di Fabio Battiston
Da diversi anni ormai i santoni dell’ecologismo integrale e dell’ambientalismo catastrofista stanno, loro sì, ammorbando insopportabilmente l’aria di questo nostro mondo. Essi diffondono a piene mani lugubri profezie, indiscutibili regole e solenni ammaestramenti su come ognuno di noi deve pensare, agire, parlare, mangiare e vivere per essere, senza se e senza ma, eco-sostenibile.
Cosa penso della gran parte di costoro? Li ritengo, molto semplicemente, un’inqualificabile banda di cialtroni e ingannatori (e mi tengo). Essi, già all’inizio degli anni Ottanta profetavano – entro i venti, trent’anni successivi – il succedersi di catastrofi planetarie causate dal buco nell’ozono e da migliaia di chilometri quadrati di terra sommersi dall’innalzamento degli oceani. Nulla di tutto questo è poi avvenuto. Giova sottolineare, nello specifico, che il buco dell’ozono si è da poco “magicamente” richiuso nonostante le emissioni prodotte dall’uomo non siano diminuite in modo significativo, anzi! Ma tant’è. Non contenti di queste acclarate balle planetarie, i “Friday for Future” di ogni latitudine stanno da tempo certificando che il riscaldamento climatico globale (fenomeno scientificamente e tecnicamente verificato tramite… termometro), sia indubitabilmente dovuto alle perverse attività umane (la famosa “causa antropica”, sinora mai scientificamente provata). Eppure una parte non banale del mondo accademico cerca da tempo di dimostrare la sostanziale fragilità dell’ipotesi antropica, fornendo in merito – ahimè inascoltata e, spesso, insultata dal pensiero unico – autorevoli considerazioni e analisi. In Italia possiamo citare, tra gli appartenenti a questo gruppo, tre nomi non certo definibili come pseudo-scienziati da fiera paesana; sto parlando dei professori Franco Prodi, Francesco Battaglia e Antonino Zichichi.
Questi scienziati non intendono sostenere, ovviamente, che l’inquinamento ambientale da attività umane non esista o che non sia un fenomeno pericoloso – in modo diretto e indiretto – per la salute dell’uomo. La questione è verificare se e in che misura tale problema sia responsabile dei cambiamenti climatici in atto. Da tale verifica nasce poi l’altra grave questione: quella riguardante la gigantesca entità dei costi da sostenere per una riconversione (industriale, energetica, sociale, etica ecc.) basata su presupposti – come quello dell’origine antropica delle variazioni climatiche – che potrebbero rivelarsi sbagliati. Se ciò avvenisse sarebbe un disastro assoluto per tutti noi. Una scienza degna di questo nome dovrebbe avere, prima di tutto, l’obiettivo di capire come stanno effettivamente le cose per poi suggerire le soluzioni migliori (che sono, generalmente, frutto di compromessi tra esigenze diversificate). Per far ciò c’è bisogno di tutto meno che di preconcetti ideologici e pseudo-culturali o, peggio, di soluzioni di comodo, asservite ad interessi finanziari globalisti. Purtroppo la recente pandemia ci ha fatto toccare con mano cosa vuol dire affidarsi allo scientismo e non alla scienza. Ma di tutto questo, lo possiamo verificare quotidianamente, è proibito discutere (meno che sulla nostra preziosa agorà).
Purtroppo la dittatura eco-ambientalista è una lobby mondiale estremamente potente. Essa gode di appoggi finanziari notevolissimi, di un sostegno massmediale globale in puro stile goebbelsiano, come pure di rilevanti supporti etico-morali (come la nuova chiesa pagano-ecologista, voluta da Bergoglio). Le metastasi “verdi”, inoltre, sono entrate ormai da anni in tutti i livelli dei poteri istituzionali. Governi nazionali, Unione Europea, Nazioni Unite e compagnia cantando stanno imponendo – a livello sia individuale sia collettivo – politiche, strategie di “sviluppo”, modi di essere e visioni etiche della vita improntate alle due parole d’ordine oggi imperanti nel mondo: eco-sostenibilità e green economy. Ecco la nuova dittatura etico-planetaria! E, per la chiesa cattolica temporale, il nuovo feticcio da adorare nelle parrocchie e nei conventi (a quanto pare anche la Santa Messa dovrà diventare green).
In questo scenario, una delle battaglie di frontiera più famose di questi maestri del nulla è quella che intende promuovere un impiego massivo e globale della santa, pulita ed eco-sostenibile auto elettrica. Proprio in queste ultime settimane, l’ineffabile Unione Europea ha emesso il suo ennesimo folle diktat con il quale si intende vietare, a partire dal 2035, la vendita di auto nuove a trazione benzina-diesel. Questo perché si è individuata nella “electric mobility” l’indiscutibile panacea all’inquinamento delle città e del pianeta.
