Una bellissima descrizione dei luoghi, dei riti e dell’atmosfera a Betlemme in occasione del Natale. L’anno è il 1928. L’autore l’archeologo e diplomatico francese Charles-Jean-Melchior de Vogüé (1829-1916).
“I fedeli si assiepano nella santa Grotta, si pigiano, stanno come arrampicati nei gradini, non vogliono privarsi di quelle consolazioni celestiali, per nutrirsi della santa Comunione, nel luogo benedetto ove Gesù apparve agli uomini”.
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di Charles-Jean-Melchior de Vogüé*
Nella giocondità delle ricorrenze di Natale e dell’Epifania, la mente vola spontanea alla cittadina che diede i natali a Gesù. Ricorre allora sulle labbra Betlem, sinonimo di allegrezza e benedizione, come porta lo stesso suo nome che significa casa del pane, come l’antica sua denominazione di Efrata voleva dire piena di frutti, infatti in lei doveva spuntare il frutto del ventre benedetto di Maria.
Il nome di Betlem s’incontra spesso nelle sacre Carte per esservi morta nei dintorni Rachele, per avere dati i natali ad illustri personaggi, fra i quali Jonathan, Noemi nuora di Ruth e David. San. Giuseppe ancora, sebbene domiciliato a Nazareth, apparteneva a Betlem, come discendente di David.
Ma la gloria di Betlem, che oscura tutte le precedenti, è di essere stata la patria di Gesù, nato in una povera stalla, e come dicono gl’indigeni in un Khan, probabilmente quello che seicento anni avanti aveva servito ad albergare il gregge di Chanaam favorito da Salomone per avere il suo padre Berzellai prestato aiuto a David nel tempo della ribellione di Assalonne.
La Grotta dove nacque il Redentore è scavata in una roccia calcarea dolce. Originariamente era molto vasta, o meglio formata da molte caverne, e pare ci si entrasse a livello del terreno. Questo luogo, il più augusto dell’universo, come lo chiama san Girolamo, fu ben presto circondato dalla venerazione dei fedeli. L’imperatore Adriano, volendo cancellare ogni ricordo di Gesù Cristo, lo profanò piantandovi sopra un boschetto dedicandolo ad Adone, il favorito di Venere. Ma il sacrilego attentato durò ben poco, perché l’imperatrice sant’Elena, distruggendo il bosco, innalzò sopra la Grotta un magnifico Tempio, adornato poi ancora più sontuosamente dal figlio, l’imperatore Costantino.
Nella costruzione della Basilica, la Grotta rimase trasformata in cripta, ed il soffitto naturale poco solido fu dovuto sostenere con una volta in muratura.
Vi si accede per due scale, l’una di sedici gradini, l’altra di tredici. Oscura di per se stessa, è rischiarata da cinquanta lampade, delle quali diciannove appartengono ai Francescani. La forma è quasi rettangolare, misura metri 12,30 in lunghezza e 3,15 in larghezza. Il suolo è stato rivestito di marmo bianco. Qui nacque il Redentore del mondo; l’indica una stella d’argento dorato, intorno alla quale si leggono queste parole: Hic de Virgine Maria Jesus Christus natus est. Quattro passi più avanti nella stessa Grotta, verso sud-ovest si scende per tre scalini nel Presepio, sotto il drappeggiamento si possono vedere le pareti rocciose. Qui la Vergine Maria coricò sulla paglia il Bambino Gesù, qui vennero ad adorarlo i pastori, avvertiti dall’Angelo, qui si prostrarono i Magi, salutandolo, Dio, Re, Uomo.
Dopo la profanazione di Adriano, si moltiplicarono le visite dei cristiani, molti dei quali vi stabilirono la loro dimora. San Girolamo vi giunse nel 384 dimorandovi trentasei anni, fino al termine della sua lunga vita. San Eusebio di Cremona, santa Paola, sant’Eustachio, Fabiola ed altre matrone del patriziato romano scelsero Betlem come luogo della loro santificazione e del loro eterno riposo. Non pochi eremiti costruirono nei dintorni le loro celle, e vi si eressero parecchi Monasteri da meritare Betlem di essere elevata a vescovado nel 1110, però fu di corta durata, perché nel 1187 cadde in potere dei Mussulmani; ripresa dai Cristiani dal 1229 al 1244, non molto dopo dai Carismini vincitori dei Crociati fu messa a ferro e fuoco.
