Di che stupirsi? / Note in margine al caso Rupnik
Solo chi non conosce l’attuale, drammatica situazione della Chiesa cattolica può stupirsi del caso Rupnik, che è un concentrato di molte delle piaghe che la affliggono.
Ma soprattutto stupisce lo stupore manifestato verso il comportamento di Francesco. Stupore? Ma, scusate, stiamo parlando del papa che ha coperto McCarrick, Zanchetta, Pineda e molti altri: l’indulgenza verso Rupnik non fa che confermare in pieno il suo comportamento e quella che appare come vera e propria complicità.
Padre Gianfranco Matarazzo, anch’egli gesuita, ha descritto la gestione del caso Rupnik come uno tsunami di ingiustizia e di mancanza di trasparenza. Siamo d’accordo; ma bisogna dire chiaramente che questi tsunami sono ormai all’ordine del giorno e che gli scandali – per quanto di inaudita gravità – stanno diventando norma.
E che dire della tecnica adottata dagli amici e protettori di Rupnik, che hanno cercato di screditare le vittime? Anche in questo caso, niente di nuovo. Il che conferma che tutti i discorsi sulla giustizia e la trasparenza sono solo chiacchiere; né potrebbe essere diversamente, dal momento che arrivano da chi non ha più nulla a che fare con la Fede.
A proposito delle vittime, se si leggono le testimonianze delle suore “discese agli inferi” a causa di Rupnik, c’è da farsi venire il voltastomaco. Ma non solo per ciò che il gesuita faceva loro. Si prova nausea per i silenzi di chi sapeva, per le connivenze, per gli insabbiamenti sistematici, per l’ipocrisia totale e diffusa. Si prova nausea per quella forma di vile accondiscendenza dei cortigiani nei confronti di chi detiene potere e denaro, di chi veste i panni profani dell’imprenditore con velleità artistiche, trasformando l’arte sacra in fruttuoso business dal quale i compiacenti subalterni sperano di trarre qualche vantaggio personale, qualche provvigione, qualche briciola caduta dalla mensa del ricco epulone; le cui crapule scandalose vengono perdonate proprio perché si spera di trarne in qualche modo profitto.
Alte gerarchie della Chiesa ne escono distrutte. Ma, una volta ancora, viene da chiedersi: di che stupirsi? Parliamo di ambienti in cui molto spesso l’unico interesse è la gestione del potere e del denaro, in cui il clericalismo deplorato a parole da Bergoglio si incancrenisce e trasforma in un’autoreferenzialità che nasconde solo brame mondane e miserabili vizi. D’altra parte, l’attaccamento ai beni terreni e ai piaceri della carne – già deplorevole nei laici – diventa nei chierici il segno della loro estraneità alle cose spirituali, la cifra di una mondanità tanto più fuori luogo quanto maggiore è il divario che la separa dalla ricerca della gloria di Dio e della salvezza delle anime.
In altri tempi – e comprendiamo bene perché sono così detestati da costoro – il fedele, il chierico e il religioso avevano come scopo quello di conformarsi al modello indicato dalla Fede. Oggi è la Fede che deve essere adeguata ai vizi e alle depravazioni di prelati, chierici e religiosi.
Il caso Rupnik è solo l’ultimo anello di una lunga catena di perversione che nasce laddove la Fede è stata stravolta e, alla fine, cancellata.