Tra aragoste, scarafaggi e rane. Così ci mettiamo a disposizione dei padroni del pensiero  

Ci fu un tempo, un centinaio d’anni fa, in cui le aragoste erano chiamate gli scarafaggi del mare. Sulle coste orientali del Nord America ce n’erano così tante, ed erano un cibo così comune, che venivano date in pasto alla servitù, ai carcerati e agli animali domestici, oppure i pescatori le ributtavano in mare insieme alle scarpe vecchie impigliate nelle reti. A poco a poco però, per varie ragioni (in gran parte economiche, legate alla conquista di nuovi territori verso Ovest e ai progressi nella conservazione e nell’inscatolamento dei cibi) le aragoste divennero una prelibatezza. Ciò che la gente aveva sempre percepito in un certo modo fu completamente stravolto. E fu così che, da disprezzate che erano, le aragoste diventarono una sciccheria.

Come ricorda qui Laura Dodsworth, autrice di A State of Fear. How the UK Government Weaponised Fear During the Covid-19 Pandemic (Stato di paura. Così il governo britannico ha usato la paura come un’arma durante la pandemia di Covid-19), il tentativo di cambiare radicalmente ciò che le persone considerano normale è sempre in atto. Interessi politici ed economici lavorano in questa direzione. L’analogia con le aragoste, ex scarafaggi del mare, può essere presa in senso letterale perché tra breve avremo in tavola gli scarafaggi terrestri e li riterremo buonissimi.

L’Unione europea ha approvato una legislazione che consente il consumo di insetti e il pubblico incomincia a familiarizzarsi con questa possibilità. La propaganda è da tempo in azione per convincere tutti che mangiare insetti è sano e responsabile.

Quando in un recente episodio di The Great British Bake Off (gara televisiva tra concorrenti impegnati nella cottura di alimenti al forno) un partecipante ha detto che avrebbe inserito grilli macinati nella sua torta per Halloween, gli chef dello show, Paul Hollywood e Prue Leith, non si sono per nulla scomposti. Anzi, si sono messi a parlare dell’ingrediente come se fosse una banale crema pasticcera. Solo il comico Matt Lacus ha chiesto: “Stiamo davvero parlando di mangiare insetti?”.

“Certo – ha risposto Prue Leith – perché gli insetti sono il futuro: facili da coltivare, economici e molto ecologici”. Il messaggio è stato chiaro: alla faccia dei dubbi del comico, mangiare insetti è qualcosa da considerare non solo normale, ma doveroso.

È così che si cambiano le idee e le norme: attraverso l’esposizione ripetuta di un messaggio da parte degli “esperti” e il conseguente rimodellamento sociale. Se un numero sufficiente di persone autorevoli ne parla e viene visto farlo, la cosa diventa normale.

In inglese c’è un verbo, to nudge, che potremmo tradurre con “dare una spinta” o “dare un colpetto”, nel senso di esortare. Il nudger è colui che dà una spintarella perché un’idea, un concetto, un modo di essere diventi qualcosa non solo di tollerato, ma di opportuno e necessario.

In Gran Bretagna autorevoli nudger riuniti nel Behavioural Insights Team (gruppo che si presenta come “leader globale nella scienza comportamentale applicata”) hanno scritto un rapporto su come la televisione possa essere usata per condizionare le agende sociali. Le trame delle soap opera, per esempio, sono un mezzo considerato efficace per orientare scelte e comportamenti del pubblico.

Sono numerosi i meccanismi attraverso i quali è possibile rimodellare idee e comportamenti. Molto praticata è l’esposizione ad associazioni emotive positive. Se mostro ripetutamente qualcuno che mangia scarafaggi ed è felice e si sente realizzato, il gioco è fatto. L’importante è creare una familiarità nei confronti di atteggiamenti e norme.

Lo vediamo anche nel caso del veganismo. Sebbene i vegani siano statisticamente una minoranza, siamo ormai circondati da messaggi e pubblicità che incoraggiano questo tipo di alimentazione e dipingono gli onnivori quasi come delinquenti, perché mangiare carne viene visto come un atto di irresponsabilità dal punto di vista della sostenibilità ecologica.

A proposito di quanto avveniva negli ultimi anni dell’Unione Sovietica, quando tutti accettavano come normale vivere nella menzogna, lo storico russo Alexei Yurchak coniò il termine “ipernormalizzazione”. È la situazione in cui ci troviamo quando l’establishment mente, noi sappiamo che mente, loro sanno che noi sappiamo e noi sappiamo che loro sanno che lo sappiamo. Ma adesso l’ipernormalizzazione non basta più. I padroni del pensiero vogliono che noi siamo convinti di ciò che essi sostengono e ci impongono. E la cosiddetta pandemia, sotto questo punto di vista, è stato un grande test.

