Monsignor Viganò / “Parole chiare sulla Chiesa”: le giuste domande e le giuste risposte
Astiterunt reges terræ, et principes convenerunt in unum,
adversus Dominum, et adversus Christum ejus.
Sal 2, 2
di monsignor Carlo Maria Viganò
Se non conoscessimo la vera Religione e volessimo identificarla tra le tante, sarebbe sufficiente vedere quante e quali persecuzioni abbia subito la Chiesa di Cristo nel corso dei secoli, e massimamente in questo momento di generale apostasia, per comprendere come essa sia ferocemente combattuta a causa della sua estraneità alla mentalità del mondo, non fosse che per il fine soprannaturale che si prefigge. Essa è nel mondo ma non del mondo; composta da uomini, ma non umana; offuscata dai peccati dei suoi membri, ma pur sempre santa e immacolata. Se hanno perseguitato Me, perseguiteranno anche voi (Gv 15, 20): le parole del Signore non lasciano dubbi sul destino che attende, in una società ribelle e anticristica, i seguaci di Cristo. Un discepolo non è più grande del maestro, né un servo è più grande del suo signore (Mt 10, 24). E come il Capo divino della Chiesa ha voluto percorrere la via della Croce, così anche il Corpo Mistico dovrà affrontare la passio Ecclesiæ per poter poi risorgere anch’esso. Questa, a mio parere, è la “lente teologica” con cui leggere l’interessante saggio a più mani Parole chiare sulla Chiesa. Perché c’è una crisi, dove nasce e come uscirne, a cura di don Daniele Di Sorco, con postfazione di Aldo Maria Valli (Edizioni Radio Spada).
Il libro si apre con una osservazione pertinentissima: ciò che connota la crisi presente, a differenza di tutte quelle dei secoli passati, è che essa sia stata provocata e alimentata dalla Gerarchia, ossia da coloro che sono gerarchicamente costituiti in autorità allo scopo di governare la Chiesa e santificarne le membra. E, altra osservazione assolutamente condivisibile: la crisi presente non è stata causata da Bergoglio, come se Benedetto XVI e i suoi immediati Predecessori fossero stati degli integerrimi difensori del Depositum Fidei. Questo sano realismo degli Autori fuga e sconfessa non pochi equivoci oggi presenti tra i Cattolici, anche in materia di abdicazione di Benedetto XVI e di Sede impedita.
La corruzione dell’autorità – che nella sfera civile si è radicalizzata a partire dalla Rivoluzione Francese – si è estesa al corpo ecclesiale nel momento in cui i Pastori hanno fatto propri i principi massonici del 1789. Ed è significativo che la Rivoluzione conciliare abbia seguito quasi pedissequamente il metodo eversivo di infiltrazione già sperimentato per distruggere le Monarchie cattoliche, ad iniziare dal far nominare Ministri e funzionari obbedienti alle Logge pur lasciando apparentemente regnare i legittimi sovrani. Questo fenomeno, che avrebbe portato alla dissoluzione dello Stato e alla corruzione dei suoi esponenti, doveva consentire di screditare i governanti e con essi l’istituzione che rappresentavano, in modo da avere un pretesto per condurre al rovesciamento dei Regni e all’instaurazione di regimi sedicenti democratici, in cui il potere è usato per lo scopo opposto a quello per il quale è stato voluto da Dio.
Guardare a eventi politici in ambito civile per giudicare eventi religiosi in ambito ecclesiastico non significa avere una visione orizzontale, né negare alla Santa Chiesa quelle specialissime protezioni soprannaturali di cui l’ha dotata il suo divino Fondatore. Significa piuttosto saper comprendere come l’autorità terrena – teologicamente derivante dalla suprema autorità di Cristo Re e Pontefice e di questa espressione vicaria – possa ribellarsi a Colui che la ratifica e la legittima; perché chi ricopre posizioni di governo rimane comunque libero – materialmente, anche se non moralmente – di disobbedire a Dio. Per questo, come evidenziano gli Autori di questo saggio, l’autorità del Papa può essere usata fraudolentemente per tacere o negare delle Verità dottrinali, non perché egli abbia il potere di farlo, ma perché chi siede sul Soglio di Pietro abusa del prestigio e dell’autorevolezza del Papato, senza dover ricorrere a definizioni infallibili, cosa che sarebbe peraltro teologicamente impossibile in ragione dell’assistenza dello Spirito Santo.
Dopo aver letto questo volume, ciò che dobbiamo chiederci come fedeli Cattolici e devoti figli del Papato non è tanto se questo o quel Papa abbiano infranto questo o quel Canone, quasi temessimo di veder crollare il dogma dell’infallibilità pontificia davanti alle loro esternazioni eretiche: sappiamo che l’infallibilità papale opera in un perimetro estremamente limitato, e questo saggio ci ricorda con chiarezza che la persona insignita del Papato può anche agire e parlare a titolo personale, tanto nel bene quanto nel male. Ciò che occorre piuttosto comprendere è come si sia venuto a creare nella Chiesa il “clima” che ha reso possibile a un eretico di essere ordinato sacerdote, consacrato Vescovo, creato Cardinale e infine di essere eletto Papa; come sia stato possibile, a pochi decenni dalla condanna del Modernismo da parte di San Pio X, che i Padri conciliari potessero ratificare documenti che, pur non essendo teologicamente vincolanti ma solo di portata “pastorale”, avevano comunque l’autorevolezza di un Concilio Ecumenico, usata per cancellare o indebolire duemila anni di Magistero cattolico. E se gli Autori di Parole chiare sulla Chiesa riconoscono che i documenti “magisteriali” del Vaticano II e del postconcilio «hanno l’apparenza e la forma esteriore di un atto del magistero, ma in realtà non lo sono» (pag. 64), avendo come oggetto l’errore, dovremmo riconoscere l’indole eversiva di tali atti, e con essi la volontà eversiva di chi li ha deliberatamente concepiti in modo equivoco per poterli far approvare dai Padri e imporli ai fedeli con gli effetti dirompenti che abbiamo sotto gli occhi.
