L’hummus di coleotteri riempie una ciotola in mezzo alla tavola. Ogni commensale è invitato a servirsi con le mani. Evitare le posate vuol dire evitare poi di lavarle, il che fa risparmiare l’acqua.
Come primo, il cameriere (un tipo anche lui poco lavato, sempre per via del risparmio d’acqua) serve a tutti zuppa di lepidotteri. Individuo qualche bruco galleggiante e il cameriere dice che quella è la parte più gustosa. Poiché non ci sono cucchiai, ognuno, dopo aver scostato la mascherina, sorbisce la zuppa direttamente dal piatto (di carta, biodegradabile).
Come intermezzo, ecco un ensemble di api, vespe e formiche. Il piatto si chiama “Fantasia di imenotteri”, e il solito cameriere, con uno sguardo che non saprei definire, dice che è bene mangiarlo tutto.
E ora il secondo: tartàre di ortotteri. Un po’ cacofonico, come nome. Ma le cavallette, le locuste e i grilli – assicura il cameriere ammiccando – sono di produzione locale: chilometro zero, roba buona.
Viene proposto anche un assaggio di emitteri misti. Cicale, cicaline, cocciniglie, cimici. Il tutto servito sopra un tappeto di lattuga. Mi sembra che una cimice si muova ancora e cerco di scartarla, ma il cameriere (come ha fatto?) se ne accorge e mi dice che quella è la parte migliore: “Roba fresca”.
Il dessert è una mousse di termiti, servita con biscottini chiamati Libellules. Li guardo meglio: sono davvero libellule.
Infine caffè ecologico, sostenibile ed etico. E sambuca. Con la mosca.
Al momento del conto, la cifra mi sembra francamente esorbitante. In fondo erano solo insetti. Ma il cameriere (ora il suo sguardo mi sembra un pochino aggressivo) dice che quei soldi andranno a finanziare non so quali ong che lavorano nel campo della solidarietà e della giustizia sociale. “Dovere morale” sibila il tipo, e capisco che non è il caso di mettersi a discutere.
Allungo le banconote, ma quello mi fa: “Qui niente contanti”. Mi indica un cartello del quale non mi ero accorto: “No cash”. Vedo che sta proprio accanto a un ritratto di Schwab, quello del Wef. Sotto c’è un lumino acceso.
Faccio per uscire, ma il cameriere si piazza davanti alla porta.
Che c’è’? Ci guardiamo per un po’, poi capisco. Dico: “Le darei volentieri la mancia, ma…” e indico il cartello “No cash”. Ma lui: “Per la mancia facciamo un’eccezione”. Acchiappa al volto una mosca scappata da un tavolo e con la stessa velocità la banconota che gli ho allungato. Mi lascia passare.
Fuori, respiro a pieni polmoni l’aria fredda.
Se ancora possedessi un’auto arriverei al mio alloggio sociale in pochi minuti, ma le uniche auto consentite ormai sono quelle elettriche, costano moltissimo e io non me la posso permettere.
Mentre cammino, con le mani infilate nel vecchio cappotto, ripenso alla cena di Natale. Ma ecco che un drone, sbucato da chissà dove, mi sbarra il passo. Ne esce una voce metallica: “Cittadino, correggi il tuo pensiero!”.
Sono il solito sbadato. Ho pensato la parola Natale. Un vero idiota.
“Chiedo scusa. Una distrazione. Non succederà più” dico al poliziotto del pensiero che mi parla attraverso il drone.
“Cittadino! Fai più attenzione!”.
“Certamente, non mancherò”.
Ormai sono ventidue anni che la parola Natale è vietata. Dovrei saperlo. L’unica definizione permessa è “Festa d’Inverno”, ma proprio non mi entra in testa.
Riprendo il cammino. Passando davanti al monumento a Gates mi inginocchio. C’è la nebbia, ma gli occhi elettronici vedono tutto e non vorrei proprio beccarmi una segnalazione. Che poi ti mandano ai lavori socialmente utili e ti tolgono il sussidio di sopravvivenza.
Una volta raggiunto l’alloggio sociale vorrei maledire l’umidità e la mancanza di riscaldamento, ma me ne guardo bene. La polizia ti legge nel pensiero con una rapidità sorprendente. Ragion per cui evito di pensare che darei non so cosa per una doccia calda, evito di recriminare sul conto eccessivo del ristorante e anche di lasciarmi andare a immaginare quella cosa buona… come lo chiamavano? Ah, sì: panino al prosciutto.
Invece di pensare pensieri rischiosi, recito la preghiera di ringraziamento a BB (il Beato Bill) e vado a letto vestito.
L’ultima immagine che mi balena nella mente è l’insegna luminosa del ristorante che lampeggia come una boa di segnalazione rosso sangue in un mare di nebbia: L’Avenir.
A.M.V.