Quando l’anormale viene presentato come normale e il normale come anormale, e non si può dire che tutto ciò sia sbagliato, il sovvertitore ha raggiunto il suo scopo. Io posso ancora pensare che quell’uomo, sebbene si vesta da donna, non è una donna, o che un piatto di insetti, sebbene sia presentato come gustoso, non è gustoso come una bistecca di manzo, ma se dirlo in pubblico è di fatto vietato significa che l’ipernormalizzazione è avvenuta.

I padroni del pensiero sanno che la finestra di Overton è sempre in movimento e fanno affidamento sui suoi spostamenti. Un dato comportamento può passare da inconcepibile (unthinkable) a estremo (radical), da accettabile (acceptable) a ragionevole (sensible), da diffuso (popular) a legalizzato (policy). Lo spettro di accettabilità può cambiare e, di fatto, cambia in continuazione. Basta utilizzare i metodi giusti al momento giusto.

Tra qualche tempo uscirà un mio racconto un po’ horror, un po’ noir e un po’ fantasy (lo pubblicherà la casa editrice Chorabooks) nel quale mi sono spinto molto in là nell’immaginare come un comportamento inconcepibile possa diventare, via via, accettabile, ragionevole e persino doveroso, in nome di “valori” opportunamente presentati come decisivi per il bene dell’umanità. Sarà un racconto da “ridere per non piangere”, ma temo che più di un lettore non riderà affatto. Non aggiungo altro, ma dico una cosa: dal momento in cui l’ho immaginato al momento in cui ho corretto l’ultima bozza è passato meno di un anno, eppure mi sono accorto che nella realtà la finestra di Overton si è mossa veramente e con una rapidità strabiliante.

Sono trascorsi solo sei anni da quando il Canada praticò l’eutanasia per la prima volta a un suo cittadino dopo aver approvato la legge sulla Medical Assistance in Dying (notare il nome rassicurante, che in sigla, Maid, vuol dire cameriera o domestica). Da allora, oltre trentamila canadesi sono stati messi a morte grazie alla solerte Maid. Nel solo 2021 la cifra è cresciuta del 32%, tanto da rappresentare oltre il 3% di tutti i decessi che avvengono in Canada. Ma se finora per mettere in funzione Maid era necessaria una “ragionevole previsione” (?) di morte naturale, adesso, dal mese prossimo, sarà sufficiente una malattia o una disabilità che una persona consideri “inaccettabile”.

Dietro, come sempre, ci sono ragioni economiche. Con la legge attuale il Canada, già oggi il Paese con la spesa sociale più bassa tra quelli industrializzati, risparmia circa 87 milioni di dollari canadesi all’anno grazie alla morte mediante suicidio assistito di tutti coloro che avrebbero dovuto essere curati, magari a lungo, a carico dello Stato. Ma un risparmio ancora più accentuato si avrà quando una qualunque persona affetta da problemi di natura psichiatrica potrà chiedere di essere aiutata a morire piuttosto che di essere curata.

È così che l’uccisione di persone diventa normale e perfino doverosa, attraverso un processo costante, alimentato e sostenuto da opportuni rinforzi culturali (film, trasmissioni televisive, libri).

Gli psicologi parlano di slippery slope effect. L’effetto pendio scivoloso si ha quando piccole trasgressioni etiche ci portano su una strada lungo la quale possiamo commettere azioni sempre più spregevoli. L’importante è che ci sia una progressione nel tempo. E se la progressione è sostenuta addirittura dal governo, con l’ausilio di autorevoli esperti che ce la presentano come doverosa e responsabile, ecco che a un certo punto possiamo ritrovarci a sostenere la necessità di uccidere una persona perché psicolabile o perché povera o perché non allineata.

Noam Chomsky, quando teorizzò il principio della rana bollita, volle denunciare la tendenza ad assuefarci al degrado, alle vessazioni, all’ingiustizia. Se la temperatura dell’acqua, all’interno del pentolone nel quale sguazza la rana, viene alzata poco alla volta, la rana a un certo punto si ritroverà cotta senza nemmeno essersene accorta. Il fatto è che ad alzare la temperatura dell’acqua non provvede solo il malefico cuoco. Oggi vediamo che tutti noi stiamo dando un contributo lasciandoci convincere che, in fondo, alzare la temperatura di un mezzo grado non è niente di male, anzi.

E così, mezzo grado oggi mezzo grado domani…

A.M.V.

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