Sulla verità che rende liberi e la Chiesa schiava dell’ideologia vaccinista
A Messa ascolto la predica. Il prete ci sa fare. Incentra tutto sul concetto “la verità vi farà liberi” e dice che la verità si trova qui, nella casa di Dio, non fuori, nel mondo, dove al massimo se ne trova qualche sbiadito simulacro. Bravo, bene, bis.
Peccato che la predica arrivi da quella stessa Chiesa che in materia pandemica ha aderito senza muovere una critica (anzi, a volte, volendo apparire più realista del re) alla narrativa del terrore.
E ancora adesso, mentre da più parti arrivano i ripensamenti, le indagini, le inchieste, le ammissioni, dalla Chiesa niente. Non una parola di riflessione su come i pastori, a partire dal supremo, hanno ceduto al pensiero dominante, incapaci di proporre una visuale diversa.
Questo sarebbe il momento, per la Chiesa, di una seria riflessione su come il mondo cattolico “ufficiale” ha affrontato la “pandemia”. Ma nessuno fiata.
Siccome abbiamo tutti la memoria corta, l’amico Paolo Gulisano ha giustamente provveduto a riavvolgere il nastro.
Nella prima fase dell’epidemia, quella del terrore, delle comunicazioni mediatiche schizofreniche (da una parte ‘andrà tutto bene’ e i canti sul balcone, dall’altra la percezione indotta che si fosse davanti ad un virus apocalittico) la Chiesa si presentò attonita, totalmente incapace di esprimere un proprio giudizio di valore, completamente appiattita sulla narrazione ufficiale. “Ci fidiamo delle autorità costituite”, disse il prode arcivescovo di Milano monsignor Delpini.
In quei frangenti la Chiesa si accodò al pensiero autorizzato e si mise nelle mani dei virologi assurti ad aruspici. Mentre le autorità imponevano leggi liberticide, la Chiesa si piegava, tremebonda. Solo il vescovo di Ascoli, monsignor D’Ercole, cercò di far sentire la propria voce contro i diktat del governo. Ma pochi giorni dopo le sue dichiarazioni critiche, improvvisamente diede le dimissioni e lasciò l’Italia.
L’ospedale da campo, come qualcuno ha voluto ridefinire la Chiesa, restò deserto, chiuso per profilassi igienico-sanitaria. “Eppure nella storia la Sposa di Cristo non aveva mai avuto paura di virus e batteri e non aveva mai chiuso i battenti”. Qui invece abbiamo avuto non solo le chiese off limits, ma perfino la proibizione ai sacerdoti di entrare nelle corsie degli ospedali per dare i sacramenti. Gulisano parla di scenario “triste”. Io aggiungerei vergognoso.
Ho ascoltato con le mie orecchie sedicenti cattolici affermare che i non vaccinati, in caso di malattia e ricovero, avrebbero dovuto essere privati del sostegno del servizio sanitario nazionale.
Poi, quando l’”emergenza” è finita, la Chiesa che cosa ha fatto? Specie in Italia, ha continuato a reiterare divieti e protocolli fondati sull’ideologia del terrore. In effetti, in nessun luogo come nelle parrocchie si vede ancora tanta gente mascherata, e ancora oggi i celebranti sull’altare si compiacciono di praticare il rito apotropaico dell’igienizzazione delle mani col disinfettante prima di distribuire l’Eucaristia. Il risultato è che ormai nella “prassi pastorale” sono entrate e si stanno consolidando “misure igienico-sanitarie mediate dall’Oms anziché dal Vangelo, come l’obbligo della Comunione in mano (in realtà sappiamo che sono proprio le mani la maggior fonte di contagi microbici), pensate per rendere le Messe asettiche e a prova di virus, ma anche vuote della presenza del Signore”.
Tanti fedeli non sono più tornati dopo le riaperture delle chiese al pubblico, ma i pastori non fanno una piega.
E che dire dell’appoggio incondizionato ai “vaccini”? Il pastore supremo, con suprema irresponsabilità, disse che vaccinarsi era un atto d’amore. E ora che emergono i dati sconvolgenti sugli effetti avversi? Silenzio. “Extra vaccinum nulla salus”: così ha predicato la Chiesa antidogmatica, improvvisamente divenuta superdogmatica e intransigente. E ora? Non un a parola di scusa.
Idem per quanto riguarda la grave questione etica delle cellule provenienti da feti abortiti utilizzate nella produzione dei salvifici sieri. Il ricorso al “vaccino” è stato giustificato con ragionamenti cervellotici, estranei alla logica prima ancora che alla dottrina. Ma ora tutto tace. Nessuno che abbia il coraggio di dire: “Ci siamo sbagliati, ci siamo lasciati condizionare”. Nulla. E non una parola per la sofferenza causata in tutti coloro che, per non essere stati al gioco, sono stati emarginati, privati del lavoro, accusati di ogni nefandezza, estromessi dal consesso civile.
Gulisano osserva: “Il problema su come il mondo cattolico ha affrontato la vicenda del Covid non riguarda solo l’episcopato, la gerarchia dei pastori, ma anche la base, dove si è diffusa una visione sostanzialmente non cattolica del dramma che si stava vivendo. Dove si è persa la fede nella preghiera e nei Sacramenti, dove la paura ha prevalso sulla virtù della speranza, e dove anche quella della carità è venuta meno”.
In questa nostra Chiesa liquida e aperta in cui si discute di tutto, nessuno fiata su come è stata vissuta la “pandemia” e sull’ideologia del terrore che ancora imperversa mediante gesti e comportamenti assurdi.
Ben vengano le prediche sulla verità che rende liberi. Ma posso dirlo? Da che pulpito!
A.M.V.