a cura di don Samuele Cecotti
L’ultimo giorno dell’anno civile – giorno in cui la Chiesa celebra san Silvestro, il Papa di Costantino e del Concilio di Nicea – papa Benedetto XVI concludeva il suo pellegrinaggio terreno.
Con la morte di Benedetto XVI, non solo ci lascia un fine teologo e un grande intellettuale europeo, ma si chiude un’epoca, quella del Concilio Vaticano II (e del travagliato post-Concilio) e forse si chiude anche l’età della Chiesa come anima di una civiltà. Con san Silvestro I la Chiesa divenne l’anima dell’Impero Romano dalla Britannia all’Egitto, dalla penisola iberica alla Siria, dall’Atlantico al Mar Nero, oggi la Chiesa guidata da Jorge Mario Bergoglio ha completamente rinunciato all’idea di plasmare, informare e guidare una civiltà. L’idea stessa di societas christiana o di Civiltà cristiana è estranea alla deriva teologico-ideologica e pastorale incarnata dal pontificato di Francesco che pare anzi proporre il paradigma inverso con il mondo, sociologicamente inteso, elevato a luogo teologico a cui conformare Chiesa, dottrina e predicazione.
Joseph Ratzinger, invece, come teologo e cardinale prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, poi come Romano Pontefice, ebbe sempre a cuore l’identità cristiana dell’Europa e della Magna Europa, non si arrese mai all’idea che la Civiltà cristiana fosse da archiviare come cosa superata, sempre intese ribadire l’inseparabilità di fede e ragione, di fede e cultura, dunque il necessario farsi civiltà del cristianesimo.
Molto caro al pensatore Ratzinger fu il provvidenziale incontro tra la Divina Rivelazione e il logos greco (e il ius romano) ovvero tra la Parola di Dio e la speculazione razionale classica capace di raggiungere le vette della metafisica così come il rigore della dialettica e della logica analitica, la legge morale naturale e una verace antropologia-psicologia. Ratzinger si oppose con forza al processo di de-ellenizzazione del Cristianesimo in atto da più di mezzo secolo nella Chiesa, ribadì anzi la provvidenzialità dell’incontro tra classicità greco-romana e Rivelazione biblica, incontro da cui nacque la Civiltà cristiana.
Sul piano morale e politico Ratzinger-Benedetto XVI denunciò il male del nichilismo che corrode l’Occidente moderno e post-moderno, indicò nella dittatura del relativismo la forma di un nuovo subdolo totalitarismo, insegnò con forza la non negoziabilità (non solo sul piano morale personale ma anche su quello pubblico giuridico e politico) di principi naturali quali la difesa della vita umana dal concepimento alla morte naturale, il riconoscimento del matrimonio come unione monogamica e indissolubile di un uomo e una donna aperta alla vita, la libertà educativa dei genitori che hanno, da Dio, loro (e non lo Stato) il compito di educare la prole. Rigoroso e forte anche il rifiuto che Ratzinger oppose all’ideologia gender e alla pretesa di legittimare moralmente e riconoscere giuridicamente le unioni omosessuali.
In questa generosa e grandiosa opera, in questo intellettualmente possente tentativo di arrestare il crollo della Civiltà cristiana, di puntellarne le mura e di iniziarne la ricostruzione, Ratzinger cercò sempre il dialogo con la cultura europea e nord-americana più sensibile anche se non-cattolica. Ratzinger cercò di costruire una proficua interlocuzione con il mondo laico e non-cattolico sulla base di un comune amore per la verità, la giustizia e la Civiltà occidentale. In questo quadro si inserisce l’incontro, il confronto, il dialogo e l’amicizia con Marcello Pera, illustre filosofo e politico liberale italiano.
Al senatore Marcello Pera, ringraziandolo per la generosa disponibilità, rivolgiamo così alcune domande per meglio capire cosa Ratzinger abbia rappresentato rispetto alla cultura europea e occidentale, dunque quale sia il vuoto che la morte di Benedetto XVI lascia nella Chiesa e in Occidente.
Presidente Pera, in Italia pochi intellettuali laici possono dire di aver conosciuto e apprezzato Benedetto XVI come lei. Come nacque il vostro rapporto e cosa la colpì del Ratzinger pensiero?
