di Aurelio Porfiri
Seguo con grande interesse i vari dibattiti che si stanno accendendo intorno alla figura di Joseph Ratzinger, sulla sua opera come teologo, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, cardinale e papa. Certamente molto se ne è parlato, molto se ne parla e parlerà. Si va da chi lo chiama eresiarca a chi non ha pazienza e lo invoca “santo subito”. Certo c’è una distanza abissale tra queste due concezioni.
Vorrei offrire un’altra lettura. più equidistante. Credo fermamente che Joseph Ratzinger sia il simbolo della Chiesa del ventesimo secolo, che la incarni in modo esemplare. Lui è stato progressista e conservatore, audace e prudente in teologia, ecumenico ma non gli piaceva Assisi, per la nuova Messa ma anche per l’antica, papa e non papa. Come direbbe Walt Whitman, in lui abitavano moltitudini, egli è stato la malattia e la cura, il problema e la soluzione, la domanda è la risposta.
Se dovessimo trovare qualcuno che simboleggi il cammino tormentato della Chiesa negli ultimi 70/80 anni, credo che nessuno potrebbe farlo meglio di lui.
Il problema vero è come inquadrare Joseph Ratzinger, come comprendere una traiettoria sul filo della speculazione intellettuale di cui certo è stato un maestro.
Non lo cosifichiamo, cerchiamo di comprenderlo più a fondo. Perché forse, comprendendo lui, comprenderemo di più la Chiesa e quindi anche noi stessi.