di Aurelio Porfiri
Caro Aldo Maria,
ho pensato di scriverti dopo aver notato una cosa. Visitando case di religiosi, ho visto che in molte di esse all’ingresso non c’è un’immaginetta della Madonna, un ritratto del fondatore o una preghiera, bensì norme su come lavarsi le mani, misurare la temperatura e via dicendo.
Tu sai che io mi sono sempre tenuto alla larga da discorsi d’argomento sanitario, ma non posso non notare che, accanto a opportuni avvertimenti di igiene, in quelle case dovrebbero esserci quelli spirituali, i quali anzi dovrebbero prevalere, se davvero crediamo che lo spirito è la nostra parte più nobile.
Invece in una Chiesa che predica la dottrina sociale della Chiesa senza poi tanto applicarla al suo interno, siamo costretti ad adeguarci alla nuova dottrina (a)sociale, quella che ci isola sempre più e che ci rende sempre più emarginati.
Ci hanno ormai inculcato che il cibo fa male, il sesso fa male, il bere fa male, il correre fa male, il non correre fa male, abbracciare è un po’ morire e via dicendo. Mi sembra che siamo oramai preda di dieci nuovi comandamenti, che recitano:
Non avrai altro bio al di fuori di me.
Non nominare il nome bio invano.
Ricordati di sanificare le feste.
Odora il padre e la madre.
Non ucciderti.
Non commettere atti.
Non mangiare.
Non dire vera testimonianza.
Non desiderare la roba in generale.
Non desiderare la donna d’altri e neanche la tua.
Ti sembrerà esagerato, ma è proprio così che siamo condannati a vivere, non godendo la vita in pieno ma cercando di schivarla per paura che qualunque cosa ci possa essere di nocumento (mi è uscita alla Diego Fusaro). Ma una vita che si riduce a questo, che vita è? E come risponde la Chiesa a questa esaltazione della materia sullo spirito?
Purtroppo i nuovi comandamenti hanno preso lo spazio che la Chiesa oramai da troppi decenni ha lasciato vuoto. E invece, se abbiamo bisogno di curarci e di cercare di non ammalarci, abbiamo ancora più bisogno di dare un senso a questa vita, che prima o poi passa, mentre l’eternità non passa mai