L’incontro nacque proprio da ciò che mi aveva colpito in lui. Coltivavo studi epistemologici (era la mia disciplina accademica) e avevo sempre avversato le idee nelle quali, dopo una lunga parabola cominciata col neopositivismo logico, era infine precipitata la filosofia della scienza dopo Popper. Ad esempio, la tesi che la scelta dei grandi paradigmi scientifici non dipende in modo decisivo da prove specifiche ma è frutto di un processo di “conversione”, che la verità delle grandi idee scientifiche, ad esempio quelle di Galileo confrontate con quelle di Tolomeo, è interna a ciascuna di esse perché dipende da criteri contestuali, che i paradigmi sono perciò incommensurabili, perché due scienziati entro due paradigmi diversi lavorano in due “mondi diversi”, eccetera. Insomma, mi era familiare il problema del relativismo. Un giorno dell’agosto 2004, lessi il libro Fede, verità, tolleranza di Joseph Ratzinger, pubblicato da Cantagalli, e feci una scoperta che per me, evidentemente ignorante di quel genere di studi, fu scioccante: che il relativismo era una corrente di pensiero diffusa anche nella teologia cristiana. L’autorevolezza di Ratzinger, di cui avevo letto come tanti la sua Introduzione al cristianesimo, non mi fece dubitare che avesse ragione. Ne fui stupito e turbato: come era possibile? Che cosa era successo, nella religione del Verbo rivelato e incarnato, perché la verità non fosse più assoluta? Al rientro dalle vacanze, feci altre letture e chiesi visita a Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Dopo aver incontrato in un piccolo salottino un giovane biondo che allora era il suo segretario, entrai nel suo studio, che ricordo essere meno della metà del mio in Senato. Cominciammo a parlare senza tanti preamboli o presentazioni, di filosofia, teologia, cristianesimo. Ricordo gli argomenti, ma soprattutto i toni dell’interlocutore, la sua figura, il suo garbo gentile e in particolare il suo sguardo mi impressionarono. In vita mia, avevo avuto rapporti di familiarità con figure come Popper, Kuhn, Feyerabend, ma benché ne avvertissi l’autorevolezza, nessuno di loro mi aveva mai impressionato allo stesso modo. Non ebbi dubbi: Joseph Ratzinger era un grande. Non solo perché ne sentivo la vastità e profondità della cultura, ma per un tratto assai più prezioso: un uomo che sa stare al pari degli altri, che discute e interroga, senza toni di cattedra. Gli occhi non tradivano. Il sorriso non mentiva.
Da liberale laico, anzi da “gran liberale […] certamente il più illustre politico liberal-conservatore oggi in Italia” per usare le parole che l’arcivescovo Crepaldi le riservò a Trieste, cosa trovò in Ratzinger di stimolante, di coinvolgente e di convincente? Ci fu una iniziale difficoltà a comprendere e integrare nel suo sistema di pensiero il pensare teologico di Ratzinger oppure ci fu subito una convergenza di idee?
Nessuna difficoltà di comprensione, ma immediata consonanza di idee. Mi era ben chiaro che, se il relativismo fa male alla scienza, perché la riduce solo a una “cultura”, una “tradizione”, una “narrazione”, il relativismo teologico e religioso ha conseguenze perniciose sul cristianesimo. Se la verità è relativa, Cristo redentore dell’umanità è privo di senso. Non solo. Non era passato molto tempo dall’11 settembre 2001: se il cristianesimo fosse solo una cultura fra tante, la civiltà cristiana non avrebbe particolari fondamenti e meriti. E allora avevano ragione i terroristi islamici a considerarci imperialisti e a combatterci in quanto “giudei e cristiani”. Si ricordi e si rifletta: venivamo considerati colpevoli non tanto per il nostro fare, ma per il nostro essere. Ora, puoi dirti laico quanto vuoi, puoi diventare sordo e anche stimpanato al messaggio di Cristo quanto ti pare, ma questo era un dato inaccettabile: il cristianesimo era un nemico! Solo che il cristianesimo non è una fede e basta, è una fede che ha tenuto a battesimo una civiltà: quella della dignità degli uomini, della libertà, della responsabilità, dell’uguaglianza. Abbattete il cristianesimo e avrete distrutto questa civiltà. Relegate la fede cristiana al ruolo di una narrazione e avrete perso il nostro fondamento. E anche la nostra identità: perché se gli altri ti colpiscono perché sei giudeo e cristiano e tu non dai alcun peso a questo tuo essere, allora gli altri sono qualcuno e tu non sei nessuno, non avendo niente da difendere. Questa è la lezione, del tutto personale, che io trassi dalla tragedia dell’11 settembre e che mi rafforzai durante gli incontri con Ratzinger. Lui aveva lucidità e coraggio.
