Quando Benedetto XVI mi scrisse: “Grazie di cuore per tutto il suo lavoro”
Tra i ricordi più cari che conservo, e di tanto in tanto mi riportano al mio passato di vaticanista sul campo, c’è una breve lettera di Benedetto XVI. È del 17 settembre 2013. Finché Joseph Ratzinger è rimasto in vita non ne ho mai parlato. La lettera dice così:
Caro Signor Valli,
Grazie di cuore per il Suo grande libro “Benedetto XVI. Il Pontificato interrotto” – un viaggio negli anni del mio Pontificato, che permette al lettore di vedere la somma del mio lavoro come Pontefice. In quest’occasione vorrei dire Grazie per tutto il Suo lavoro in questo periodo e per il Suo impegno di far arrivare il messaggio del Vangelo ai nostri contemporanei.
Sia sicuro del mio ricordo nella preghiera.
Suo nel Signore
Benedetto XVI
La firma è quella riconoscibilissima, con caratteri così piccoli da essere quasi impercettibili. La lettera porta come intestazione Benedictus XVI. Papa emeritus.
Raramente un mio libro ha ricevuto un omaggio tanto bello. Benedetto XVI. Il pontificato interrotto uscì per Mondadori nel marzo 2013, un mese dopo la rinuncia. Fui in grado di proporlo tanto a ridosso della rinuncia perché nel tempo ero andato studiando e classificando il magistero di Benedetto XVI fin dall’elezione: per me una grande avventura intellettuale oltre che di fede.
Con le sue 380 pagine Benedetto XVI. Il pontificato interrotto (nato da un’intuizione e una richiesta di Ferruccio Parazzoli) è il mio libro più corposo e si propone lo scopo di ripercorrere il magistero di Benedetto XVI, un patrimonio per tutti, non solo per i cattolici.
Mi piace qui riportare l’inizio del capitolo intitolato Allargare lo spazio della ragione, perché credo di aver riassunto lì uno dei punti centrali, se non il centrale, dell’insegnamento che il teologo Ratzinger ha donato al mondo contemporaneo.
Allargare lo spazio della ragione
Al centro del magistero di Benedetto XVI c’è una domanda: chi è l’uomo? La risposta, elaborata fin dalla prima enciclica, la Deus Caritas est del 2005, dedicata all’amore cristiano, è che l’uomo è una creatura voluta da Dio per un atto d’amore che la creatura è chiamata a sua volta a ricambiare e diffondere. Domanda e risposta sono state inserite dal papa all’interno di una grande proposta riguardante la ragione umana.
Il teologo Ratzinger, in controtendenza rispetto al pensiero contemporaneo, sostiene infatti che lo spazio della razionalità non si esaurisce con ciò che è sperimentabile, ma va al di là e comprende la sfera trascendente. L’indagine su se stesso e sul significato del proprio essere, insopprimibile in ogni uomo, porta inevitabilmente a fare i conti con l’ipotesi Dio. Un’ipotesi che il papa chiede di non eliminare a priori, ma di indagare proprio in virtù di quella razionalità che è pienamente umana quando non è mutilata dalla pretesa positivistica.
È un discorso, quello sulla ragione, che il papa ha affrontato in particolare nella lezione tenuta a Ratisbona, durante il viaggio in Baviera nel 2006. Interpretato in chiave anti-islamica per via di una citazione riguardante Maometto, l’intervento di Benedetto XVI aveva come destinatario il pensiero espresso dalla cultura occidentale e soprattutto europea, colpevole, a suo giudizio, di aver abbandonato l’ipotesi Dio con drammatiche conseguenze sul piano morale. Nella visione di Ratzinger, infatti, l’eliminazione di Dio dall’orizzonte conoscitivo equivale a rendere l’uomo schiavo di sé, perché quando la libertà ha come unica misura l’uomo stesso è falsa e apre le porte all’uso strumentale dell’essere umano.
