergine Maria e di non avventurarsi in territori pericolosi e privi di tracce, come ritenere che colui che è stato accettato come Papa non sia il Papa[8], o che la nuova Messa non sia valida, ecc. Queste conclusioni non sono affatto necessarie per far fronte ai problemi, ma sono allettanti come valvole di sfogo che ci fanno sentire come se stessimo “facendo qualcosa” contro il male, “rifiutandolo”, quando invece stiamo cedendo a mali più subdoli[9]. In realtà, sono proprio la validità di questo papato rinnegato e la validità sacramentale di questa Messa falsificata che rendono la nostra sorte molto peggiore, e il dovere di fedeltà e di riparazione molto più urgente[10].

Non fatevi venire il torcicollo

Abbiamo il dovere di pregare per i nostri pastori e poi, con volto allegro e passo spedito, andare avanti con la nostra vita quotidiana di cattolici. Per gran parte della sua storia, la Chiesa ha portato avanti la sua missione senza aspettare di ascoltare l’ultimo discorso del Papa o di conoscere il conteggio dei voti dei vescovi all’ultimo sinodo. Ciò che dobbiamo credere e fare è già stato stabilito per noi da molto tempo, senza possibilità di essere mai sostanzialmente modificato. Per questo motivo, non dobbiamo farci venire il torcicollo volgendo in continuazione lo sguardo alle nostre spalle, verso Roma, per chiederci quale sia l’ultima buona o cattiva rivelazione proveniente da Casa Santa Marta.

La città di Roma ospita i resti mortali di almeno un centinaio di papi, per la maggior parte dimenticati da tutti tranne che dagli storici. I visitatori della basilica di San Pietro passano accanto ad un sarcofago dopo l’altro mentre si dirigono verso la Confessione per rendere omaggio al Principe degli Apostoli. Presto, il disgraziato papato sotto il quale ora soffriamo sarà passato. Nel frattempo ci avviciniamo, passo dopo passo, al confronto finale di Cristo con l’Anticristo. Che i morti seppelliscano i morti, che i modernisti seppelliscano i modernisti. “Quanto a voi – dice il Signore a ciascuno di noi – seguitemi”.

Mi rendo conto che questi suggerimenti non aiutano a chiarire le nostre difficoltà, che rimangono ostinatamente opache e innegabilmente minacciose. Per la nostra salute mentale, è fondamentale in questo momento riconoscere che ci troviamo in acque inesplorate, nel mezzo di una tempesta senza precedenti. Non ci saranno “soluzioni facili”: quelle proposte dagli iperpapisti e dagli antipapisti non sono migliori delle semplificazioni (sola fide, sola gratia, sola Scriptura) con cui il protestantesimo credeva di poter sfuggire alla corruzione della Chiesa tardo-medievale, conquistando invece secoli di sventurate scissioni. Questo è sicuramente un guaio che solo un Dio onnisciente e onnipotente potrebbe mai risolvere, un guaio da cui solo Lui potrebbe liberarci, rispondendo alle preghiere che Lui stesso invoca dalle nostre anime spossate, ma non vinte.

È per questo che ribadisco: la nostra opera di santificazione, predisposta per noi da Dio nella sua eterna Provvidenza, consiste nel rimanere fedeli alla tradizione e alla preghiera, qualunque cosa accada; nell’attendere il tempo, nel mantenere la nostra salute mentale, nel tenere duro e nell’attendere il Signore. Egli non è lontano, in pascoli utopici. Egli è ancora e sempre in mezzo a noi. “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).

[1] Vedi P. John Hunwicke, Peter Says No (First Things, 7 febbraio 2017).

[2] Pauper Peregrinus, Papal Infallibility After One Hundred and Fifty Years (OnePeterFive, 20 luglio 2020).

[3] Gerhard L. Müller, Manifesto della fede (La Nuova Bussola Quotidiana, 9 febbraio 2019).

[4] John Hunwicke, Without the Father … Cardinal Mueller’s Manifesto (1) (15 febbraio 2019).

[5] Vedi Pauper Peregrinus, op. cit.; Peter Kwasniewski, Could God permit a heretical pope to remain in office, and why would He? (LifeSiteNews, 9 gennaio 2020).

[6] Traduzione italiana dall’edizione inglese: Antonio Bacci, Meditations for Each Day (Waterloo, Arouca Press, 2018).

[7] Sulla storia del Breve esame critico, anche noto come Intervento Ottaviani, si veda la prefazione all’edizione inglese curata dal defunto Rev. Anthony Cekada (West Chester, Philothea Press, 2010).

[8] Vedi Eric Sammons, Is Francis the Pope? (OnePeterFive, 29 ottobre 2019).

[9] Vedi Michael Massey, Sedevacantism Is Modern Luciferianism (OnePeterFive, 2 dicembre 2019). Il termine “luciferianesimo” si riferisce al movimento iniziato dal vescovo Lucifero di Cagliari (morto nel 370) al tempo della crisi ariana.

[10] Vedi International Crusade of Eucharistic Reparation Launched by Bishop Schneider, (Catholic Family News, 24 luglio 2020).

3.fine

Aldo Maria Valli:
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