di padre Mario Begio
Caro Aldo Maria,
ci eravamo lasciati con una parola sulla forza del perdono e sulla capacità di dimenticare. Forse è meglio chiarirsi su questo punto, che te ne pare?
Quando ero in missione avevamo una vecchia storia tribale che parlava suppergiù di caccia e di animali pericolosi e la cosa più insidiosa erano quegli animali che sembravano simili, ma invece erano proprio diversi. E il morale della favola era imparare a distinguere proprio tra animali simili ma invece diversi, perché era l’unico modo per arrivare al lieto fine nella storia.
Io penso che anche noi come cattolici dobbiamo chiarirci bene questo aspetto. Ci sono cose che sembrano simili e invece sono diverse: perdonare senza cercare giustizia, e senza attendere il pentimento del colpevole, non è carità, è debolezza. Ora, il cristiano è chiamato sì a perdonare, ma da cristiano. Ed è da cristiano avere lo Spirito di Fortezza. Essere deboli, poi, non significa in nessun modo essere buoni. I cristiani deboli hanno prodotto solo una cosa finora: le accuse di Nietzsche, il baffone nichilista, e la scia di gente vilipesa e abbandonata a cui (persino i preti) dicevano parole false perché non avevano il coraggio di difendere il povero e la vedova.
Quando dico queste cose al nostro seminarista, mi guarda sempre con due occhi. Ma tu, Aldo Maria, hai capito cosa gli raccontano oggi in seminario? Io no. Don Abbondio non è un buon cristiano e non è un buon prete. Perdonare ai Don Rodrigo e ai Bravi e permettere di rovinare famiglie e di accarezzare le spalle alle ragazze, alle Lucie, è da pusillanimi. Ecco la parola! Pusillanimità.
La conosciamo ancora questa parola? Qualche genio l’ha nascosta in soffitta, così poi siamo stati costretti a sostituirla con altre parole apparentemente simili. Tipo: perdono. E così ci oggi sentiamo in gamba perché perdoniamo, e invece due volte su tre siamo solo dei deboli.
Perché perdonare davvero significa amare come Cristo. Ed è raro e difficile. Quindi se tutti si sentono pronti a dare e chiedere perdono con facilità, probabilmente è il segnale che non si tratta di vero perdono cristiano, ma che c’è tanta pusillanimità in giro. Pusillanimità e vigliaccheria.
“Sì, sei proprio un vigliacco!” Io al parroco l’ho detto e poi per venti giorni non mi ha più parlato. “Prima li hai costretti a vaccinarsi. Ora che tornano arrabbiati per gli effetti avversi li umili con ‘perdono’, ‘accettazione’, ‘croce’ e altre parole a buon mercato. Sei un vigliacco”.
La pusillanimità, se è pretesa dai colpevoli, è vigliaccheria. Non ti dico la risposta, perché c’erano molte zeta. Amen. Un missionario in pensione che confessa può permettersi di dire certe cose, tanto non ha più carriera davanti.
Si ragiona così, vero? La Chiesa è cosa di carriere e sfere di potere. O no? Mi pare sia diventata così. Sarà un bias degli anni passati all’estero, ma mi pare sia diventata così.
Però mi ricordo anche un altro aspetto, che in missione tornava sovente: le lotte tribali. Dove c’erano lotte tribali c’erano vendette. Sai che fatica a fermare le vendette? Quando c’erano rappresaglie o aggressioni, sai che fatica insegnare il vero perdono cristiano? Vendicarsi non è cristiano. E Cristo stesso avrà pure cacciato dal Tempio i mercanti usando le funicelle, ma ha chiesto di riporre la spada nel fodero e ha risanato l’orecchio del soldato (il miracolo più grossolano di tutti i Vangeli serviva a mostrare anche ai più grossolani che la vendetta non è roba da cristiani!).
Perché alla fin fine i cristiani perdonano davvero. Ma il perdono è come un fil di lama tra viltà e vendetta. A starci sopra, vuoi o non vuoi, ti ferisci. Ma è l’unica ferita che non è segno di debolezza, ma di fortezza. E non direi altro, credo che l’immagine renda bene.
Non vaccinati, danneggiati, e tutti voi che ancora state bene ma iniziate a vedere lo schifo che ci hanno versato addosso: fate la fatica del perdono nel profondo del cuore e siate forti nel chiedere la giustizia a livello sociale. Non vi freni la pusillanimità. Non vi accechi la vendetta.
E mi fermo qui. Per oggi.
8.continua
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