di padre Mario Begio
Caro Aldo Maria,
il Papa ha parlato ancora di omosessuali (un paio di settimane fa). E io non capisco il motivo. L’ossessione per tale tema sembra decisamente da omosessuale, anche se questo non è il caso di Francesco.
Se è vero quanto ho letto sul web, il Papa ha detto una cosa che non ha molto valore: essere omosessuali non è un crimine. Se è per questo, nemmeno essere pedofili è un crimine. Soprassedendo sul fatto che i sacerdoti pedofili per lo più sono omosessuali, il crimine è compiere atti pedofili. È un crimine l’abuso di bambini anche da parte di alcune coppie di omosessuali. Ed è un peccato – grave, contro natura, che grida vendetta – compiere atti omosessuali. Il che significa che il Papa ha poi detto pure una cosa errata (“essere omosessuali è un peccato”). Ma credo che al linguaggio informale di Francesco ci siamo abituati. Anzi, meglio che ci abituiamo ancora di più, perché mi sa che dopo il Sinodo dei sinodi (o come si chiama) la situazione peggiorerà.
Ma forse non si riesce ad abituarsi, perché se il Papa dice una cosa che non ha senso – ci hai pensato? – questa cosa assume un senso enorme. Nella fattispecie, rende normale e tranquillo qualcosa che di normale e di tranquillo non ha nulla.
Io parlo di ciò che conosco e pedofili non ne conosco. Omosessuali sì, ne conosco alcuni, tutti tramite la grata del confessionale.
Ti riporto solo i tre casi più eclatanti. Sono un po’ forti.
Il primo è di una ragazza omosessuale. Scopre la propria tendenza a vent’anni, prova disagio, gente del giro Arcigay le spiega che il disagio è frutto delle discriminazioni omofobe. Allora lascia la parrocchia, i circoli di omofobi e frequenta le persone normali e tolleranti. Si trova così per dieci anni in un vortice di sole relazioni omosessuali, con atti annessi. Il disagio cresce sempre più, ma la risposta non cambia: è colpa del giudizio omofobo che ancora ti raggiunge. Dopo quindici anni la ragazza ha un impeto di originalità e si chiede: non è che sto sempre peggio proprio perché do sempre più sfogo alle mie pratiche omosessuali? Allora entra in un confessionale, si confessa di tutto, esce, resta omosessuale, evita gli atti, ritrova una certa serenità. Non tutta, perché vivere con un disorientamento sessuale non è cosa da poco.
Il secondo caso è di un adolescente. Entra in confessionale e piange. Ha iniziato ad avere rapporti omosessuali. Dice che per lui sono irresistibili, ma poi – dice sempre lui – dopo dieci secondi dall’inizio dei rapporti inizia a sentirsi uno schifo. E non sa come uscire da questo vortice. Lo assolvo e lo compiango. Chi potrà aiutarlo? Lo psicologo che gli suggerirà di accettarsi? La comunità gay che lo sfrutterà? Il mondo social che gli farà il lavaggio del cervello? Se l’omosessualità non è un crimine, forse lo è la moda omosessualista.
Il terzo è di un adulto. “Sono omosessuale, ma non mi confesso di questo, anche perché non ho rapporti. Tutta la mia vita è dedicata ai libri, passo il tempo in biblioteca”. Questo caso nemmeno so come commentarlo. Almeno ha trovato una sua serenità, ma al prezzo di isolarsi dal mondo.
Magari è questo il problema, siamo tutti un po’ più isolati, un po’ più confusi, e la risposta omosessuale diventa più simile a tante risposte divergenti che fanno capolino nella nostra società.
Ma sono false risposte, non trovi? Non saranno crimini, ma sono quantomeno depistaggi. La Chiesa dovrebbe indicare mete ben più alte e non solo agli omosessuali. Altrimenti a che ci serve la Chiesa?
E mi fermo qui, per oggi.
14.continua
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