Ratzinger colpito al cuore. Sulle posizioni di Enrico Maria Radaelli
di Fabio Battiston
Premessa n. 1 – Non conoscevo il professor Enrico Maria Radaelli prima di leggere, grazie a Duc in altum, le sue posizioni in merito alle tematiche/problematiche che da decenni affliggono il mondo cattolico. Non avevo e non ho, quindi, alcuna particolare prevenzione nei confronti di questo certamente eminente studioso ed intellettuale.
Premessa n. 2 – Chi scrive non è, a nessun livello, un esperto di questioni teologico-magisteriali né, tantomeno, un filosofo. Cerco soltanto – da credente imperfetto e peccatore talvolta sublime – di districarmi, con quel po’ di intelletto che Dio mi ha donato, in uno scenario sovente labirintico per trovare risposte alle speranze, angosce e confusioni che accompagnano il mio cammino di cattolico, apostolico, romano.
Ciò premesso, intendo esprimere il grande disagio – meglio sarebbe definirlo dolorosa indignazione – per quanto affermato dal professor Radaelli nell’intervista realizzata da Aldo Maria Valli e pubblicata l’8 gennaio su Duc in altum. Dico subito che non voglio – e come potrei – entrare nel dibattito, contrastando le tesi del teologo-filosofo milanese sul piano della loro autorevolezza/conformità ai dettami teologi, canonici e giuridici formalizzati da un magistero plurisecolare. Avevo letto Introduzione al cristianesimo nel 2020 e l’ho nuovamente ripreso qualche mese fa durante la redazione di un contributo sul libro del professor Odifreddi In cammino alla ricerca della Verità: lettere e colloqui con Benedetto XVI, che Valli ebbe la bontà di pubblicare su Duc in altum il 23 ottobre scorso. Ebbene, in nessuna occasione ciò che appresi nel libro del teologo tedesco – lo dico da cattolico tradizionale – suscitò in me quelle reazioni che invece, da dieci anni a questa parte, connotano qualsiasi atto, documento, dichiarazione e comportamento dell’attuale pontefice e della sua corte. Come dicevo, non è però sul terreno intellettuale che mi voglio porre bensì su quello di una realtà percepita da umile osservatore. Sono solo un semplice concorrente alla grande corsa per vincere il “Premio Salvezza”; si partecipa e si gareggia come si può. D’altra parte, come dichiarato dallo stesso Radaelli, reazioni teologicamente motivate non sembrano essere pervenute nemmeno da ben più autorevoli interlocutori del sottoscritto, come ad esempio cardinali e vescovi cui il filosofo ha presentato le sue tesi (sarebbe interessante conoscere il motivo di questo silenzio).
La mia reazione alle posizioni dello studioso nasce dall’aver constatato il livello quantitativo e qualitativo – quasi incredibile – degli aggettivi da lui utilizzati per definire dottrina, teologia e insegnamento magisteriale di Joseph Ratzinger. Mi permetto di dare a chi legge un breve sunto di queste affermazioni (mie le sottolineature):
- … una dottrina che più anticattolica e più nascosta non potrebbe essere: a questa dottrina va dato un nome, e il suo nome è “Ratzingerismo”, e il suo autore è un autentico eresiarca.
- Perché un eresiarca? Perché Joseph Ratzinger è l’autore studiato e ben avvertito di «una dottrina che pare tanto e a tutti una santa dottrina cattolica, ossia buona, intelligente e pacificante, ma che tutto ciò è ancor meno di quanto lo possano essere luteranesimo e arianesimo messi insieme».
- … l’ereticale dottrina insegnata da Joseph Ratzinger.