Restava un problema, tuttavia. Storicamente, sono un uomo della modernità: vengo dopo lo scisma protestante, la nascita della scienza sperimentale, il cogito di Cartesio, l’Io di Kant, eccetera. E modernità vuol dire ragione. Anche se non sono disposto a considerarla “l’unica nostra regola e compasso”, come diceva Locke, non c’è dubbio che la ragione è esigente: non può ammettere qualcosa che le sia contrario. Deve comunque dire la sua. Per capirci con un esempio (è di Kant): anche se una voce interna, prepotente, mi dicesse: “Io sono il tuo Dio, seguimi!”, la ragione deve avere un modo per accertarlo, o più precisamente per accertarsi che non sia la voce di un maligno. Dunque, la mia fede deve andare d’accordo con la mia ragione. Dopotutto, se Dio mi ha fatto dono di entrambe, deve esserci un modo — nascosto, difficile, faticoso quanto si vuole —, per conciliarle. E anche qui Ratzinger è stato grande: nel suo pensiero, che ha sempre difeso la “ellenizzazione” del cristianesimo, è il logos che si rivela. La fede è vestita di ragione, e la ragione si perde se non riconosce che opera su presupposti di fede. La fede non è razionale, ciò che è razionale è il bisogno che la ragione ha della fede. Non sono mai riuscito a far credere a Ratzinger che, anche solo per questo specifico motivo — la ragione che cerca e produce la fede — Kant merita di essere riconosciuto come un cristiano moderno. È vero, era un luterano, ma un luterano autentico non è un agostiniano rigoroso? Come che sia, che tesoro di discussioni ho perduto per sempre!
Politicamente il Magistero di Benedetto XVI avrebbe potuto ispirare una rinnovata identità culturale euro-occidentale cristiana e avrebbe potuto offrirsi come pensiero di riferimento per quanti non si riconoscono nell’universo ideologico progressista, nel relativismo etico e nel globalismo apolide, ovvero per le forze conservatrici e identitarie di Europa, Stati Uniti e America latina. A suo giudizio, come risposero le forze politico-culturali conservatrici/identitarie europee e americane all’estremo appello di Benedetto XVI? Furono all’altezza della sfida? Cosa impedì, secondo lei, un risveglio politico-culturale cristiano in Italia e in Europa tale da corrispondere all’appello di Benedetto?
“Avete perduto una grande occasione”, mi disse una volta, quando ormai era emerito, e noi di centro-destra avevamo perduto il governo. Gli replicai con sincerità e anche amarezza: “è vero, ma neppure la Chiesa ci ha aiutato”. Perché di chiese cristiane cattoliche ce ne erano già due all’epoca del suo pontificato: la sua, del cristianesimo come salvezza, e quella dei più, secolarizzata, del cristianesimo come giustizia. Come nell’affresco della scuola di Atene: una col dito e lo sguardo in alto, l’altra in basso. L’una che voleva correggere il mondo, l’altra che andava incontro e assorbiva il mondo, col pretesto di “aggiornarsi”. Benedetto XVI ebbe il conforto di tanti che aveva chiamato a raccolta col nome di “minoranze creative”, fu appoggiato da intellettuali laici, fu sostenuto negli Stati Uniti dal presidente Bush. Ma il sostegno era timido, serpeggiava la paura, la circospezione, la prudenza. Fino a che, dopo la lezione di Ratisbona, tutto precipitò. Nessun capo di stato o di governo si alzò a difendere Benedetto XVI, a dire che non era questione di libertà di religione dell’islam, ma degli strumenti violenti che l’islam usava e non rinnegava. Ancora in questi giorni mi è capitato di leggere una signora sopracciò che dice che Ratzinger citava Manuele il Paleologo “fuori contesto”! E così per mancanza di coraggio, paura e codardia, calcolo e furbizia, le cose andarono male. Il Papa che aveva