Sull’uso del termine “tradizionalismo”
di Aurelio Porfiri
Ho già raccontato altre volte di una mia conversazione con un noto arcivescovo, nel corso della quale, parlando del tradizionalismo cattolico, lui mi disse che si sentiva tradizionale, non tradizionalista.
Ho riflettuto molto su questa distinzione e sul “tradizionalismo cattolico”. In effetti l’espressione è convenzionale: vuole denotare quei gruppi di fedeli che si rifanno alla tradizione della Chiesa e ai suoi usi liturgici, teologici, devozionali, disciplinari che precedono la cesura del Concilio Vaticano II. In questo senso possiamo adottare la visione di Giuseppe Alberigo, capofila della cosiddetta “scuola di Bologna”, che vide il Concilio come l’evento fondante di un nuovo modo di essere Chiesa. Il tradizionalismo cattolico, in fondo, sposa questa visione e giudica le “variazioni” nella Chiesa (per dirla con Romano Amerio) come un allontanamento decisivo dalla ragione per cui essa esiste.
Insomma, non pochi nell’ambito del tradizionalismo cattolico diffidano dell’ermeneutica della continuità propugnata da Benedetto XVI e dall’arcivescovo Agostino Marchetto, in quanto ritengono, con ragioni anche molto serie, che “la riforma e il rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto Chiesa” non sono quelli che vediamo e sentiamo intorno a noi da parte dei molti che usano la parola Concilio come un feticcio, come una “parola talismano” (un concetto di Plinio Corrêa de Oliveira) per farci entrare qualunque cosa, anche ciò che rischierebbe di far venire un colpo apoplettico ai padri conciliari.
Ma torniamo al termine “tradizionalismo”. Per forza bisogna aggiungere “cattolico”, perché il tradizionalismo senza denotazioni è concetto molto più ampio che va dal tradizionalismo romano a molti altri tipi di tradizionalismo. Ma anche il termine “tradizionalismo cattolico” pone dei problemi. Perché?
Questa definizione non dice che all’interno del tradizionalismo ci sono grandi differenze. Per esempio, il tradizionalismo di don Francesco Ricossa (Istituto Mater Boni Consilii) non è il tradizionalismo dei gruppi Summorum Pontificum, e questi sono distanti dai seguaci di monsignor Lefebvre come quest’ultimi lo sono dai sedevacantisti.
La definizione dimostra così tutta la sua ambiguità. Per precisare meglio, bisognerebbe aggiungere un’altra parola, ad esempio “cattolico tradizionalista sedevacantista”, ma se pensiamo che ci sono ulteriori suddivisioni tra coloro che riconoscono o non riconoscono certe consacrazioni episcopali (pensiamo alle consacrazioni di monsignor Thuc) il tutto si fa ancora più magmatico.
Quindi non c’è un tradizionalismo cattolico, ma ci sono tradizionalismi cattolici spesso impegnati fra di loro in “singolar tenzone”.
Parlando ai gruppi stabili del Summorum Pontificum nel 2017 (oggi da alcuni potrebbe essere definito 4 a.T.c, cioè 4 avanti Traditionis custodes) il cardinale Robert Sarah diceva: “Alcuni, quando non addirittura voi stessi, vi chiamano tradizionalisti. Per favore, non lo fate più. Voi non siete rinchiusi in una scatola su un ripiano di una libreria o in un museo di curiosità. Voi non siete tradizionalisti: voi siete cattolici del Rito Romano come me e come il Santo Padre. Voi non siete di seconda classe o membri particolari della Chiesa cattolica a motivo del vostro culto e delle vostre pratiche spirituali, che sono state quelle di innumerevoli santi. Voi siete chiamati da Dio, come tutti i battezzati, a prendere il vostro posto nella vita e nella missione della Chiesa nel mondo di oggi, al quale anche voi siete inviati. Se voi non avete lasciato ancora le catene del ‘ghetto tradizionalista’, per favore fatelo oggi. Dio Onnipotente vi chiama a fare questo. Nessuno vi ruberà l’usus antiquior, ma molti saranno beneficati, in questa vita e nella futura, dalla vostra fedele testimonianza cristiana che avrà tanto da offrire, considerando la profonda formazione nella fede che gli antichi riti, e l’ambiente spirituale e dottrinale ad essi connessi, vi hanno dato perché non si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa”
Ciò che dice il cardinale è giustissimo. Ci si dovrebbe dire cattolici e basta. L’uso della parola “tradizionalisti” non aggiunge nulla. Un ragionamento che era molto sensato allora, ma oggi, 1 d.T.c. (anno 1 dopo Traditionis custodes), il termine ha ripreso vigore e papa Francesco questo ghetto non lo vuole richiudere dietro ai malcauti tradizionalisti, ma sembra volerlo bonificare. Tuttavia, non essendo questo possibile (penso che pure il Papa lo sappia) il suo documento non ha fatto altro che rafforzare le “mura del ghetto”, nel quale molti soffrono, molti sperano e alcuni sguazzano.
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Nella foto: ordinazione episcopale dell’arcivescovo Lefebvre da parte del cardinale Liénard, 1947