di Antonio Polazzo
Caro Valli,
Aurelio Porfiri ha cordialmente replicato [qui] all’invito che gli avevo fatto [qui] di rimeditare su alcune cose che egli aveva detto [qui] circa la tentazione di “divinizzare” il papa.
Nel comunicargli che ho gradito i suoi ringraziamenti lo ringrazio a mia volta di aver voluto riflettere sulle cose che mi sono permesso di dirgli.
Qui di seguito una mia controreplica e la risposta alla domanda che mi rivolge.
La controreplica
Riconosco intanto di non aver dato nessun peso alla serie televisiva che è stata occasione delle considerazioni di Porfiri sul papato. Lo faccio tuttavia nella ragionevole certezza che queste considerazioni, oggetto delle mie critiche, corrispondono al pensiero di Porfiri sul papato a prescindere da ogni loro relazione con la citata serie televisiva. Pertanto, benché io non escluda di “aver mancato un punto importante” dell’articolo del mio interlocutore, penso sinceramente che, se ciò è accaduto, non sia stato per il fatto di non aver dato importanza alla serie televisiva che fu il punto di partenza delle sue valutazioni, le quali trascendevano completamente da quel punto di partenza concentrandosi sulla fede (“occorr[e] stare sempre ben attenti per capire che cosa la fede non deve essere”).
Rispondendo alle mie osservazioni Porfiri dice:
“Ciò che volevo dimostrare è che noi avremmo gli strumenti per impedire una eventuale papolatria. Io non ho mai voluto dissociare il papa da Cristo, come mi sembra si adombri nella critica al mio articolo. Ho detto che il papa rappresenta Cristo e ha un senso fino a che svolge questo compito e non viene sostituito a Lui. Così va letta la mia osservazione sul Tu es Petrus, in cui certamente Gesù garantisce un posto speciale vicino a Dio ma dicendo chiaramente che la Chiesa è la sua e che solo in Lui essa ha un senso”.
Per quanto l’occasione di esse sia stata “televisiva” è chiaro che le preoccupazioni di Porfiri sulla papolatria riguardano la situazione reale in cui attualmente versa la Chiesa. Ma, dato che egli parla di una eventuale papolatria, in attesa che ne individui una precisa e reale manifestazione, mi limito a evidenziare che il termine “papolatria” ha origini protestanti o comunque che è tipico del mondo e della mentalità protestante (almeno di quella “classica” risalente a quando ancora tanti cattolici amavano il papato) accusare il mondo e la mentalità cattolica di papolatria. Escludo convintamente che Porfiri abbia simpatie protestanti. Ma ricorrere a un “linguaggio protestante” non mi sembra un mezzo incoraggiante per esprimere angosce concernenti l’attuale situazione della Chiesa.
Vengo ora al merito della replica di Porfiri.
Mi fa piacere che egli non volesse dissociare il papa da Cristo[1], resta però che lo ha fatto in più punti nel suo articolo. E continua a farlo nella sua replica, dicendo che “il Papa […] ha un senso fino a che svolge questo compito [di rappresentante di Cristo] e non viene sostituito a Lui [a Cristo]”. Infatti, un papa che “non ha senso” (o cessa di avere senso) come può essere un papa “associato” (unito) a Cristo? O il papa non ha senso e allora, appunto, Porfiri –pur contro la propria volontà– dissocia il papa da Cristo. Oppure il soggetto di cui si parla non è un papa (ma è Porfiri a definirlo tale) e allora il fatto che egli sia dissociato da Cristo non pone alcun problema in ordine alla natura e alle prerogative del papato.
Anche quando Porfiri parla dell’anatema di san Paolo di cui alla lettera ai Galati 1, 8 e dei rinnegamenti di Pietro lo fa -in conseguenza di una fuorviante (come ho cercato di segnalare), anche se non malintenzionata, interpretazione di questi due episodi delle Scritture- esprimendo una dissociazione tra il papa e Cristo.
Cita l’anatema di san Paolo con riferimento anche al papa al fine di dire che un papa (come papa, evidentemente, non come persona privata) può insegnare alla Chiesa qualcosa di contrario alla Scrittura e alla Tradizione.
Cita i rinnegamenti di Pietro per dire che se perfino Pietro rinnegò Cristo può accadere che lo stesso facciano i successori di Pietro (il papa, dice Porfiri, è successore di colui che “dopo … aver ricevuto un così grande compito [quello di guidare la Chiesa] non poté fare a meno di rinnegarlo”). Successori che pertanto, quando rinnegano Cristo, non vanno seguiti.
Emblematico poi, in ordine alla dissociazione in parola, il seguente interrogativo di Porfiri:
“Se un papa un giorno ci chiedesse di non credere alla risurrezione, dovremmo seguirlo? Certamente no”.