tenuti sull’attenti i partecipanti al collegio dei Bernardini a Parigi, nella Westminster Hall a Londra, al Reichstag di Berlino, che aveva condotto il laico presidente Sarkozy a dire a Roma che la Francia è cristiana, che aveva sfidato i laici sulle radici dell’Europa in una sala del Senato italiano, fu abbandonato. Fu costretto a spiegarsi, a giustificarsi, ad aggiungere note a piè di pagina. Se quella era una guerra di civiltà, allora la civiltà cristiana si ritirava. Difficile spiegare perché le cose siano andate così. Io penso che la bomba ad orologeria innescata col Vaticano II, e che Woytila e Ratzinger avevano cercato di disinnescare con la loro ermeneutica della continuità, infine sia esplosa. Si sono aperte le cataratte, al punto che oggi siamo alla Madre Terra, cioè alla rinascita del paganesimo, e al sincretismo. Sento ancora parlare di Dio, ma poco di Cristo; sento dire che la misericordia e il perdono prevalgono sul giudizio; non sento più l’espressione “peccato originale”. Stiamo tornando ai bei tempi russoviani, dell’uomo buono, angelico, incorrotto, vittima incolpevole della cultura perversa. O ai tempi di Pelagio, dell’uomo che ce la fa con le sue sole forze. Come se la Caduta fosse un mito. Con la colpevole complicità della chiesa, i secolaristi stanno vincendo.
Tutte le grandi battaglie condotte da Ratzinger-Benedetto XVI, tanto quelle ecclesiali quanto quelle culturali-politiche, paiono oggi perse. La Chiesa sembra sconvolta da un radicale processo rivoluzionario tanto l’insegnamento di Benedetto XVI è distante da quello che oggi dicono le Gerarchie. È proprio la direzione di marcia ad essere stata invertita sul piano dottrinale, liturgico, morale, socio-politico. Non minore la distanza tra i moniti di Ratzinger in campo politico-culturale e lo stato in cui versa l’Occidente odierno. Vede ancora possibile una “ri-conversione” dell’Occidente a Cristo, una nuova unità di fede e ragione, di fede e cultura, di fede e politica oppure la deriva nichilista e post-anti-cristiana dell’Occidente è umanamente inarrestabile? La parola di Benedetto XVI fu profezia o sogno?
La storia, mi scusi, è una baldracca. Va con tutti i clienti che incontra e cambia continuamente gusti. Dunque, cambierà ancora. Ma su una riconversione a Cristo dei popoli europei ho dei dubbi, almeno per le prossime generazioni. Temo che dovremo berci l’amaro calice ancora per un bel po’. Viviamo un’epoca scristianizzata e che pensa che scristianizzarsi sia un bene. Pensiamo di essere sempre più liberi e invece la mancanza del senso del limite, del proibito, del peccato, ci rende più schiavi. Siamo diventati creatori di diritti fondamentali: una bella contraddizione per chi crede in questi diritti, perché se sono fondamentali allora non possono essere creati dalle nostre leggi. Perciò i nostri laici razionalisti devono sciogliere un dilemma e prendere una posizione: o i diritti fondamentali dipendono dalle leggi positive e allora sono convenzionali e interessati, come favori elettorali, e dunque non sono diritti, oppure se sono fondamentali c’è una legge superiore alle leggi positive.
Frutto di lunghi anni di studio, nel 2022 ha dato alle stampe il volume Lo sguardo della Caduta. Agostino e la superbia del secolarismo (Morcelliana, Brescia), un intenso dialogo tra lei e il Vescovo d’Ippona in cui il liberale Marcello Pera cerca nel vecchio Agostino una risposta al male che corrode l’Occidente odierno. Ratzinger si può con verità definire un discepolo di Agostino essendo il suo pensare nella linea agostiniana-bonaventuriana. Ratzinger e Pera uniti anche da Agostino? E qual è la cura che Agostino offre all’Occidente malato?
