La Cina comunista alla conquista dell’America Latina
di Julio Loredo
Qualche anno fa un caro amico, già ministro degli Esteri del suo Paese, mi spiegava che la Cina ha una politica estera “bismarckiana”. Il veterano diplomatico intendeva con questo un piano strategico di dominio a cui vengono subordinate tutte le risorse del Paese. Mentre, però, le ambizioni del Cancelliere di Ferro si fermavano alla costituzione di un Reich in ambito europeo, quelle dei mandarini si estendono ubique terrarum, e comprendono il campo economico, politico, culturale, sociale e perfino religioso. Il tutto integrato in un unico progetto imperialista diretto dal Partito comunista cinese, del quale il Governo di Pechino è espressione.
È uscito di recente un interessante studio che analizza un aspetto di questo progetto: i rapporti fra il Partito comunista cinese e i partiti politici latinoamericani. Pubblicato dalla Konrad Adenauer Stiftung, il think tank della Cdu tedesca, è scritto da Juan Pablo Cardenal, già autore di vari libri sull’argomento: «El arte de hacer amigos. Cómo el Partido Comunista chino seduce a los partidos políticos en América Latina – L’arte di farsi degli amici. Come il Partito Comunista Cinese seduce i partiti politici dell’America Latina» (Konrad Adenauer Stiftung, Montevideo, 2020).
Rapporti di “amicizia e cooperazione”
Nell’aprile 2020, mentre il mondo iniziava a fare i conti con la devastante pandemia da Covid-19 (originatasi proprio in Cina), il Partito comunista cinese (Pcc) promosse una Dichiarazione dei partiti politici di tutto il mondo al fine di affrontare insieme il pericolo. La Dichiarazione esaltava gli sforzi della Cina nel controllare la pandemia, ringraziandola vivamente per gli aiuti sanitari inviati ai popoli del mondo. La Cina si presentava come una “Grande Madre” che veniva in soccorso dei suoi pargoli. Secondo Qiushi, la rivista di teoria politica del Pcc, la Dichiarazione fu sottoscritta da più di 240 partiti di 110 Paesi, che si impegnarono a utilizzare le proprie risorse propagandistiche per diffondere la versione cinese degli avvenimenti, confutando nel contempo la “propaganda occidentale anti-cinese”.[1] L’iniziativa ricevette inoltre l’adesione di più di seicento leader di 130 Paesi.[2]
Una cinquantina di associazioni comuniste e socialiste latinoamericane aderì all’iniziativa, compreso il Foro di San Paolo (che a sua volta ingloba più di cento associazioni di sinistra). Secondo Fu Jie, vicedirettrice dell’Ufficio per l’America Latina e i Caraibi del Dipartimento Internazionale del Comitato Centrale del Partito comunista cinese, la Dichiarazione “ha stretto ulteriormente i legami di amicizia e di cooperazione con i partiti politici latinoamericani”.[3] Commenta Cardenal: “Nel linguaggio del regime cinese, l’amicizia ha sempre un significato politico e riguarda i rapporti strategici, mai quelli personali. Non è mai disinteressata”[4].
Il successo diplomatico della Cina colse di sorpresa più di un osservatore. “I vincoli [tra il Pcc e i partiti latinoamericani] – spiega Cardenal – sono spesso fuori dai radar e passano per lo più inavvertiti da buona parte delle élite politiche, accademiche e giornalistiche dell’America Latina. Ma esistono da diversi decenni”. Il primo a siglare un accordo con Pechino fu il Partito comunista brasiliano nel 1953, cioè quattro anni dopo la costituzione della Repubblica popolare. Nel 1959, erano già venti i partiti latinoamericani a intrattenere stretti rapporti con la Cina. Cosa che, secondo Cardenal, “contribuì a tirar la Cina fuori dal suo isolamento nel mondo occidentale”[5].
