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La Chiesa dopo Benedetto XVI tra realtà e utopie. Un incontro

Cari amici di Duc in altum, sabato 3 marzo a Molfetta (Bari) sono intervenuto con monsignor Nicola Bux a un incontro, organizzato dall’Università popolare molfettese, dal titolo La Chiesa dopo Benedetto XVI. Tra realtà e utopie. Ha introdotto Ottavia Sgherza Altomare, presidente dell’Università popolare molfettese. Il moderatore è stato il professor Nicola Barile.

Propongo qui la trascrizione-sintesi dei miei interventi.

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Nicola Barile – Innanzi tutto, qualche considerazione sulla situazione della Chiesa dopo la morte di Benedetto XVI e su uno dei suoi lasciti più importanti, ovvero l’attenzione al realismo: se Dio è il fondamento della realtà, solo tornando alla realtà e approfondendo le sue origini, suggerisce Benedetto XVI, sarà possibile ritrovare Dio.

Aldo Maria Valli – Rispondo facendo riferimento al libro Salute o salvezza. La Chiesa al bivio, edito da Fede & Cultura, una conversazione a trecentosessanta gradi sulla Chiesa, con uno sguardo proiettato al futuro, tra don Nicola e Vito Palmiotti.

Nelle parole di don Bux prevale un’appassionata difesa dell’autentico spirito del Concilio non solo a fronte delle spinte di chi vorrebbe scavalcarlo a “sinistra”, ma anche pensando a chi lo mette sotto accusa da “destra”.

La posizione di don Nicola è radicata nel campo della cosiddetta ermeneutica della continuità sostenuta da Ratzinger. Scrive don Bux: “Anche lo stesso rito antico ha conosciuto riforme e critiche e sempre ve ne saranno. La cosa più importante è che le riforme nella Chiesa siano fatte in continuità con la tradizione e non siano in rottura con essa”.

Nella sua difesa del Vaticano II don Nicola ricorda l’ammonimento del cardinale Giuseppe Siri: “Oggi si è concluso il Concilio, ora comincerà la battaglia nella Chiesa. Perché tutto quello che si è tentato di far passare in Concilio, e lo Spirito Santo non ha permesso, si tenterà di farlo passare ora, interpretando male il Concilio”.

Il libro verte su numerosi temi: la crisi della liturgia, la perdita del senso del sacro, l’ecumenismo, il rapporto con l’Islam, la sinodalità, il futuro del Summorum Pontificum, il celibato, le Messe sine populo durante la pandemia.

Don Bux non nasconde la sua preoccupazione perché “la secolarizzazione ha prodotto una cristologia neo-ariana, che a sua volta ha portato alla laicizzazione del prete, all’irrisione del celibato, alla svalutazione dell’ascesi, alla clericalizzazione del laicato, all’esclusivo o prevalente impegno nel sociale” e la “conseguenza grave” è che molti sacerdoti “finiscono per basare il loro giudizio sulla visione del mondo contemporaneo e non sulla Bibbia, in modo da renderlo più gradito a chi ascolta”.

La via indicata è quella individuata da Romano Guardini, il quale affermava che “senza l’incarnazione di Gesù Cristo non è possibile comprendere il mondo: perciò è intorno a essa che si fa l’unità del pensiero”.

Don Bux argomenta: “Noi siamo cattolici, non protestanti che hanno perduto il riferimento essenziale: il Papa. Lutero contestò il magistero e riteneva che l’autorità fosse la Scrittura. Se la Chiesa è del Signore, siamo certi che non l’abbandonerà, perché egli è venuto a dare compimento, non ad abolire”.

Don Nicola inoltre rileva come, negli ultimi decenni, dopo il Concilio Vaticano II, abbiano preso corpo all’interno della Chiesa sinistre ideologie, vedi “teologia della liberazione”, che si sono sostituite all’ “annuncio di Cristo”. Riguardo a taluni appelli laicisti che invitano la Chiesa ad adeguarsi alla mentalità del mondo d’oggi, don Nicola sottolinea che se ciò dovesse verificarsi sarebbe “tradimento di Cristo” il quale ha detto: “Il mio regno non è di questo mondo”.

Non si può tacere, inoltre, su quanto avviene in taluni ambienti monastici cattolici dove si è “sostituito il Rosario con le tecniche yoga e zen” banalizzando la presenza divina. Di conseguenza, viene esclusa “la divinità di Cristo e la sua opera redentrice”».

