di Fabio Battiston
Sto seguendo con grande interesse il dibattito in corso sul nostro blog in merito al rapporto cattolici-ortodossi. Tutto è nato, come ben ricordano i lettori di Duc in altum, nel momento in cui – con espressione a mio parere alquanto infelice – il professor Luciano Pranzetti definì “ramo secco” la realtà della Chiesa ortodossa, implicitamente estendendo tale giudizio ai suoi fedeli. Il suo riferimento era ad un mio contributo nel quale cercavo di difendere Benedetto XVI dalle accuse di eresia che un altro autorevole interlocutore del blog, Enrico Maria Radaelli, aveva documentato nel suo libro Al cuore di Ratzinger ed ulteriormente precisato nell’intervista concessa ad Aldo Maria Valli, pubblicata l’8 gennaio scorso. Nel mio scritto parlavo apertamente di un personale afflato con l’ortodossia, alimentato anche dalla scoperta di alcuni personaggi di assoluto rilievo di quel mondo quali furono, ad esempio, Pavel Aleksandrovič Florenskij e Vladimir Sergeevič Solov’ëv (spero di non aver pronunciato nulla di satanico). Il successivo, appassionato – e da me condiviso – articolo di Angelo Busico dava poi il La definitivo a un tumultuoso ed interessantissimo confronto su questo tema. Il dibattito, tra l’altro, ha fatto riemergere (e non poteva essere altrimenti) l’altra grande problematica, anch’essa più volte trattata in queste pagine: l’appartenenza – come cattolici, apostolici, romani – a questa Chiesa che sembra ogni giorno di più sfuggire alla nostra comprensione. In tale contesto, la scelta fatta da un personaggio di grande levatura intellettuale, culturale e religiosa come Alessandro Gnocchi – una decisione che rispetto profondamente e che sta suscitando in me molte riflessioni – non poteva che rendere sempre più vive talune diversità e contrapposizioni che su questi temi, non nascondiamocelo, attraversano una parte non banale del mondo cattolico. Evidentemente la lingua batte dove il dente duole.
Leggendo i diversi contributi ho particolarmente apprezzato quello di Paolo Deotto; un intervento equilibrato, comprensivo delle altrui posizioni ed estremamente efficace nella sua metafora di “una madre che, seppur corrotta, resta sempre nostra madre e non va abbandonata”. Meno condivisibili, secondo me, altri articoli che – seppur rispettabili nella loro condanna tout court dell’ortodossia – sono connotati da una certa qual virulenza che non tiene conto di quanto l’odierno sconquasso della cattolicità renda più che comprensibile il “guardarsi attorno” di molti fedeli.
Chi scrive vive da diversi anni l’estrema sofferenza nel vedere la propria Chiesa temporale oggetto di una serie di mutazioni sempre più rapide e profonde. Questo disagio mi ha posto, e tuttora mi sollecita, dubbi, domande e riflessioni su aspetti quali, appunto, l’appartenenza e l’obbedienza ad una ecclesia “terrena” che si va sempre più distaccando da quella spirituale. In tale contesto la Chiesa d’Oriente, a mio parere l’unica vera “Chiesa sorella” di noi cattolici, può rappresentare (purtroppo o per fortuna, a seconda dei punti di vista) un’indubitabile calamita. È un’attrazione forte, ulteriormente accentuata dal massacro liturgico operato negli ultimi decenni dalla Chiesa di Roma. Per quanto mi riguarda, come in altre occasioni ho scritto su Duc in altum, non sono ancora giunto a conclusioni definitive. Talvolta trovo delle risposte confortanti come, ad esempio, quella offerta da Deotto o da alcune profonde riflessioni di don Nicola Bux; poi però gli ulteriori e continui sommovimenti cui ci sottopone l’attuale ministero petrino creano nuovi dubbi e incertezze. Non so ancora quale sarà la mia risposta definitiva (se mai arriverà) al terremoto nel quale siamo costantemente immersi. Una cosa però vorrei dirla a tutti coloro per i quali la parola scisma ha soltanto un sapore satanico. Che accadrà se un giorno (lontano?) scopriremo improvvisamente di essere ridotti a un’enclave e ci accorgeremo che la nostra Chiesa – che credevamo una, santa, cattolica ed apostolica – a forza di mutazioni e modernismi sarà ormai divenuta un’altra cosa? A quel punto non potremo non domandarci: chi ha diviso chi?
Nel 1929 Gilbert Keith Chesterton scrisse Perché sono cattolico. Il compianto cardinale Biffi, nella presentazione dell’edizione curata da Gribaudi nel 2007, così definì l’autore: “Chesterton è stato un dono fatto alla cattolicità (e all’umanità intera) direttamente da Dio”. Spero con tutto il cuore che il Signore ci mandi altre persone come l’inventore di Padre Brown in grado di illuminarci in questa temperie.