La rete di “amicizia e cooperazione” del Pcc in America Latina non si limita però alla sinistra. Pure alcuni partiti di centro, come il Copei venezuelano e perfino di centro-destra come il Partito conservatore di Colombia, sono legati a Pechino. Afferma Cardenal: “Oggi, senza distinzione ideologica di nessun tipo, il Partito comunista cinese intrattiene rapporti diretti con più di 130 partiti e organizzazioni politiche in America Latina, nonché con organismi come l’Organizzazione Cristiano Democratica di America, che rappresentano nell’insieme 226 partiti e organizzazioni politiche”[6].
Seducendo i latinoamericani
“I rapporti istituzionali tra il Pcc e le sue controparti in America Latina – spiega Cardenal – si intrecciano durante le numerosissime visite di delegazioni di membri di partiti politici latinoamericani in Cina, con tutte le spese pagate”. Queste delegazioni viaggiano in classe business, sono alloggiate in alberghi cinque stelle, mangiano nei migliori ristoranti e “sono omaggiati con le migliori attenzioni della leggendaria ospitalità cinese”. Condotte da guide esperte che parlano un perfetto spagnolo (in realtà agenti del Pcc), le delegazioni fanno visite mirate a fabbriche, shopping center, grattacieli e altri simboli della moderna potenza cinese. Ben possiamo immaginare l’effetto di un tal viaggio sui latinoamericani, spesso di umili origini. Racconta un diplomatico latinoamericano: “I cinesi comprano i mediocri portandoli in Cina, dove mostrano loro la maestosità del Paese. Se hai poco mondo, è facile cadere in ginocchio”[7].
La Cina utilizza il suo enorme potenziale economico (frutto della cecità dell’Occidente che ha creato dal nulla questo colosso asiatico, trasferendovi soldi e tecnologia), per sedurre i latinoamericani: “Per le élite economiche e politiche latinoamericane il gigante asiatico è percepito non solo come ineludibile, ma anche come fonte di opportunità che altri non possono offrire. (…) L’influenza politica risultante dal suo potere economico permette a Pechino di esercitare un potere morbido, che in realtà è un potere incisivo che trasmette i valori nocivi che emanano dal suo sistema autoritario”[8].
Una curiosa conseguenza di questa ingente campagna di seduzione è che cresce, anno dopo anno, il numero di dirigenti latinoamericani che trascorrono le vacanze in Cina.
Una speciale attenzione è rivolta ai giovani. Di ciò si occupa particolarmente la Lega della gioventù comunista del Pcc, che si prodiga per stabilire rapporti con le sue controparti latinoamericane, distribuendo a mani piene borse di studio per studiare in Cina.
Dall’altra parte, c’è un continuo pellegrinaggio di delegazioni cinesi in America Latina, che rafforzano i rapporti con i vari “amici”, identificano nuovi contatti, e impartiscono corsi di formazione politica. Questi corsi servono non solo per educare i partecipanti all’ideologia marxista-leninista, ma anche per insegnare loro le tecniche della propaganda tesa a “diffondere un’immagine cordiale della Cina e stabilire un’equivalenza morale fra il Pcc e i partiti democratici occidentali”. Oltre ai corsi di formazione politica, indirizzati a persone già motivate, le delegazioni cinesi organizzano eventi aperti al pubblico, “conferenze, convegni e seminari sui temi prioritari nell’agenda di Pechino” [9].
Il Pcc organizza corsi di formazione politica nella stessa Cina, ai quali partecipano (con tutte le spesse pagate) “giovani leader e militanti politici latinoamericani”. Durante le restrizioni sanitarie, molti di questi corsi si sono realizzati in modo virtuale. Commenta Cardenal: “Per la stessa natura delle videoconferenze, la portata degli eventi organizzati dal Pcc, così come la loro visibilità mediatica, è aumentata significativamente. Di conseguenza, è aumentato il peso della sua diplomazia”[10]. In altre parole, ha approfittato della pandemia per accrescere la propria influenza. Secondo i dati del Dipartimento Internazionale del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, fra il 2010 e il 2020, il Pcc ha realizzato 326 corsi di formazione politica indirizzati a un pubblico latinoamericano.