Cosa doveva dire di più Porfiri per affermare che l’unione tra Cristo e il papa non è essenziale al papato, tanto che si può essere papa anche allorché come papa si insegna alla Chiesa una dottrina contraria a quella rivelata da Gesù Cristo e già insegnata dalla Chiesa? Cosa doveva dire di più per dire che una dissociazione tra il papa e Cristo è possibile e conforme alla natura del papato e che essa non incide sulla comunicazione dell’autorità pontificia a chi è designato al papato?
Tutto il contrario dicono le bellissime parole di san Giovanni Bosco, citate dallo stesso Aurelio Porfiri, le quali mettono in luce come l’unione tra Cristo e il papa sia essenziale al papato (“sopra di te appoggiata –dice Gesù a Pietro nel passaggio di don Bosco – [la mia Chiesa] starà forte ed invitta contro a tutti gli assalti de’ suoi nemici [per mia virtù eterna]”). È semplicemente impossibile per don Bosco immaginare che un papa come papa possa allontanarsi da Cristo e proporre a credere alla Chiesa una dottrina sulla fede o sui costumi diversa da quella insegnata dal Salvatore. Nel beato Pietro il papa è la stabilità e la sicurezza nella fede. La fermezza in mezzo ai flutti. La salvezza.
Ma Porfiri cita le parole del grande santo piemontese sul Tu es Petrus per dimostrare che è in quel momento che il Signore conferisce l’autorità pontificia a Pietro e che, dunque, quando Pietro successivamente rinnegherà Cristo è già papa (“Quindi, secondo san Giovanni Bosco, nel momento in cui il Signore pronuncia le parole Pietro riceve l’autorità suprema. Malgrado ciò, Pietro lo rinnega”).
Penso che difficilmente Porfiri avrebbe potuto scegliere citazione più efficace per dimostrare il contrario di quanto vorrebbe dimostrare. Si noti infatti come, sulle parole del Vangelo, san Giovanni Bosco ben sottolinei il tempo futuro degli accadimenti:
“tu, o Pietro, sarai nella mia Chiesa quello che in una casa è il fondamento”, “Tu, o Pietro, sarai un’autorità nella mia Chiesa affatto necessaria”, “Finalmente dice Cristo: e ti darò le chiavi del regno de’ cieli. Le chiavi sono il simbolo della potestà” (et tibi dabo claves). Ma soprattutto si consideri quello che don Bosco dice in chiusura: “Nel fatto, che qui abbiamo esposto, il divin Salvatore promette di voler costituire S. Pietro capo supremo della sua Chiesa, e gli spiega la grandezza di sua autorità: noi vedremo il compimento di questa promessa dopo la sua risurrezione”.
Le parole di Giovanni Paolo II (che per me non hanno alcuna autorità o autorevolezza poiché, lo dico sempre a scanso di equivoci, io ritengo non fosse un vero papa) non mi sembrano deporre nel senso che Pietro ricevette l’autorità pontificia prima dei rinnegamenti o comunque non mi sembrano dirimenti in tal senso. Si inseriscono peraltro nel contesto di un commento alle parole di Luca 22, 31-32 (“Simone, Simone, ecco Satana va in cerca di voi per vagliarvi come si vaglia il grano. Ma io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno; e tu, quando sarai convertito, conferma i tuoi fratelli”), commento in cui Wojtyła riconosce che la missione a Pietro di confermare i fratelli nella fede (e dunque il relativo potere) sono conferiti a Pietro dopo il suo ravvedimento[2]. Se volessi sostenere quello che sostiene Porfiri, dunque, non farei affidamento su quello che dice Wojtyła nel passo citato. Semmai mi preoccuperei di quello che dice Innocenzo III, menzionato da Wojtyła in quel medesimo contesto:
“È ciò che scrive Innocenzo III nella Lettera Apostolicae Sedis Primatus (12 novembre 1199) citando il testo di Luca 22, 32 e commentandolo così: “Il Signore insinua manifestamente che i successori di Pietro non devieranno mai, in nessun momento, dalla fede cattolica, ma piuttosto richiameranno gli altri e rafforzeranno anche gli esitanti” (Denz.-S. 775)”[3].
La risposta alla domanda che mi è stata rivolta.
Porfiri chiude la sua replica chiedendomi se non sia io a essere caduto in contraddizione.
Avevo infatti cercato di evidenziare quanto sbagliato sia il modo di ragionare proposto dal mio interlocutore secondo cui un papa può insegnarci cose conformi alla Rivelazione, ma può anche insegnarci cose non conformi ad essa e perciò dobbiamo seguirlo soltanto nella misura in cui egli ci porta a Cristo. Sbagliato perché presuppone che il possesso dell’autorità pontificia è compatibile con insegnamenti che conducono le anime lontano dalla salvezza e perché porta il fedele a “scivolare” verso una mentalità protestante. Per noi cattolici è il papa[4] che dice ai fedeli se una dottrina è conforme o non è conforme alla Rivelazione e non (come suggerisce Porfiri) i fedeli a stabilire se le dottrine insegnate dal papa sono conformi o meno alla Rivelazione.