- … sugli insegnamenti impartiti da monsignor Ratzinger in quel di Tubinga, però quegli insegnamenti sono ancora tutti lì, da ben sessant’anni, a seminare molte problematiche deviazioni dottrinali, cioè gravi eresie…
- … delle diciotto gravi ereticalità che hanno dato luogo al “Ratzingerismo” ciò che mi ha messo in difficoltà era la necessità di mettere bene in risalto, per ciascuna di esse, la caratteristica che meglio la definiva. Ecco qualche esempio: … quale la più assurda? quale invece la più modernista? e la più tragica? e la più atea? quale la più antitrinitaria? quale la più grave? E la più devastante? e per finire, quale la più ripugnante?
- … la dottrina del “Ratzingerismo”, una bomba: una bomba silenziosa, ma una bomba, e atomica anche, perché capace di annientare tutta la Chiesa.
- … l’abominevole Rinuncia al Pontificato.
Mamma mia! (non voglio invocare il nome di Dio invano). Credo che nemmeno sant’Agostino, nella sua migliore performance apologetica, sarebbe in grado di difendere da queste accuse il vero e proprio “mostro” che emerge dall’analisi radaelliana.
Di fronte a questa inarrestabile raffica di accuse, talvolta sconfinanti nelle più ingiustificabili contumelie, mi permetto di far notare come esse siano rivolte a colui che:
- Per ben 33 anni – dal 1981 al 2005 come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e dal 2005 al 2013 come pontefice – ha ininterrottamente subito, da parte di tutto il mondo ateo, laico, secolare e relativista, una serie di accuse, attacchi e contumelie a motivo dei suoi insegnamenti e posizioni dottrinali e teologiche. Quello stesso mondo che dal marzo del 2013 applaude freneticamente ed esalta ogni esternazione neopagana, ambientalista, mondialista e demolitrice della tradizione cattolica del pontefice argentino.
- È stato per decenni dipinto dalla informazione/comunicazione massmediale – italiana e internazionale – con gli epiteti più dissacranti, perfidi e ironici (Papanazi, Ratzweiler, Panzer-Kardinal, ecc.) sempre a motivo delle sue prese di posizione coraggiosamente “fuori” da ogni pensiero unico dominante in materia di morale, famiglia, etica e, soprattutto, di valori non negoziabili.
- Ha ridato dignità, con il motu proprio Summorum pontificum, al Vetus Ordo, consentendo a milioni di fedeli di “ritornare finalmente a casa” riscoprendo, nel suo insieme, la grandezza della plurisecolare liturgia tradizionale cattolica (non solo la Messa in latino). Quella liturgia che il suo successore sta letteralmente facendo a pezzi.
- È stato il primo Papa di questa cosiddetta modernità a cui è stato impedito di parlare in un consesso accademico, sempre a motivo del suo magistero e della sua pastorale mai disponibili a scendere a qualsivoglia compromesso col mondo secolare.
- Già alla fine degli anni Sessanta aveva ben compreso la tragedia che, in modo decisivo, il Concilio Vaticano II stava preparando per l’intera cattolicità. Quel concilio che lui stesso, con onesta e cristiana speranza, aveva contribuito a portare avanti ma che già prima della sua conclusione stava manifestando il suo vero obiettivo. Ratzinger aveva capito, troppo tardi, che per i nemici della fede l’unica cosa essenziale era che quel Concilio fosse avviato e completato, indipendentemente dal contenuto delle sue Costituzioni dogmatiche e pastorali. Quel “contenitore”, sapientemente utilizzato dal demone della comunicazione/informazione massmediale, sarebbe poi stato lo strumento necessario e ideale per scatenare la tempesta perfetta nella Chiesa e nell’intero mondo cattolico. Invano Ratzinger, nei decenni successivi, si fece paladino di quella “ermeneutica della continuità” con la quale cercò disperatamente di ricondurre le risultanze conciliari nel solco di un concetto per il quale nella storia della Chiesa c’è crescita e progresso ma nessuna rottura. Si tratta della medesima, splendida visione che guidò l’elaborazione del Summorum Pontificum: nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso ma nessuna rottura. A dimostrazione di come questa sua consapevolezza lo portò ad analisi incredibilmente anticipatrici, voglio qui citare un ancor giovane Joseph Ratzinger che nel 1969 – durante alcune lezioni radiofoniche – profetizzò dettagliatamente la situazione in cui si sarebbe venuta a trovare la Chiesa. Forse non immaginava che il futuro da lui descritto fosse così prossimo a manifestarsi. Oggi, in ogni caso, quelle sue parole suonano in qualche modo “agghiaccianti”, tanta è l’incredibile aderenza dello scenario presentato, con ciò che sta ormai maturando nella realtà ecclesiale odierna.