Intorno a quei tempi vi si stabilirono i Francescani, che quantunque soggetti a mille persecuzioni rimasero sempre fedeli al servizio del Santo Presepio e contribuirono potentemente a far risorgere la piccola città di Betlem incantevole ancora per la sua deliziosa posizione. È situata a 777 metri di altezza e si eleva su due colline che scendono per un succedersi di ripiani coperti di vigne e di olivi fino alle profonde vallate che la circondano, eccetto che a nord-ovest. Sulla collina occidentale, la più elevata, era la città biblica; sull’orientale, meno alta ma più larga è sita la Grotta sopra la quale sorge la Basilica della Natività, attorniata da tre Conventi: latino, greco e armeno. Le strade sono strette, tortuose e oscure, salvo quelle che furono allargate in questi ultimi anni. La popolazione tende continuamente a decrescere per l’emigrazione specialmente verso l’America del Sud. Nel censimento del 1922 vi si contavano 9048 abitanti, cioè 420 musulmani, 8626 cristiani e 2 ebrei.
Gli abitanti sono generalmente laboriosi, dedicandosi oltre all’agricoltura e pastorizia, all’industria della madreperla e del calcare bituminoso, detto pietra del Mar Morto. Sono di bella presenza e riescono simpatici con i loro vestiti originali e pittoreschi, di cui fanno mostra nelle solennità del Natale e dell’Epifania, le due grandi feste alle quali accorrono persone dei più lontani paesi e parti del mondo.
All’approssimarsi del Natale, Betlem si riveste dei panni della sua giocondità, preparandosi al gran giorno. Si ripuliscono le case, si pavesano, si allestiscono per ricevere ospiti. Le solenni funzioni religiose si compiono dal Patriarca latino, che parte da Gerusalemme circa le 9 anti-meridiane della vigilia. A circa due chilometri da Betlem attendono il Patriarca le principali notabilità con il Muktar (sindaco), col Parroco presso la tomba di Rachele, che ivi morì pei dolori del parto di Beniamino. La tomba della graziosa sposa di Giacobbe che si eleva con cupola, è oggetto di venerazione per gli ebrei, cristiani e mussulmani.
Qui, il Patriarca dopo ricevuti gli omaggi dei convenuti, si avvia verso Betlem preceduto da lunga fila di carrozze con a capo un ecclesiastico a cavallo recante la croce astile. Nel tempo del governo turco, un forte squadrone di soldati a cavallo scortava la carrozza del Patriarca, adesso l’onorifico ufficio viene compiuto da militari inglesi.
Intanto presso la piazza di Betlem si aduna foltamente il popolo, i Francescani escono in processione dalla Basilica per attendere avanti la casa comunale l’arrivo del Patriarca, le campane suonano a distesa spandendo i loro echi giulivi per le vallate, fino al campo di Booz, fino alla piccola collina ove i fortunati pastori ricevettero l’annunzio dell’Angelo.
Giunto il Patriarca nella bella piazza, si veste gli abiti prelatizi e ricevuti gli onori liturgici, il corteo si avvia processionalmente alla Basilica cantando il Benedictus. Entrando per la bassa porta d’ingresso ed attraversata la Basilica della Natività, il corteo si reca alla chiesa di Santa Caterina, divisa soltanto da un muro dalla prima, quivi ricevuta la benedizione, ognuno ritorna alle proprie case, tutti attendono l’avventurata notte.
Lungo la serata, affluiscono i pellegrini, l’Ospizio dei Francescani detto Casa nova ribocca di ospiti, le vastissime sale non valgono talvolta a contenere i convenuti che fanno a gara per fare onore alla mensa che S. Francesco con la sua generosità, ereditata dai Francescani di Terra Santa, offre a tutti. Sembra di vedere una gara fra i Francescani e gli ospiti, quelli ad offrire, questi a ricevere con un grazie, che sì piace a quei buoni Frati da renderli solleciti di preparare caffè e thè agli ospiti graditi prima d’iniziarsi le sacre funzioni.