A questo punto, per essere onesto nei confronti di don Bux e di tutti voi, devo però aggiungere che, a differenza di don Nicola, più vado avanti nell’analisi della crisi nella e della Chiesa e più mi rendo conto che i virus che hanno condotto alla malattia erano già tutti presenti nel Concilio. È vero: il Concilio è stato certamente strumentalizzato, ma se ciò è avvenuto non è stato soltanto perché qualcuno lo ha usato per i propri fini o perché, come ha detto Benedetto XVI, ci fu un Concilio dei Padri e un Concilio dei mass media. No, ritengo che il Concilio abbia avuto in sé i virus letali. Anzi, direi un virus letale: quella che chiamo l’ideologia dell’aggiornamento. Nel momento in cui il Concilio ha sposato questa ideologia, che poi coincide con la sua origine, si è messo sulla strada che ha portato gran parte della Chiesa a essere quella che è oggi: una Chiesa che non intende convertire il mondo ma insegue il mondo, sostanzialmente riducendosi ad agenzia umanitaria e annacquando il suo messaggio al fine di essere accettata dal mondo.

Ecco perché l’ermeneutica della continuità, della quale capisco molto bene le ragioni e che io stesso ho sostenuto a lungo, oggi mi fa problema. Mi chiedo infatti se, al punto in cui siamo, essa sia ancora sostenibile e se non sia, invece, essa stessa frutto di quella mentalità conciliare che ha preteso di armonizzare gli opposti: la fede e il pensiero del mondo, la Chiesa e lo Stato moderno programmaticamente ateo, i comandamenti divini e il relativismo morale.

Nicola Barile – Parliamo del rischio dell’utopia, ovvero la ricerca di un mondo migliore su questa terra, invece dell’escatologia, ovvero della vita eterna.

Aldo Maria Valli – Nel post Concilio abbiamo conosciuto svariate utopie. Di una di esse, per lungo tempo in primo piano nei mass media, don Nicola ed io abbiamo parlato nel nostro libro Il cambio della guardia. Bose ed Enzo Bianchi come esempio di transizione della nuova Chiesa.

Possiamo considerare la comunità fondata da Enzo Bianchi una sorta di distillato del pensiero conciliare strumentalizzato dai neo-modernisti.

Enzo Bianchi compie proprio oggi, 3 marzo, ottant’anni e nel suo ultimo articolo per La Stampa ha scritto che si sente uno sconfitto, ma non si imputa alcuna colpa. Ecco, mi sembra che qui stia parlando non solo Bianchi, ma il Concilio. Un Concilio che ha condotto al disastro attuale ma continua a sostenere: non è colpa mia!

Ho conosciuto molto bene Bose ed Enzo Bianchi. Non nascondo il fascino che la comunità e il suo fondatore possono esercitare, e anche qui vedo un parallelo con il Concilio, che effettivamente ha affascinato molti. Per quanto mi riguarda, di Bose apprezzavo in particolare il dialogo con il mondo ortodosso e la valorizzazione della spiritualità orientale. Non di meno, durante il mio progressivo avvicinamento alla Tradizione ho percepito come a Bose, in un contesto che vorrebbe essere prettamente antidogmatico (perché si dice che i dogmi appartengono al passato e non servono alla Chiesa “in uscita”), sia stato in realtà proclamato un nuovo dogma, anzi un super-dogma: il dialogo. Lì in effetti il dialogo è stato dogmatizzato, ricevendo ovviamente gli applausi del mondo ateo, agnostico e anticattolico. Ed ha finito per diventare un valore assoluto: non più un mezzo, ma un fine. E lo stesso è avvenuto per il Concilio.

Ma nostro Signore non ci ha detto “Andate in tutto il mondo e dialogate”. No, ha detto: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato”.

Ecco il punto: talune utopie postconciliari hanno messo tra parentesi o eliminato del tutto la seconda parte dell’esortazione di Gesù. È come se si proclamasse: “Solo chi dialogherà con l’altro farà il suo dovere di cristiano”. In questo contento viene eliminato il richiamo alla salvezza, perché sarebbe divisivo, e naturalmente, in modo speculare, non c’è più alcun richiamo alla possibilità della condanna, perché renderebbe la Chiesa poco simpatica nei confronti del mondo.

All’origine di tutto ciò c’è l’idea che nessuno sia detentore della Verità e non ci sia (lo ha detto Bergoglio in una lettera a Scalfari) una verità assoluta, ma l’unica “verità”, sempre comunque parziale e variabile, sia il dialogo stesso.