In quel 1969 la Chiesa iniziava a misurarsi con un sempre più accentuato fenomeno di “smottamento” progressivo nella tradizione, nella dottrina, nei valori e – non ultima – nella liturgia.
Allora come oggi, quella situazione era amplificata da un combinato disposto che vedeva uniti:
- Il mondo secolare, con la “nuova società” emergente dai variegati movimenti del 1968.
- Il mondo cattolico, con i gruppi, le associazioni, i movimenti laici e parte del clero, tesi “all’appropriazione indebita” e alla strumentalizzazione non solo dei dettami scaturiti dal Concilio Vaticano II ma anche dagli insegnamenti che venivano dalle encicliche inerenti la Dottrina sociale della Chiesa. L’obiettivo era poter arrivare a quella forma tanto agognata di cristianesimo sociale molto più simile a un aggregato socio-politico-sindacale che al Corpo Mistico di Gesù Cristo.
Ecco, questo era il clima. Ma ascoltiamo il futuro Papa Benedetto XVI (anche in questo caso le sottolineature, in tutta umiltà, sono mie). Anzitutto Ratzinger ammonisce la Chiesa dall’essere “minata dalla tentazione di ridurre i preti ad assistenti sociali e la propria opera a mera presenza politica”.
Poi, con lucidissima premonizione:
“Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. Diverrà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi. Non sarà più in grado di abitare gli edifici che ha costruito in tempi di prosperità. Con il diminuire dei suoi fedeli, perderà anche gran parte dei privilegi sociali. Ripartirà da piccoli gruppi, da movimenti e da una minoranza che rimetterà la fede al centro dell’esperienza. Sarà una Chiesa più spirituale, che non si arrogherà un mandato politico flirtando ora con la Sinistra e ora con la Destra. Sarà povera e diventerà la Chiesa degli indigenti”.
Incredibile, ma vero!
Non siamo ancora a questo punto ma a quello che, fatalmente, lo precede. Infatti mai come oggi questa Chiesa (con le parrocchie semivuote, i seminari deserti, i valori fondanti non più difesi e la grande voglia di “piacere agli altri”) ha un seguito così vasto e plaudente nel cosiddetto mondo secolare e relativista. Non passa giorno, infatti, che autorevoli rappresentanti della “mondanità laica” nei più disparati settori delle attività umane (Scienza, Arte, Kultura, Politica, Tecnologia, Filosofia, Sociologia, Economia & Finanza, Comunicazione, Spettacolo, ecc.) non tessano le loro lodi per la figura di Jorge Mario Bergoglio che – secondo il loro parere – sta facendo uscire la Chiesa cattolica dal bieco conservatorismo e tradizionalismo plurisecolare di una dottrina e di una pastorale non più in grado di dare risposte alle grandi domande, istanze e problemi della società moderna.