Gli incessanti appelli per il rispetto della vita dal concepimento alla morte naturale, per la difesa della famiglia fondata sul matrimonio e per la libertà religiosa vanno inquadrati all’interno di questa cornice, che comporta un dialogo serrato con la cultura secolarizzata. Il contrasto a tratti è stato aspro, ma il papa non ha mai voluto annacquarlo. Intervenendo nel dibattito pubblico, ha detto a più riprese, la Chiesa non difende interessi propri, bensì l’identità della persona in quanto creata a immagine di Dio.
Benedetto XVI ha individuato il grande avversario nel relativismo etico, che nasce dall’abbandono della ricerca della verità, ritenuta non pertinente alla ragione umana. Oggi proposto ed esaltato dalla mentalità dominante come garanzia del rispetto reciproco, della tolleranza e, alla fine, della democrazia stessa, il relativismo è, per papa Ratzinger, un vero tarlo sia per l’intelletto sia per lo spirito: creando pericolosi vuoti all’interno della morale umana, esso lascia la creatura senza punti di riferimento, del tutto sbandata e incapace di usare la propria libertà in senso costruttivo.
Contro il relativismo morale il papa si è battuto incessantemente, riaffermando la validità della dottrina del diritto naturale, i cui precetti fondamentali sono espressi nel decalogo. La legge «naturale», ha sostenuto il pontefice citando il Catechismo della Chiesa cattolica, è chiamata così «perché la ragione che la promulga è propria della natura umana». Essa infatti «indica le norme prime ed essenziali che regolano la vita morale» e ruota attorno a due perni, «la sottomissione a Dio, fonte e giudice di ogni bene, e il senso dell’altro come uguale a se stesso».
A giudizio di papa Benedetto, mediante la dottrina della legge naturale si raggiungono due finalità essenziali: «Da una parte, si comprende che il contenuto etico della fede cristiana non costituisce un’imposizione dettata dall’esterno della coscienza dell’uomo; dall’altra, partendo dalla legge naturale di per sé accessibile a ogni creatura razionale, si pone con essa la base per entrare in dialogo con tutti gli uomini di buona volontà e, più in generale, con la società civile e secolare» (discorso nell’udienza ai membri della Commissione teologica internazionale, 5 ottobre 2007).
Per Benedetto XVI abbandonare la ricerca della verità significa entrare in una dimensione di smarrimento e confusione che ha gravi conseguenze sul vivere. Una volta persa l’idea che i fondamenti dell’essere umano e delle relazioni sociali esistono e sono riconoscibili, si lascia campo aperto a una lotta tra visioni diverse e tutte equivalenti. Un relativismo che si ripercuote in modo drammatico sulle coscienze e anche sul diritto perché, in mancanza di un fondamento etico originario, evidente e riconosciuto, il criterio dominante diventa quello della maggioranza numerica. E di fatto, in queste condizioni, la maggioranza è riconosciuta come la fonte stessa delle decisioni e della legge civile.
Eliminato il problema della ricerca del bene, perché il relativismo lo ritiene semplicemente non proponibile, non resta che la conta delle posizioni, ma in questo modo tutto si sposta sul piano del potere. Può così accadere che la maggioranza di un momento diventi la fonte del diritto, anche se la storia dimostra che le maggioranze possono sbagliare. Di qui l’ammonimento, contenuto nel discorso citato sopra: «La vera razionalità non è garantita dal consenso di un gran numero, ma solo dalla trasparenza della ragione umana alla Ragione creatrice e dall’ascolto comune di questa Fonte della nostra razionalità».
Il conflitto tra questa visione e quella espressa dalla mentalità corrente, incapace di accettare il discorso proposto dal papa sulla verità, ha attraversato in modo drammatico il pontificato di Joseph Ratzinger. Ma il pontefice teologo, pur con i modi gentili e il tocco lieve che gli sono sempre stati propri, non ha rinunciato a condurre avanti la battaglia.
Da: Aldo Maria Valli, Benedetto XVI. Il pontificato interrotto, Mondadori, pp. 6-9.