Se si pensa ad una cura politica, nessuna. Agostino non crede nella politica, soprattutto non crede che la politica possa essere una strada per la salvezza. Non ci sono ricette politiche nel Vangelo, non ci sono in Paolo, salvo l’“ubbidite alle autorità”, non può esistere uno Stato cristiano, neanche governanti cristiani possono costruirne uno. La ragione è semplice: non si raggiunge, e neppure ci si avvicina, alla Città di Dio usando gli strumenti secolari. Lo Stato serve solo a difenderci da noi stessi. Tuo dovere è credere e convertire il tuo amore. Lo sforzo è individuale: quando diventasse collettivo, ne trarremmo vantaggio anche politico, che però mai sarebbe stabile, perché anche la migliore società terrena è affetta da vizi e caduca. Ma se in positivo mai c’è certezza di un Regno sulla terra, in negativo una certezza c’è: se trascuri lo sforzo della salvezza, se ti allontani dalla verità, se persegui idoli secolari, allora non ci sarà neppure società decente. Questo è il caso dell’Occidente. Così com’è, oggi, è perduto. Io ho tratto molta ispirazione e beneficio da Ratzinger. Certamente Ratzinger è stato molto influenzato da Agostino e Bonaventura. Confrontata al resto, la sua teologia politica è povera, ed a ragione.
Ebbe modo di parlare di questo suo interrogare Agostino e delle risposte che Agostino le dava con Benedetto XVI? Le risposte dell’Agostino di Pera coincidono con quelle dell’agostiniano Ratzinger?
Feci in tempo a conversare con lui di Agostino e Kant e del mio progetto di critica della ragion secolare. Lo ringrazio ancora per avermi incoraggiato. Mi dispiace di essere arrivato tardi per proseguire la discussione. Perciò mi confronto con la sua memoria e i suoi scritti.
In Lo sguardo della Caduta vi è, a mio avviso, molto di Ratzinger, anche ciò che si potrebbe individuare come debolezza/contraddizione rispetto al rapporto con la modernità politica, al giudizio sul liberalismo. Infatti, se Agostino è individuato come maestro e terapeuta da cui ricavare la ricetta per risanare l’Occidente malato e la ricetta di Agostino è decisamente “non liberale” anzi in punti fondamentali si potrebbe definire persino illiberale (nel senso di antitetica ai postulati dell’ideologia liberale), come si può sperare di tenere assieme la liberal-democrazia che costituisce l’identità politica dell’Occidente con la cura agostiniana “non liberale”? Curare il male dell’Occidente con la medicina di Agostino non significherebbe proprio negare il sistema liberal-democratico e, in generale, l’idea moderna di individuo, di società, di Stato, di politica, di diritto, etc.? Curare l’Occidente non implicherebbe forse la necessità di liberare l’Occidente dalla prigione ideologica della modernità (dunque anche dall’ideologia liberale) per riaffidarlo alla Tradizione cristiana?
Se lei vuol fare del liberalismo un bersaglio, è necessario, per colpire nel segno, identificarlo con precisione. Che cosa si intende per liberalismo? Una dottrina politica a salvaguardia della dignità e libertà dell’uomo contro la interferenza della società e dello Stato. Il liberalismo, perciò, è contrario allo Stato assolutistico e anche paternalistico, ed è favorevole ai diritti inalienabili dell’uomo. Questi sono diritti, come la uguaglianza nel valore dell’uomo, la sua irriducibilità a solo mezzo, la sua libertà di pensiero e di devozione, che sono fondamentali nel senso che non sono creati da alcuna autorità politica, ma da essa rispettati come limite della propria azione. Come si giustificano? È nota la posizione del liberalismo classico di Locke: i diritti fondamentali si giustificano perché noi siano creati e siamo proprietà di Dio e a lui siamo sottomessi, e Dio non può aver voluto che, riguardo a “life, liberty, and property”, alcuni uomini fossero sottomessi ad altri o avessero valore inferiore a quello degli altri. Perché? Perché Dio ci ama e noi dobbiamo essere degni del suo amore. Questo liberalismo, chiaramente, discende e si iscrive in una cornice cristiana, di cui accetta il primo insegnamento: Dio è caritas, amore che si dà alle sue creature, e noi dobbiamo onorarlo. In questo liberalismo vige, palesemente, la priorità del dovere (verso Dio) sui diritti. È il tuo dovere verso Dio che fa nascere il mio diritto di essere rispettato da te. È il mio dovere di non sopprimere una creatura di Dio che fa nascere il mio diritto alla vita. Eccetera.
