La Chiesa dopo la morte di Benedetto XVI. Come a Sarajevo nel 1914?

di The Wanderer

Da quando è stata resa nota la morte di papa Benedetto XVI, è emerso in tutta evidenza il conflitto nato dal 2013 all’interno della Chiesa tra il settore “conservatore” (intendo coloro che, in linea con la tradizione bimillenaria, sostengono che la Chiesa è un’istituzione fondata da Gesù Cristo con uno scopo trascendente e soprannaturale che consiste nella salvezza delle anime) e il settore “progressista”, costituito da chi considera la Chiesa un’istituzione umana, forse la più antica e potente, il cui scopo è immanente e consiste nella promozione dell’uomo a tutti i livelli, anche religioso, ma dando a questo termine un significato ampio, lontano da ogni verità dogmatica o morale.

La settimana scorsa abbiamo assistito a eventi che fino a pochi giorni fa avremmo ritenuto impossibili. Monsignor Georg Gänswein ha rilasciato dichiarazioni esplosive sull’impatto che la promulgazione di Traditionis custodes ha avuto su papa Benedetto XVI, e sul modo in cui lui stesso, padre Georg, è stato de facto rimosso dall’incarico di prefetto della Casa pontificia con le parole che il papa emerito avrebbe pronunciato in proposito: “Penso che papa Francesco non si fidi di me e voglia che tu sia il mio guardiano”. Nei prossimi giorni verrà pubblicato il libro delle memorie del monsignor Gänswein, e tutto fa pensare che rivelerà molti altri dettagli significativi

Da parte sua, come abbiamo dettagliato la scorsa settimana, Papa Francesco e la sua fedele corte a Santa Marta non hanno evitato di infliggere quante più umiliazioni postume possibili a Papa Benedetto XVI. Sembrerebbe che abbiano approfittato delle sue esequie per scatenare il risentimento compresso per anni, mostrando al mondo intero l’abisso del loro odio.

La domanda che ogni analista si pone è come sia stato possibile per entrambi gli attori manifestare così apertamente la gravità del conflitto. Monsignor Gänswein non è uno sprovveduto e non possiamo pensare che abbia agito in modo impulsivo. Un ecclesiastico come lui non cadrebbe mai in un errore così grossolano e, d’altra parte e ancora più importante, le interviste, almeno alcune di esse, sono state sicuramente registrate prima della data in cui sono state rilasciate, e con molta probabilità anche le sue memorie erano già pronte da tempo per essere messe sugli scafali; un libro non può essere scritto, e un editore trovato, in una settimana. In altre parole, ogni passi che monsignor Gänswein ha compiuto finora è stato attentamente pensato e calcolato.

Non mi sembra che questo sia il caso di papa Francesco, astuto uomo di governo. Anche se il suo rancore nei confronti del defunto papa era profondo, è difficile trovare una spiegazione a quel guazzabuglio che sono state le esequie di Benedetto. Il presidente del Portogallo ha rivolto una critica formale per il modo in cui sono state gestite le cose e Václav Klaus, ex presidente della Repubblica Ceca, ha chiesto pubblicamente le ragioni di un così triste spettacolo. L’unico motivo che mi viene in mente è che Bergoglio era così accecato dalla rabbia – come è successo in altre occasioni – che non si è soffermato a pensare a quanto brutale e scandaloso fosse il suo comportamento.

L’importante quotidiano tedesco Tagepost ritiene che, con la morte di Benedetto XVI, si sia aperta una nuova tappa del pontificato di Francesco o, addirittura, della stessa Chiesa. E il motivo è che Ratzinger ha agito come una sorta di filtro che ha smorzato le furie dei conservatori contro gli eccessi di Bergoglio. Come ha affermato il cardinale Müller, i conservatori, per riprendersi, potevano sempre recarsi presso il monastero Mater Ecclesiae. Ora che non c’è più Benedetto, lo scontro è diventato inevitabile, come stiamo vedendo, e come vedremo nelle prossime settimane.

Osservando la situazione di entrambi gli schieramenti verrebbe da pensare che i progressisti siano quelli con le carte in regola per vincere. In primo luogo, perché è la corrente che gode del potere nella persona del Sommo Pontefice, e di un buon numero di cardinali e vescovi a lui fedeli. Tuttavia, la morte di Benedetto XVI è arrivata tardi. La musica sarebbe stata molto diversa se il papa emerito fosse morto cinque o sei anni fa. Ora Bergoglio è un pontefice sfinito e indebolito, e tutti intorno a lui, in cerchie più o meno ristrette, attendono la sua morte. Non rinuncerà mai. Semplicemente morirà come un qualsiasi figlio di Adamo, e non sembra che quel giorno sia poi così lontano. Come dicono da qualche mese gli specialisti, il Vaticano odora di conclave.

D’altra parte, lo stile di governo di Francesco, estremamente autoritario, gli ha creato nemici ovunque, anche tra chi condivide il suo progressismo. Consideriamo, ad esempio, come devono aver reagito il cardinale vicario e tutto il clero romano alla costituzione apostolica promulgata da Francesco venerdì scorso e con la quale, di fatto, la diocesi di Roma viene commissariata dal Papa, il quale chiede al suo vicario, tra le altre cose, di consultare lui circa la nomina di tutti i parroci o le ordinazioni di ciascuno dei seminaristi.

Bisogna tornare indietro di molti secoli nella storia della Chiesa per trovare un papa dittatore come Bergoglio. La sua leadership, quindi, è debole, e coloro che ora lo sostengono non esiteranno ad abbandonarlo e a gustare i frutti della vendetta per le umiliazioni ricevute.

