Benedetto XVI e la musica / Il suo lascito. E ciò che non riuscì a fare

di Aurelio Porfiri

La morte di Benedetto XVI ha portato molti a riflettere sull’eredità di Joseph Ratzinger, a mio avviso di gran lunga più complessa di quello che si vuol far credere. Certamente nei decenni a venire numerosi studi faranno il punto su vita e opere di questo teologo e papa che ha segnato la Chiesa degli ultimi settant’anni.

Un aspetto importante è quello del suo amore per la musica. Joseph Ratzinger amava tanto la musica, in particolare quella di Mozart. Del compositore austriaco, in un discorso in occasione di un concerto offerto al papa dalla Pontificia accademia delle scienze e in cui venne eseguito il Requiem, ebbe a dire: “Permettetemi, però, di dire ancora una volta che c’è un affetto particolare che mi lega, potrei dire da sempre, a questo sommo musicista. Ogni volta che ascolto la sua musica non posso non riandare con la memoria alla mia chiesa parrocchiale, quando, da ragazzo, nei giorni di festa, risuonava una sua Messa: nel cuore percepivo che un raggio della bellezza del Cielo mi aveva raggiunto, e questa sensazione la provo ogni volta, anche oggi, ascoltando questa grande meditazione, drammatica e serena, sulla morte. In Mozart ogni cosa è in perfetta armonia, ogni nota, ogni frase musicale è così e non potrebbe essere altrimenti; anche gli opposti sono riconciliati e la mozart’sche Heiterkeit, la “serenità mozartiana” avvolge tutto, in ogni momento. È un dono, questo, della Grazia di Dio, ma è anche il frutto della viva fede di Mozart, che – specie nella sua musica sacra – riesce a far trasparire la luminosa risposta dell’Amore divino, che dona speranza, anche quando la vita umana è lacerata dalla sofferenza e dalla morte”.

Non è un discorso di circostanza, bensì una riflessione autentica sulla musica del grande compositore.

Poi il papa proseguì: “Nell’ultima lettera scritta al padre morente, datata 4 aprile 1787, così egli scrive parlando proprio della tappa finale della vita sulla terra: ‘… da qualche anno sono entrato in tanta familiarità con quest’amica sincera e carissima dell’uomo, [la morte], che la sua immagine non solo non ha per me più nulla di terrificante, ma mi appare addirittura molto tranquillizzante e consolante! E ringrazio il mio Dio di avermi concesso la fortuna di avere l’opportunità di riconoscere in essa la chiave della nostra felicità. Non vado mai a letto senza pensare che l’indomani forse non ci sarò più. Eppure nessuno fra tutti coloro che mi conoscono potrà dire che in compagnia io sia triste o di cattivo umore. E di questa fortuna ringrazio ogni giorno il mio Creatore e l’auguro di tutto cuore ad ognuno dei miei simili’. È uno scritto che manifesta una fede profonda e semplice, che emerge anche nella grande preghiera del Requiem, e ci conduce, allo stesso tempo, ad amare intensamente le vicende della vita terrena come doni di Dio e ad elevarci al di sopra di esse, guardando serenamente alla morte come alla chiave per varcare la porta verso la felicità eterna”.

Da queste parole risulta evidente che il papa aveva meditato a lungo sulle composizioni del genio austriaco, fonte per lui di grande riflessione al pari di alcune opere teologiche e filosofiche.

Penso che questo sia l’approccio giusto all’arte, alla musica: capire che esse sono una via alla conoscenza, come sosteneva Ludwig van Beethoven. Benedetto XVI nutriva il suo spirito anche mediante la creatività nella musica e nell’arte.

In un discorso del 24 giugno 2006, dopo un concerto a lui offerto dal maestro Domenico Bartolucci, Benedetto XVI così affermava: “Un autentico aggiornamento della musica sacra non può avvenire che nel solco della grande tradizione del passato, del canto gregoriano e della polifonia sacra. Per questo motivo, nel campo musicale, come anche in quelli delle altre forme artistiche, la Comunità ecclesiale ha sempre promosso e sostenuto quanti ricercano nuove vie espressive senza rinnegare il passato, la storia dello spirito umano, che è anche storia del suo dialogo con Dio”.

Da un punto di vista autenticamente cattolico sono parole perfettamente condivisibili. Eppure quanto sono lontane da ciò che ascoltiamo nelle nostre chiese, dove la musica è spesso solo l’eco di jingles commerciali e canzoni di quarta categoria! Come non comprendere che solo la tradizione può essere la guida per un giusto progresso?

Benedetto XVI lo sapeva, eppure – lo si deve constatare con amarezza – da pontefice fece poco per trovare una soluzione. Tutti noi, musicisti di Chiesa, speravamo in qualche azione decisa contro la musica dozzinale che dobbiamo ascoltare oramai da troppi anni, ma questa azione non è mai venuta. Da Benedetto XVI belle parole, ma pochi fatti. Sensazione condivisa da molti di noi che speravano in una svolta dopo tati decenni di brutture. E se ci fu un papa in grado di realizzare la svolta questi fu proprio Benedetto, ma non lo fece. Per quale ragione?

Come hanno detto molti osservatori, egli era un uomo di grande mitezza e timidezza. Lui stesso riconobbe di non possedere il piglio del leader. Fu un professore che si ritrovò a fare il papa. Per carità, ebbe tante qualità, ma non quella della leadership.

Purtroppo, sebbene lui personalmente amasse profondamente e sinceramente la musica, l’ambiente dei nostri giorni nella Chiesa cattolica è pieno di persone in possesso di una formazione musicale scarsa o assente e non sembra ci sia la volontà di cambiare. Ratzinger provò a far capire che la questione era ed è importante, ma, come in altri casi, non fu ascoltato.

Anche nel campo della musica, come negli altri settori, la situazione della Chiesa cattolica è tale per cui ci sembra di essere di fronte a un paziente in fase terminale. Se è vero che Gesù ha promesso di essere con noi fino alla fine dei tempi, noi non abbiamo promesso di essere con Lui. Lui c’è, ma noi dove siamo?

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