Un aspetto per niente trascurabile della crescente influenza cinese è la penetrazione nei media latinoamericani, fatta “a suon di assegni” e tesa a “sedurre e attrarre le élite locali perché appoggino la causa e gli interessi della Cina”. Questa penetrazione è “ispirata, sorvegliata ed eseguita dal Partito comunista cinese”[11].
Come tutto ciò che riguarda la Cina, “è importante capire che queste iniziative fanno parte di una strategia più ampia, la cui finalità è aumentare l’influenza politica di questo Paese asiatico”[12].
Influenza politica diretta
Nel 2017, il Pcc organizzò a Pechino un incontro internazionale che radunò più di trecento dirigenti politici di centoventi Paesi. Nel corso di questo incontro, Xi Jinping svelò un progetto per invitare in Cina quindicimila dirigenti politici nei successivi cinque anni. L’incontro approvò un Documento Finale che, tra l’altro, dichiarava: “Lodiamo l’enorme sforzo e la grande contribuzione del Partito comunista cinese, e del suo leader Xi Jinping, a costruire una comunità per un futuro condiviso in un mondo pacifico”[13].
Nello stesso 2017, nella città di Shenzhen, si creò il Foro dei partiti politici Cina-Comunità di Stati latinoamericani e caraibici, con l’iniziale partecipazione di cinquantotto partiti politici della regione.
Scrive Cardenal: “Questa favolosa rete di amicizie fornisce ai comunisti cinesi un tesoro strategico, nella forma di interlocutori leali e influenti in tutto il continente”[14]. Molti di questi interlocutori hanno poi scalato posizioni nella politica dei rispettivi Paesi, fino a diventare ministri o perfino presidenti. Oggi sono venti i presidenti latinoamericani che si possono definire “amici” della Cina comunista.
Questo enorme potere diplomatico permette alla Cina di intervenire, anche in modo diretto, nella politica interna dei Paesi latinoamericani. Cardenal menziona diversi casi, come ad esempio quello dell’Apra in Perù e del Partito Colorado in Uruguay, la cui linea politica è stata più volte dettata direttamente dall’ambasciatore cinese. In diversi Parlamenti della regione si sono costituiti “Gruppi di amicizia con la Cina”, profumatamente finanziati da Pechino. Ovviamente, tale generosità è subordinata al fatto che questi “amici” non sollevino nessuna obiezione sulla violazione dei diritti umani, la tirannia del partito unico, la persecuzione religiosa e via dicendo.
Il deputato socialista cileno Jaime Naranjo, critico della dittatura cinese, ha denunciato questa situazione: “Ti aiutano purché tu non critichi i loro interessi economici e politici. Se, però, allerti sulla situazione politica interna alla Cina, se menzioni le gravi violazioni dei diritti umani, allora cadi in disgrazia. Niente è gratis”[15]. L’intervento di Pechino negli affari interni latinoamericani è a volte sfacciato: “Tutte le volte che nel Parlamento [cileno] si discute una mozione che riguarda la Cina, per esempio la situazione a Hong Kong, l’ambasciatore cinese convoca i parlamentari amici e dice loro come votare”[16].
La politica estera cinese è dettata dal Partito comunista. Il ministero degli Esteri svolge un ruolo subordinato. La rete di amicizie in America Latina è funzionale all’appoggio alla politica estera di Pechino.
La tentazione totalitaria
Oltre ai risultati politici e strategici dell’espansionismo cinese, Cardenal solleva un punto nevralgico. A forza di schierarsi con le posizioni di Pechino, molti leader latinoamericani “finiscono per convincersi della superiorità dei valori del Partito comunista. (…) È un’esaltazione del modello autoritario cinese e della forza del sistema a partito unico, per esempio nella lotta contro la povertà”[17].