Si tratta di un’altra “balla spaziale” dei sacerdoti radical-chic dell’ambientalismo mondialista. In questo caso, tuttavia, siamo di fronte a un obiettivo che – se fosse effettivamente raggiunto nei prossimi anni (o tuttalpiù pochissimi decenni) – potrebbe portare ad una catastrofe (anche ambientale) di enormi proporzioni. Già, perché i nostri bravi difensori del pianeta non si pongono minimamente la domanda circa il “come” produrre tutta l’energia elettrica necessaria a sostenere una domanda globale di mobilità elettrica. Sembra infatti che molti abbiano dimenticato che, già nel XIX secolo, un certo signor Joule definì ciò che si chiama Primo principio della termodinamica in base al quale l’energia non si crea né si distrugge ma esiste solo in quanto trasformazione da una forma a un’altra. Nessuno pare chiedersi donde possa o debba provenire l’immensa quantità di energia elettrica necessaria per alimentare un’esigenza planetaria di mobilità elettrica (tralascio qui l’altrettanto importantissimo problema ambientale derivante da produzione e smaltimento della componentistica di questo tipo di auto). C’è qualcuno, forse, che pensa a un pianeta di auto elettriche la cui esistenza venga garantita dalle illusorie fonti naturali rinnovabili? Ma certo, sono gli stessi che dai tempi di Three Mile Island marciano al grido “No Nuke!” e che, in Italia, hanno privato il nostro paese (che vantava negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento una tra le migliori scuole mondiali in tema di impiego pacifico dell’energia nucleare) di una preziosissima risorsa per lo sviluppo e le finanze nazionali.
A riguardo, apro una piccola parentesi su certi paradossi della nostra politica. Forse non tutti sanno che il padre del piano nucleare italiano fu il professor Felice Ippolito; egli, fino al 1987, militò nelle file del Partito comunista, quella stessa forza politica che – cambiando più volte nome e simbolo – è stata negli ultimi trentacinque anni la più acerrima nemica dell’impiego del nucleare italiano. Così va il mondo.
Tornando al tema di questo contributo, non voglio però essere io a contrastare la battaglia ambientalista sull’auto elettrica, che pare ormai destinata alla vittoria. Lascio la parola a un personaggio certamente non sospetto, non foss’altro in virtù del lavoro che fa. Si tratta del signor Akio Toyoda, nientemeno che il presidente e amministratore delegato della Toyota Motor Corporation, una delle maggiori aziende – se non la più importante – produttrice di “electric mobility”. Il signor Toyoda, dal primo aprile 2023, assumerà il nuovo incarico di Chairman of the Board of Directors della multinazionale giapponese, ed ecco alcuni interessanti estratti di sue dichiarazioni, rilasciate nel dicembre 2020, riprese dal sito ilsole24ore.com. Sono passati poco più di due anni ma le sue considerazioni sono più attuali che mai.
La rincorsa all’auto elettrica non convince uno dei manager dell’auto più potenti al mondo, Akio Toyoda. Ma con chi sembra avercela il ceo di Toyota? Con quanti sostengono a spada tratta l’auto a batteria senza valutarne il reale impatto che è molto lontano dall’essere zero. Il problema sta tutto nelle emissioni di anidride carbonica ottenute dalla produzione di elettricità che alimenta le auto sia in quella necessaria per produrre le batterie, le stesse che – secondo Toyoda – dimostrano di avere un impatto sull’ecosistema, ma soprattutto sui costi sociali della transizione energetica che oltretutto non sarebbero compensati da benefici climatici.
Gli strali del presidente della Toyota sembrano rivolgersi in particolare all’attuale rete elettrica giapponese che non sarebbe in grado di sostenere un parco circolante composto interamente da auto a batteria; senza contare che attrezzare il paese del Sol Levante con la rete di infrastrutture necessaria costerebbe, come investimenti da effettuare, fino a trecento miliardi di euro. “Quando i politici fanno sapere di volersi liberare di tutte le auto che usano benzina – spiega Toyoda – capiscono cosa significherebbe tutto questo?”. In realtà il messaggio è poi rivolto ai costruttori dell’elettrico. Va ricordato a riguardo che in Giappone la produzione di energia elettrica è ancora oggi fortemente legata al carbone e al gas naturale. Senza contare che i cosiddetti combustibili fossili sono alla base dell’approvvigionamento energetico negli Usa, ma anche in Europa, visto che proprio nel Vecchio Continente la quota di energia derivante dal termoelettrico è pari a circa il 45% del totale, mentre un’altra consistente quota, intorno al 12%, deriva dal nucleare che, tuttavia, non è considerata una fonte rinnovabile. Insomma anche le auto elettriche non sarebbero carbon neutral.
Il top manager spiega senza mezzi termini che “più veicoli elettrici produciamo, più salgono le emissioni di anidride carbonica”. E tutto ciò sembra essere legato in particolare alle batterie che, soprattutto in fase di produzione, fanno quasi raddoppiare le emissioni di CO2 di un’auto elettrica rispetto a quelle generate per la fabbricazione di un’auto elettrica o ibrida.
Lo scenario descritto dal signor Toyoda si riferisce alla sola realtà giapponese. Immaginiamo ora di aggiungere quella dell’intera Europa occidentale e, magari, della Cina e degli Stati Uniti. E allora?
È evidente che nessuno tra gli ambientalisti proverà a riflettere un solo attimo su queste parole. Alla fine, l’indiscutibile e intransigente talebanismo ecologista – di chi si erge a sacerdote difensore del pianeta – porterà il mondo a sfracellarsi sul multicolore muro dell’ignoranza globalista, scambiato per un meraviglioso arcobaleno. Con la benedizione “verde” dell’inquilino di Santa Marta.
Ma, si sa, la mamma dei gretini è sempre incinta.