A questo dobbiamo aggiungere che Francesco non gode nemmeno del sostegno delle forze progressiste più potenti, come l’episcopato tedesco e quello degli altri Paesi nella sua orbita. E non ha nemmeno il sostegno popolare. La gente, il “popolo fedele”, non è legata a papa Francesco. Basta vedere l’irrisoria partecipazione di pubblico che ogni sua apparizione riesce a radunare.

Bergoglio, quindi, è debole: perché è anziano e malato, perché il suo pontificato si è logorato producendo tanto rumore per nulla, perché il suo stile di governo gli ha procurato innumerevoli nemici e perché gli manca il sostegno e la devozione popolare.

Anche dal lato conservatore la situazione è complessa. Non è una fazione compatta, non ha un capo ed è composta da una moltitudine di tribù sospettose l’una dell’altra, incapaci di distinguere tra ciò che è importante e ciò che è marginale ma capaci della massima goffaggine pur di trionfare in una disputa sulle questioni più insolite e trascurabili.

Ci sono punti di riferimento, certamente, e di varia caratura: forse i più noti sono i cardinali Burke e Sarah, oltre a vescovi come Viganò o Schneider. Includerei nel gruppo anche i cardinali Müller, Pell, Erdo ed Eijk, e un buon numero di vescovi americani. Ma sono tutti punti di riferimento che mancano di una vera leadership. A mio avviso, il gruppo conservatore potrebbe avere una reale possibilità di successo solo se trovasse un leader capace di unificarlo e dotato di sufficiente saggezza e forza per affrontare il progressismo.

Sembrerebbe che i progressisti bergogliani, seguendo la tattica peronista, abbiano già scelto il nemico e lo stanno indicando. Si tratta di monsingor Georg Gänswein. Elisabetta Piqué, giornalista argentina di stanza a Roma, amica personale di Francesco e sua portavoce ufficiosa fin dai tempi in cui il futuro papa era arcivescovo di Buenos Aires, lo ha detto sabato in un articolo su La Nación: è lui, Gänswein, il portavoce dei nemici “ultraconservatori” di Francesco. E pochi giorni prima la giornalista si era chiesta se padre Georg fosse diventato matto.

Nei prossimi giorni, non vi è dubbio, si intensificheranno gli attacchi di tutti i media contro Gänswein. A Santa Marta lo vedono come un pericoloso leader capace di unificare le forze conservatrici. Ma non è detto che i conservatori riusciranno a mettersi d’accordo, lasciando da parte i loro integralismi e adottando strategie comuni. Non sarebbe strano se qualcuna delle tribù che compongono l’arcipelago conservatore si mettesse a polemizzare, che so, perché Gänswein è stato vaccinato contro il Covid, o perché celebra con il novus ordo, o magari gli chiedessero di abiurare pubblicamente la Dignitatis humanae. La caparbietà e la mancanza di prudenza e buon senso sono le caratteristiche dei nostri amici conservatori.

L’ascesa di un leader, sia esso monsignor Gänswein o qualsiasi altro, richiede il verificarsi di un evento esplosivo. A causa della natura gerarchica della Chiesa, i capi sono delegati; i leader naturali sono i vescovi, e conosciamo già la qualità dell’attuale episcopato cattolico. Pertanto, l’emergere di un outsider è molto complesso, e lo sarà sempre in modo relativo poiché è essenziale che tale persona sia un vescovo. In altre parole, perché ciò avvenga è necessaria la comparsa sulla scena di un Gavrilo Princip che uccida un arciduca a Sarajevo. E secondo me sarà lo stesso Bergoglio ad assumere quel ruolo, accendendo la miccia della polveriera, e non solo per la sua natura imprevedibile ma perché è l’unico che ha la capacità, in virtù della sua posizione, di provocare un conflitto di quelle proporzioni all’interno della Chiesa. In qualsiasi altro caso, quando sorge un conflitto, è il papa che funge da ultimo arbitro e risolve la situazione. Ma quando è lo stesso Papa che si ostina a creare difficoltà e a provocare ferite e divisioni, non c’è nessuno a cui rivolgersi. Nessuno, eccetto un leader.

Ciò che è pericoloso, estremamente pericoloso, è che Francesco ha in mano un’arma capace di far esplodere la guerra. C’è un arciduca che passeggia a Sarajevo. In base alle voci degli ambienti vaticani, la vera e furibonda intenzione di Francesco è quella di nominare prefetto della Congregazione per la dottrina della fede il vescovo tedesco Heiner Wilme, personaggio descritto da tutti come ultraprogressista, uniformato alle decisioni più estreme del sinodo tedesco. Per lui, ad esempio, la Santa Messa non è un elemento importante della vita cristiana e naturalmente propone una completa revisione dell’insegnamento della Chiesa sulla sessualità. Pare che non sia ancora stato nominato a causa della forte opposizione che Francesco ha trovato in numerosi vescovi e porporati come il cardinale Müller. Ma se il papa insiste sulla nomina, cosa molto probabile date le circostanze, non c’è dubbio che la Chiesa entrerà in una fase di lotta e divisione molto profonde e dall’esito imprevedibile.

Questo sarà lo scopo e il frutto ultimo del pontificato di Francesco, il papa peggiore e più dannoso dell’intera storia della Chiesa.

Fonte: caminante-wanderer.blogspot.com

Titolo originale: Sarajevo 1914. La iglesia después de la muerte de Benedicto XVI

Traduzione di Valentina Lazzari

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