Il Pcc sventola a destra e a manca le sue supposte conquiste per sradicare la povertà, offrendo ai Paesi latinoamericani ingenti aiuti nel caso vogliano percorrere la stessa strada. Questo, secondo Cardenal, è “musica celestiale” per le orecchie latinoamericane. Ovviamente, il modello cinese ha come asse il potere assoluto del Partito comunista: “Si insiste sull’idea che la leadership del Pcc è la garanzia fondamentale per alleviare la povertà”. Nel corso di un recente convegno, lo stesso Xi Jinping ha dichiarato: “Il socialismo con caratteristiche cinesi apre una strada nuova per la modernizzazione dei Paesi in via di sviluppo”[18].
Proprio per la grande accoglienza che ha riscontrato in America Latina, il Pcc ha potuto avanzare in modo più sfrontato che in altre regioni, dove la propaganda ideologica è più prudente. È il caso dell’Europa centrale dove, per ovvi motivi, la propaganda cinese evita di parlare di comunismo, ponendo l’accento invece sui legami economici. Un elemento centrale di questa propaganda è la “Nuova Via della Seta”, un mega progetto per creare infrastrutture e corridoi commerciali con l’Occidente. È interessante notare che il ruolo protagonista nella promozione di questo progetto lo ricopre il Dipartimento Internazionale del Pcc. Tradotto in spicciolo: la Nuova Via della Seta è uno strumento della politica estera del Partito comunista cinese.
Un aspetto appena accennato da Cardenal riguarda le ricadute militari. Per menzionare appena il caso argentino, la Cina oggi possiede una base militare nella Patagonia così segreta che nemmeno le autorità argentine vi sono ammesse. Un paio di anni fa, il presidente Alberto Fernández chiese maggiore trasparenza. Immediata la reazione di Pechino, che minacciò di sospendere tutti gli accordi commerciali con Buenos Aires. Fernández dovette piegare la testa. Sembra che gli argentini si siano liberati dalla dittatura militare, solo per cadere in quella dei mandarini di Pechino.
Questo ci permette di chiudere l’articolo con una domanda. La sinistra latinoamericana è prodiga in critiche contro le odiate dittature militari del passato. Perché adesso non dice niente sul crescente dominio della dittatura cinese?
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[1] Curiosamente, la lista completa dei firmatari non è mai stata resa pubblica.
[2] “Uniting Political Parties Worldwide to Cooperate in the Global Fight against Covid-19 Pandemic”, China Insight, Special Issue on CPC’s 99th Anniversary, 2020. Cardenal, op. cit., p. 4.
[3] Intervista alla televisione statale cinese. “Intercambios en la nube. Fu Jie afirma que es en tempos difíciles cuando se comprueba la amistad verdadera entre amigos”, CGTN, 22 settembre 2020. Cardenal, p. 4.
[4] Op. cit., p. 4.
[5] Ibid., p. 5. Il fattore principale che tirò la Cina comunista fuori dall’isolamento internazionale fu il controverso viaggio del presidente statunitense Richard Nixon a Pechino nel 1972.
[6] Ibid., p. 5.
[7] Ibid., pp. 5, 8.
[8] Ibid. p. 6. Si sta usando sempre di più l’espressione “potere incisivo” (Sharp Power) per riferirsi agli atteggiamenti autoritari nel mondo moderno. Cfr. Christopher Walker, Jessica Ludwig et al, “Sharp Power. Rising Authoritarian Influence in the Democratic World”, National Endowment for Democracy, 2017.
[9] Ibid., p. 6.
[10] Ibid., p. 5.
[11] Ibid., p. 6
[12] Ibid., p. 6.
[13] Tin Shi, “China Gets 300 Political Parties to Endorse Xi as Peacemaker”. Blommberg, 4 dicembre 2017. Cardenal, op. cit., p. 6.
[14] Ibid., p. 8.
[15] Intervista concessa da Jaime Naranjo all’autore. Op. cit., p. 15.
[16] Ibid.
[17] Ibid., p. 10.
[18] Simon Denyer, “Move over, America. China now presents itself as the model blazing a new trail for the world”, The Washington Post, 19 ottobre 2017. Cardenal, op. cit. p.
Fonte: atfp.it