X

Sulla protestantizzazione di un certo tradizionalismo cattolico

di Aurelio Porfiri

Osservando con un certo distacco le evoluzioni nell’ambito di quel fenomeno complesso che viene definito “tradizionalismo cattolico” mi sembra vengano confermati alcuni elementi che ho già messo in luce in altri miei scritti. Innanzitutto non c’è un tradizionalismo, ma ci sono tanti tradizionalismi. Si potrebbe dire che questo vale anche per altre realtà, come nel caso degli ordini religiosi, ognuno dei quali vive il cattolicesimo con accenti particolari. Tutto vero. Ma è anche vero che nel caso degli ordini religiosi le peculiarità non sono in opposizione, ma complementari. Uno può apprezzare le spiritualità domenicana e francescana senza essere in palese contraddizione.

Un po’ diverso, mi sembra, il discorso per i movimenti ecclesiali, che almeno nel passato vivevano una forte contrapposizione fra loro. In alcuni di essi si pensava (e forse si pensa ancora) di costituire una via del tutto privilegiata per vivere la fede, a scapito delle altre esperienze.

Tornando al tradizionalismo cattolico, mi sembra di osservare sempre più quella che definisco una “protestantizzazione” di alcuni suoi settori. Mi rifaccio qui a un’osservazione di Vittorio Messori, che ha parlato di un istinto di parcellizzazione nei protestanti, un dividersi all’infinito sempre in contrapposizione a quello che c’è fuori e sempre pensando di essere la versione più autentica della fede che si intende professare. Se non ricordo male, fu monsignor Marcel Lefebvre a dire (ma potrei sbagliare e, nel caso, mi scuso) che la storia della Fraternità San Pio X fu anche la storia dei suoi scismi, cioè dei tanti che ne sono usciti non per approfondire un carisma particolare, ma per porsi quasi in contrapposizione con la casa madre. Ora, io qui non voglio stabilire chi ha ragione o chi ha torto. Cerco soltanto di osservare una tendenza che è certamente dannosa per tutti coloro che vogliono difendere la tradizione cattolica.

Ritengo che tutto ciò abbia un fondamento proprio in una sorta di variante del libero esame protestante e che la sua radice vada cercata in quei paesi che, non a caso, hanno ricevuto una forte impronta dal protestantesimo, come la Germania e gli Stati Uniti. La Germania ha fornito premesse filosofiche che, mal digerite in Francia, hanno poi fatto “ammalare” molta parte del tradizionalismo cattolico americano, all’interno del quale a volte troviamo, anche in coloro che ancora vogliono rimanere in comunione con Roma, una virulenza di certo eccessiva contro la persona del Papa. Questi settori non comprendono che facendo così, ridicolizzando la figura del Pontefice, confondono la gente semplice che non distingue bene fra Papa e Papato, contribuendo in tal modo alla delegittimazione dell’istituzione su cui si fonda la Chiesa cattolica e favorendo la diaspora.

Per carità, il Papa lo si può anche criticare, ma sempre e comunque con la considerazione dovuta al ruolo. Alcuni lo capiscono e i loro contributi sono certamente apprezzabili. Altri invece cadono nel vilipendio gratuito, atteggiamento che se è comprensibile da parte di accesi anticlericali lo è molto meno da parte di devoti cattolici che pensano di incarnare la versione più autentica della tradizione.

Tutto ciò lo dico non per spirito polemico ma per proteggere i tradizionalismi buoni e le loro sacrosante rivendicazioni.

Un tradizionalismo buono è per me quello di Plinio Corrêa de Oliveira, con il suo fondamentale Rivoluzione e Controrivoluzione. Altrove vedo invece una sindrome da cow boys e indiani. Si vive nel fortino assediato perché l’essere sotto assedio fornisce una ragione per sentirsi vivi. E se l’assedio venisse tolto sarebbe paradossalmente la fine.

Plinio Corrêa de Oliveira, nel libro citato, diceva: “L’azione profonda dell’Umanesimo e del Rinascimento fra i cattolici non cessò di estendersi, in un crescente concatenamento di conseguenze, in tutta la Francia. Favorita dall’indebolimento della pietà dei fedeli – prodotto dal giansenismo e dagli altri fermenti che il protestantesimo del secolo XVI aveva disgraziatamente lasciato nel Regno Cristianissimo – tale azione produsse nel secolo XVIII una dissoluzione quasi generale dei costumi, un modo frivolo e fatuo di considerare le cose, una deificazione della vita terrena, che preparò il campo alla vittoria graduale della irreligione”. Ecco, un modo frivolo e fatuo di trattare le cose lo vediamo in alcune correnti tradizionaliste che non portano ad altro che a una disgregazione sempre più sfiancante.

Aldo Maria Valli:
Post Correlati