Queste principiano alle 10 e trenta pomeridiane col canto solenne del Mattutino dopo del quale il Patriarca pontifica la Messa accompagnata dalla Schola Cantorum dei Francescani venuti espressamente da Gerusalemme. Sono momenti d’ineffabile letizia che giungono al colmo dopo il canto dell’Evangelo; non si provano che a Betlem, nella notte di Natale.
Si ordina la processione al lieto cantico degli inni. Ognuno vuole prendervi parte con la torcia in mano. Il Patriarca sostiene sulle braccia il santo Bambino per portarlo al S. Presepio, ove nacque, ove emise i primi vagiti invocanti amore. È sorridente quel caro Pargoletto; con le piccole braccia distese, con le manine dolcemente aperte invita a Lui per soffrire come Egli soffrì, per amare com’Egli amò. In quella povera spelonca tutto parla di Gesù; là sentesi l’attrattiva di una forza superiore, arcana, che fa dimenticare il mondo, perché la gioia che sprigionasi dal cuore chiama lagrime di tenerezza che fanno bene, ristorano, insegnano come solo nella grotta di Betlem, nell’umiltà del Bambino, nella sua povertà, nel suo amore si trova la consolazione, si assapora la pace ch’ Egli portò al mondo, agli uomini di buona volontà.
È mezzanotte. La processione dal Presepio attraversando nuovamente la Basilica della Natività rientra nella chiesa di Santa Caterina per continuarvi il pontificale. Intanto al Presepio i Francescani iniziano la celebrazione delle sante messe che si protraggono fino alle 4, fino alle 5 pomeridiane, perché i Sacerdoti, specialmente quelli venuti dai lontani paesi, vogliono avere la consolazione di celebrare nel giorno di Natale sulla mangiatoia di Gesù, nel Santo Presepio, a vista di quel celeste Pargoletto che ruba i cuori. A nessuno è concesso di poter celebrare le tre Messe nel Santuario, sarebbe impossibile soddisfare la divozione di tutti, ma ogni Sacerdote, detta la prima Messa, celebra le altre due nei Santuari attigui e comunicanti con la Grotta, in quello ove conservansi le ossa dei Santi Innocenti, nell’altare della Cappella nella quale san Giuseppe ebbe in sogno l’avvertimento dell’Angelo di rifugiarsi con il Bambino in Egitto per sfuggire le ire di Erode che lo cercava a morte; nella camera che fu testimone delle aspre penitenze, dei lunghi studi, dell’agonia di S. Girolamo, oppure sopra il sepolcro di sant’Eusebio di Cremona, che discepolo del massimo Dottore, gli successe nel governo del Monastero betlemitico, o finalmente sulla tomba delle sante Paola ed Eustochio.
I fedeli si assiepano nella santa Grotta, si pigiano, stanno come arrampicati nei gradini, non vogliono privarsi di quelle consolazioni celestiali, per nutrirsi della santa Comunione, nel luogo benedetto ove Gesù apparve agli uomini. È necessario di far sfollare di tanto in tanto la gente per dar luogo ad altra che attende, che desidera e spasima di prostrarsi sulla culla del Bambino per avere un Natale più lieto e giocondo. Nel pomeriggio, seguiti da pellegrini e da betlemitani, i Francescani recansi in pellegrinazione al campo detto dei Pastori perché, secondo la tradizione, ebbero qui l’annunzio della nascita del Messia. Quanti ricordi soavi!
* Charles-Jean-Melchior de Vogüé (1829-1916), archeologo e diplomatico francese
Da Almanacco di Terra Santa pel 1928, Tipografia dei PP. Francescani, Gerusalemme, pagg. 35-37
Fonte: centrostudifederici
https://www.centrostudifederici.org/le-funzioni-di-natale-a-betlemme/