Ora, si cambi qualcosa in questa cornice. Si sopprima il ruolo di Dio o lo si metta da parte. Che cosa diventano più i diritti fondamentali dell’uomo? Nient’altro che richieste di individui o di gruppi concesse e tutelate dallo Stato. Potrà chiamarli ancora fondamentali, ma non sono più gli stessi: sono libertà o licenze garantite. Come tali, si moltiplicano, perché non hanno più un limite che le freni: sono desideri, poi richieste, poi rivendicazioni, infine leggi. Il regime politico che tollera e consente tutto questo si chiama ancora liberalismo, ma si tratta di un’usurpazione concettuale. È quella che è in corso in Europa e nell’Occidente. Dove scompare il cristianesimo, il liberalismo si trasforma in anarchia etica, la vera “dittatura del relativismo”, come la chiamavano papa Wojtila e papa Ratzinger. E viceversa. Non è la prova migliore che liberalismo e cristianesimo sono concettualmente congeneri? E che un liberale autentico dovrebbe difendere il cristianesimo? Quando Agostino dice che lo Stato ha bisogno di un vincolo sociale religioso, non è come se dicesse ai liberali di oggi: almeno tornate alle vostre origini?
La Chiesa di Leone XII, di Gregorio XVI, del beato Pio IX, di Leone XIII, di san Pio X o di Pio XI non si faceva alcun problema a condannare la modernità ideologica e la liberal-democrazia, con il Vaticano II cambia la prospettiva e il giudizio si fa decisamente ambiguo. Di questa “ambiguità di giudizio” riguardo la modernità politica (dunque anche riguardo la liberal-democrazia) vive tutto il post-Concilio, pensiamo solamente al giudizio della Chiesa sulla democrazia o sui diritti umani. Non ne è esente neppure Ratzinger. Lo chiedo a lei, sapendola capace di libertà di giudizio e di vera onestà intellettuale, con schiettezza un po’ provocatoria: non avranno forse avuto ragione i Papi preconciliari? Non sarà proprio la liberal-democrazia il problema, la malattia di cui soffre l’Occidente?
Tra i miei libri ce n’è uno a cui tengo molto: Diritti umani e cristianesimo. Ovviamente, nessuno, soprattutto fra gli uomini di Chiesa, intende leggerlo. Non mi lamento. Ma se uno lo scorre, lì vedrà che rendo omaggio a quei Papi per essere stati profetici. Non sono più di moda, capisco. Ma come venire a capo del loro argomento, che se si definiscono i diritti dell’uomo come proprietà dell’uomo allora questi diventano diritti positivi degli Stati, che danno e negano? Questo, secondo me, oggi accade anche per responsabilità della Chiesa. Quando la Gaudium et Spes dichiara di “proclamare i diritti umani in nome del Vangelo” prende anch’essa una scorciatoia pericolosa: dimentica che bisogna prima passare dai doveri dell’uomo verso Dio. Solo questi doveri fanno la cernita dei diritti ammissibili. Altrimenti, non c’è modo di fermare aborto, eutanasia, matrimoni omosessuali, eccetera. Mi piace in proposito ricordare Mazzini: “certo, esistono i diritti; ma dove i diritti di un individuo vengono a contrasto con quelli di un altro, come sperare di conciliarli, di metterli in armonia, senza ricorrere a qualche cosa superiore a tutti i diritti?”. Credo che questa priorità dei doveri sui diritti Ratzinger l’avesse ben chiara, ma non sempre lo ha scritto chiaramente.
Benedetto XVI tentò l’impresa eroica di salvare l’Occidente da se stesso, tentò di impedirne il suicidio. Tentò anche di rianimare l’Europa riportandola alla propria identità cristiana … e tutto questo fece non dentro un contesto ecclesiale solido e sicuro, bensì avendo la roccia insidiata dalle sabbie mobili postconciliari. Tentò di strappare la Chiesa al processo autodemolitorio. Fu battaglia ad intra e ad extra. Cosa resta di tutto ciò? Quale futuro, secondo lei, per l’eredità ideale di Joseph Ratzinger?
Mi attendo che Ratzinger diventi santo per aver compiuto un miracolo … collettivo e se lo sarà, sarà solo per questo: aver frenato e invertito l’autodemolizione dell’Occidente cristiano. Era il suo impegno, è sempre stata la sua missione. Che Iddio, quando e come vorrà, gli garantisca il successo.
Grazie, presidente!
Fonte: vanthuanobservatory.com