Ma se un papa va seguito sempre – mi chiede allora Porfiri – come si spiegano i miei precedenti interventi su Duc in altum in cui io critico negativamente l’operato di “tutti gli ultimi Papi”? Non è che le mie “belle affermazioni” sul papato (il dire che esso è un tesoro preziosissimo, ecc.) debbano essere intese come dette “per assurdo”, come io ho sostenuto debba essere inteso l’anatema di San Paolo in Galati 1, 8?
Rispondo: no.
Le mie affermazioni sul papato – contrariamente all’anatema di san Paolo – non devono essere intese per assurdo. E davvero, per me, un papa come papa non può dare alla Chiesa del veleno e pertanto va sempre seguito. Io non ho mai criticato il magistero di un papa. Il mio evidenziare, nei miei precedenti interventi, le cose che Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco[5] hanno fatto contro la fede cattolica non è in contraddizione col fatto che un papa vada sempre seguito, perché non si tratta di veri papi. Il Signore non può comunicare l’autorità pontificia a chi non vuole il bene della Chiesa, a chi vuole distruggerla (perché altrimenti vorrebbe dire che il Signore è unito a qualcuno che vuole distruggere la Sua Chiesa e vuole portare le anime lontano dalla salvezza). Il Signore non è dissociato dal suo Vicario, ma unito ad esso. Il Signore è sempre col papa. Lo ha promesso Lui stesso. Lo esige la nostra fede.
Chiudo proponendo a Porfiri e ai lettori di Duc in altum, soprattutto a quelli più tentati e condizionati da certa pessima “teologia” e da certe pessime “dottrine” sul papato tanto diffuse ai giorni nostri anche negli ambienti tradizionalisti e volte a restringere il potere e le prerogative papali[6], la lettura delle parole che sul Tu es Petrus in occasione del Giubileo pontificale di Leone XIII pronunciò quel santo cardinale che successivamente avrebbe portato come Romano Pontefice il nome di Pio X, Giuseppe Sarto:
“Quando Gesù disse a Pietro, e in lui a tutti i suoi successori: Tu es Petrus et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam (Matt. XVI, 18) ha indicato chiaramente, che il Papa ha verso i fedeli, che formano la Chiesa, gli stessi rapporti che ha il fondamento verso l’edificio. Tolto il fondamento, la fabbrica va in rovina. Nel costituirlo poi capo di tutta la Chiesa non solo lo designò come fondamento di essa, ma come padrone assoluto, poiché gli disse, che a lui avrebbe date le chiavi del regno dei cieli: […] ma le chiavi sono simbolo del potere, e chi le tiene rappresenta il pieno dominio, dunque il Papa, come Gesù, può benissimo ripetere: chi non è meco, è contro di me […]. Quindi chi non è col Papa colla illimitata obbedienza, colla perfetta adesione di mente e di cuore, con attaccamento filiale, con devozione profonda, con rispetto sincero in tutto e sempre, senza distinzioni, senza restrizioni, senza esitanze, per somma sciagura è pure contro Gesù Cristo”[7].
Si tratta di un assaggio di ciò che tutti i buoni cattolici all’epoca pensavano del papa, del papato. Nell’ascoltare queste parole, come quelle di san Giovanni Bosco, si respira l’aria fresca della fede. Il modernismo muove da più di cento anni una guerra furibonda contro questa visione delle cose. Ma ciò che oggi più deve stupire e amareggiare è che, dopo il Vaticano II, contro di essa si sia schierata larga parte del tradizionalismo cattolico.
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[1] Evidenzio ai lettori, a scanso di equivoci, che nella nostra discussione io e Porfiri non stiamo parlando di uno specifico papa, ma di ogni papa.
[2] Cfr. https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/audiences/1992/documents/hf_jp-ii_aud_19921202.html , § 1.
[3] Cfr. https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/audiences/1992/documents/hf_jp-ii_aud_19921202.html, § 3.
[4] Che va seguito sempre, perché non può mai mettere in pericolo la nostra salvezza. Per “sempre”, naturalmente, si intende quando parla come papa, cioè come Maestro di tutti i cristiani, insegnando cose in materia di fede o di morale a tutta la Chiesa. Non quando parla come persona privata o come dottore privato.
[5] Si noti che anche nel mio ultimo intervento ho detto che Francesco non è un successore di Pietro.
[6] Magari reputando di erodere terreno ai “papi” modernisti, che sono però grandi nemici del papato.
[7] Citato da G. Vian, La riforma della Chiesa per la restaurazione cristiana della società. Le visite apostoliche delle diocesi e dei seminari d’Italia promosse durante il pontificato di Pio X (1903-1914), Roma, 1998, pp. 284-285.