di Rita Bettaglio
Omnis autem, qui in agóne conténdit, ab ómnibus se ábstinet: tutti quelli che lottano nell’arena si astengono da tutto, sono temperanti in tutto. Solo pochi giorni fa, a Settuagesima, la Santa Chiesa ci ha esortato così, con le parole di san Paolo ai Corinti.
Chi gareggia per una corona corruttibile, una medaglia d’oro (che, poi, non è altro che una patacca) segue una disciplina corporale e mentale ferrea.
Noi, da parte nostra, per cosa gareggiamo? Anzitutto dobbiamo scolpirci nella mente (decenni di benessere ci hanno frollato le carni e l’anima) che tutti corriamo in uno stadio. Nessuno può chiamarsi fuori dall’agone di questo mondo. Impossibile. È la realtà, la nostra dimensione ontologica, che può anche non piacerci ma è. Perché viene da fuori di noi, viene da Dio, Creatore e Signore dell’universo.
Dunque siamo in uno stadio e bisogna correre. Per quale corona scegliamo di correre? L’allenamento, la fatica, il sudore sono inevitabili. Ci accontenteremo di una medaglia di latta o sceglieremo di avere il centuplo per uno?
Il padrone della vigna dà la stessa ricompensa a chi ha lavorato un’ora o un giorno. Perché è buono e delle sue cose fa ciò che vuole. Perché il premio è la vigna stessa, la Sua vigna, non quella di uno qualunque.
Basta uscire di casa e vediamo tutti correre e affannarsi per raggiungere qualcosa. Il nostro qualcosa è il Tutto, la Verità, Gesù Cristo. Gli idoli delle genti, invece, sono argento e oro, opera delle mani dell’uomo. Per questo il nostro correre, la nostra battaglia non è incerta, né un percuotere l’aria.
Siamo nella prova. Ogni giorno vediamo nostra Madre, la Chiesa attaccata e i suoi servi buoni e fedeli perseguitati. Dobbiamo ringraziare Dio che questa prova sia ormai così evidente che nessuno la possa negare. Nessuno potrà quindi accampare scuse e mentire a sé stesso, nessuno potrà dire: ho appena comprato un campo, devo andare a vederlo, verrò un’altra volta. O, come dissero gli ateniesi a san Paolo: su questo ti ascolteremo un’altra volta.
Questo ci sgomenta e umanamente ci fa versare lacrime di amarezza e di dolore: le lacrime sono mio pane ogni giorno. Perché stupircene? Non è ciò che Gesù stesso ci ha annunciato? Non ci ha invitato forse a prendere la croce e a seguirlo? Non è una croce per finta, ma una croce vera, che lacera le carni.
“La dottrina cristiana, che è la sola vera filosofia”, insegna san Francesco di Sales, “ha tre principi sui quali fonda tutta la sua pratica: l’abnegazione di sé, che è molto più che astenersi dai piaceri; portare la propria croce, che è molto più che sopportarla; seguire Nostro Signore, non soltanto rinunciando a se stessi e portando la propria croce, ma anche nella pratica di ogni altro genere di opere buone”.
Se esaminiamo la nostra vita e quella del Corpo mistico di Cristo che è la Chiesa, vediamo che il Signore ci ha condotti attraverso valli oscure e per sentieri che non avremmo mai intrapreso. Ci ha temprato attraverso tutto ciò che il Suo beneplacito ha disposto per noi, ha addestrato le nostre mani alla battaglia. Lo ha fatto perché la battaglia c’è e dobbiamo combatterla. Forse pensavamo di scamparla? Nessun discepolo è più del suo Maestro.
Il nostro Maestro è venuto a portare il fuoco ed esso è acceso oggi più che mai. È il fuoco della purificazione, ma è anche il fuoco che illumina e scalda chi gli si avvicina.
Perciò possiamo ringraziare Dio delle difficoltà e tribolazioni: senza essere apocalittici (non compete a noi scrutare i segni dei tempi e profetizzare più secondo le nostre paure che secondo lo Spirito Santo), alziamo il capo perché la nostra liberazione è vicina. Ogni giorno in cui facciamo la volontà di Dio è un passo verso la liberazione della nostra anima dall’uomo vecchio e dai suoi orpelli.
Cerchiamo quindi di essere temperanti in tutto, offrendo nella Quaresima ormai prossima ogni sacrificio, digiuno, preghiera ed elemosina perché la Santa Vergine fermi il braccio della giusta collera divina, che passa anche attraverso la persecuzione da fuoco amico e la promulgazione di leggi ingiuste e contro Dio.
Temperanti in tutto, perché temprati. E, come disse don Camillo: “Gesù, tenetevi forte che qui sono legnate!”.