Ecce homo! (consentitemi l’uso di quest’esclamazione pilatesca). In queste righe ho voluto semplicemente ricordare cosa è stato (tra il tantissimo altro che sarebbe giusto e doveroso riportare) colui che, nell’analisi di Radaelli, ha meritato una piramidale sequenza di attacchi che mi limito a definire quantomeno immeritati. Questo significa che la figura, l’opera e il pensiero di Joseph Ratzinger siano inattaccabili? No di certo! Chi scrive non appartiene alla schiera dei “Santo subito”, ci mancherebbe altro. E giusto che egli venga studiato, analizzato e, perché no, anche criticato come uomo e come ministro di Dio. Tuttavia, mai come in questo caso il tempo sarà strumento indispensabile per una saggia ed accorta rivisitazione di tutte le vicende che hanno contraddistinto la vita di questo, lasciatemelo dire, gigante del pensiero forte (anche se Radaelli non la pensa così). Tra queste vicende c’è sicuramente quella della sua rinuncia. Vi prego, aspettiamo a parlare di “abominevole atto”; il livello, la statura intellettuale, culturale, morale e teologica del personaggio non lo meritano. Sono convinto che la storia di quest’atto così particolare e sofferto debba ancora essere scritta.
Vorrei ora offrire un commento/analisi su un particolare aspetto trattato nell’Introduzione al cristianesimo e che Radaelli denuncia con particolare veemenza: quello del dubbio, o meglio, quello dell’eterna contrapposizione tra dubbio e fede che si risolve in una certamente negativa situazione: quella dell’incertezza. Leggendo le pagine del libro di Ratzinger oggetto della critica di Radaelli, non tardai a riconoscere la mia realtà di cattolico in un’efficace semplificazione fatta dal teologo tedesco: quante volte un credente dice a se stesso: “Ma sarà poi tutto vero?”. Il teologo poi, per un non-credente, declina l’interrogativo in termini di: “E se fosse tutto vero?”
Quante volte diciamo, agli altri e a noi stessi, che ciò che viviamo come credenti è un cammino di fede? E, come ogni cammino, è costellato di difficoltà, di imprevisti, talvolta di deviazioni; qualche volta è una strada che s’interrompe per poi riprendere più sicura di prima. L’unica cosa che non cambia è il punto d’arrivo, il traguardo. È l’obiettivo che ci siamo dati per Grazia di Dio e su quello non c’è incertezza. Questo è ciò che conta! L’interpretazione che Radaelli dà alle parole di Ratzinger è, lo dico col massimo rispetto, forzata e fuorviante: “Il luogo dove l’uomo può vivere la propria fede è l’incertezza” sancisce un non-obiettivo, una incapacità di vivere la propria esistenza ricercando costantemente quella “Via, Verità e Vita” che Gesù Cristo ci ha insegnato di perseguire. Quando Ratzinger parla “dell’interminabile rivalità tra dubbio e fede, tra tentazione e certezza” che caratterizzano l’esistenza umana esprime, io credo, quel concetto di antinomia che è così ben definito nel pensiero di Pavel Aleksandrovič Florenskij. Per il grande presbitero, teologo e filosofo ortodosso essa rispecchia la realtà umana, sempre sospesa tra visibile ed invisibile, tra terra e cielo, tra bene e male. L’uomo deve essere capace di governare questo precario equilibrio avendo, comunque e sempre, la prospettiva ultima del suo superamento verso il bene. Occorre combattere per mantenersi in una posizione che non è equidistanza (e quindi incertezza) ma capacità di non farsi fagocitare dal male pur essendo costretti a misurarsi quotidianamente col resto dell’umanità. Insomma, è sempre l’agostiniana lotta tra “Città di Dio e Città degli uomini” che si ripropone. Per questo conflitto il Signore fornisce all’uomo tutti gli strumenti necessari. Per Florenskij essi sono rappresentati dalla preghiera e dall’icona. Joseph Ratzinger, con la sua vita ed il suo esempio, ce ne ha indicati molti altri.
Chiudo questo mio forse troppo lungo contributo offrendo al pofessor Radaelli questa considerazione:
Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi: Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti (Lc 6, 26).
Ebbene, credo proprio che Joseph Ratzinger, Benedetto XVI, nel corso della sua vita non abbia mai corso questo rischio. Qualcun altro, di nostra conoscenza, forse sì.