Voi mi direte: ma tutto ciò non è colpa del Concilio! Ebbene, come dicevo, io oggi sono portato a rispondere: nel Concilio la deviazione non era contenuta sotto forma di dichiarazioni nero su bianco, ma era contenuta nel suo desiderio di aprire la Chiesa al mondo, desiderio che fatalmente ha condotto alla sudditanza della Chiesa nei confronti del mondo.

Allora, qual è la via?

In quanto giornalista, io sono un osservatore, non uno titolato a dare indicazioni. In quanto battezzato mi è stato però donato quel sensus fidei in base al quale il fedele possiede una sorta di istinto per la verità del Vangelo e così può riconoscere, direi a pelle, la dottrina e la prassi cristiane autentiche. Di conseguenza il battezzato non solo ha il diritto di essere ascoltato, ma le sue reazioni a ciò che gli viene proposto devono essere prese in considerazione dalla Gerarchia, anche ai più alti livelli, e invece io vedo che nella Chiesa si parla tanto di popolo, di sinodalità, di inclusione e misericordia ma poi i fedeli non li ascolta nessuno, nessuno prende in considerazione il loro smarrimento e il loro sconcerto, e nessuno usa nei loro confronti quella somma forma di misericordia che è la proclamazione della Verità tutta intera.

Quindi, anche se non siamo chierici e non abbiamo studiato teologia o altre discipline relative alla fede e alla Chiesa, non dobbiamo essere passivi e accettare tutto senza reagire.

In quanto battezzato che si interroga avverto l’esigenza forte di un ritorno alla centralità della Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo.

Da troppo tempo la Chiesa ha messo al centro della predicazione, e anche del culto, l’uomo, estromettendo la Trinità.

Potreste obiettare che, essendo la nostra la fede in un Dio che si è fatto uomo, è inevitabile che al centro ci finisca l’uomo. In un certo senso è vero. Ma occorre che sia l’uomo inteso come creatura di Dio, l’uomo inteso non semplicemente come un brav’uomo secondo il mondo, ma come uomo redento.

Vorrei che la Chiesa insegnasse il bisogno di essere perdonati, di essere salvati, e non si lasciasse contagiare dal pensiero del mondo secondo cui, ben che vada, tutto si riduce a umanitarismo e filantropia.

Purtroppo, oggi molto spesso la Chiesa aiuta gli uomini non a essere perdonati, ma a essere discolpati. Non osa più parlare del peccato che separa da Dio ma, al più, accenna genericamente ad alcune fragilità che vanno comunque comprese.

Nicola Barile – Per chiudere, una nota sull’attuale fase sinodale e sulle eccessive aspettative che suscita (almeno in certi ambienti)…

Aldo Maria Valli – Avverto un forte senso di estraneità nei confronti di questa Chiesa che parla tanto di sinodalità e si impegna nei cosiddetti cammini sinodali. Non conosco nessuno che si sia convertito alla Chiesa cattolica, provenendo da altre fedi o dall’ateismo, grazie a un sinodo dei vescovi o ai documenti prodotti da un qualsiasi cammino sinodale. Ci si converte, per Grazia, perché attirati dalla bellezza e dalla Verità.

La Chiesa quindi torni a mostrare la bellezza della fede e a proclamare la Verità. Anche senza arrivare agli eccessi dell’esperienza tedesca, vediamo che quella che non esito a definire l’ideologia della sinodalità produce più che altro una gran quantità di parole che non vanno a toccare la fede delle persone. Inoltre, l’ideologia della sinodalità induce a pensare alla Chiesa nei termini politici di una democrazia all’interno della quale ci si confronta su come costruire la Chiesa stessa, con una dinamica maggioranza-opposizione e dimenticando del tutto che la Chiesa non è nostra, ma di Cristo, ed è Cristo che, per mezzo dello Spirito Santo, concede alla Chiesa di essere una, santa, cattolica e apostolica. L’ideologia della sinodalità ci induce a pensare alla Chiesa non come a un tempio santo ma come a un parlamento in seduta permanente, ma così, ancora una volta, al centro viene messo l’uomo, non Dio.

Siamo portati a pensare che la parola Chiesa voglia dire assemblea, o comunità, ma la parola greca ekklesia, dal verbo ek-kalein, significa prima di tutto convocazione. Non siamo noi a fare la Chiesa, ma vi siamo chiamati da Dio per realizzare la sua volontà.

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Nella foto, da sinistra: monsignor Nicola Bux, Aldo Maria Valli, Nicola Barile, Ottavia Sgherza Altomare

Aldo Maria Valli:
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