Da queste considerazione deriva la necessità di prendere atto della crisi, unica nel suo genere e nella sua valenza devastante, dinanzi alla quale «l’unica scelta prudente è quella di sospendere l’assenso e di attenersi agli insegnamenti sicuri che risalgono a prima della crisi, cioè a prima del Concilio Vaticano II» (pag. 67). Questa è stata la scelta di Mons. Marcel Lefebvre e della Fraternità San Pio X; questa è la scelta di molti Cattolici – chierici e laici – che ancor oggi vedono minacciata l’integrità della Fede, della Morale, della Liturgia da coloro che dovrebbero invece custodirla intatta e predicarla sine glossa. Se a questo desolante panorama di deviazioni dottrinali si aggiunge la constatazione dello stato di corruzione morale del Clero e addirittura dei vertici della Gerarchia – con Cardinali e Vescovi notoriamente fornicatori e scandalosi – si comprende come il processo dissolutorio del corpo ecclesiale in ambito dottrinale sia stato possibile grazie al traviamento dei chierici, non solo per via della loro ricattabilità, ma anche per quell’ottundimento della volontà che inevitabilmente contagia anche le facoltà dell’intelletto di chi vive in uno stato di peccato abituale. Non fu diversa la corruzione introdotta tra i membri dell’Aristocrazia francese, quale premessa della loro complicità ai piani della setta infame contro la Monarchia di Francia, o quella della nobiltà e della borghesia che sostennero i Savoia nell’invasione dei Regni pre-unitari all’epoca del cosiddetto Risorgimento.
Le due “dimensioni” in cui si muove la Chiesa militante – quella divina del suo Fondatore e quella umana dei suoi Vicari e Ministri – da un lato ci fanno comprendere la realtà di un attacco, anzi di un vero e proprio “colpo di stato” in seno alla Gerarchia; e dall’altro ci mostrano la protezione di cui gode l’Istituzione divina nell’affrontare il bonum certamen non solo a livello personale, ma anche come corpo sociale, come Corpo Mistico. Il che ci rassicura – per la promessa infallibile di Nostro Signore – che questi tempi di apostasia sono ineluttabilmente destinati a finire, nei tempi e nei modi che la Provvidenza di Dio ha stabilito. E non è, questo, un fatalistico abbandono alla sorte, ma uno sprone a combattere quotidianamente, ciascuno secondo il proprio stato, per la causa di Cristo e della Sua Chiesa, anche contro coloro che sciaguratamente abusano del proprio potere.
E qui arriviamo alla parte conclusiva del saggio, Un quadro della resistenza attuale al neo–modernismo (da pag. 131), in cui gli Autori analizzano le diverse realtà ecclesiali del composito mondo della Tradizione, spesso più inclini ad un prudente conservatorismo non scevro da compromessi. L’equivoco – lucidamente segnalato nel saggio – verte principalmente sull’accettazione implicita o esplicita degli errori e delle deviazioni del Vaticano II, quale controparte di una tolleranza della Liturgia tridentina che va peraltro progressivamente riducendosi, com’era prevedibile. Ma, a ben vedere, nella stessa scelta dei termini e delle locuzioni – forma straordinaria, usus antiquior – viene assunta a priori una visione che risente di quella ermeneutica della continuità sconfessata recentemente dallo stesso Card. Roche, Prefetto della Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti, il quale ha candidamente riconosciuto ciò che qualsiasi persona dotata di un barlume di buon senso poteva riscontrare sin dalla promulgazione del Novus Ordo: «Sapete che la teologia della Chiesa è cambiata. Prima il sacerdote rappresentava, a distanza, tutto il popolo, i cui membri erano canalizzati, per così dire, in questa persona che da sola celebrava la Messa. Ora, non è solo il sacerdote che celebra la liturgia, ma anche coloro che sono battezzati con lui. E questa è un’affermazione di enorme portata» (qui). Bastava leggere la versione originale della Institutio Generalis del Messale montiniano, all’art. 7, per cogliere in esso l’evidenza di una vera e propria eresia, così palese da esser poi frettolosamente raffazzonata per non rendere invalido il Santo Sacrificio: «La cena del Signore, o messa, è la sacra sinassi o assemblea del popolo di Dio, presieduta dal sacerdote, per celebrare il memoriale del Signore. Vale perciò eminentemente per questa assemblea locale della Santa Chiesa, la promessa del Cristo: “Là dove due o tre sono radunati nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt. XVIII, 20)» (qui e qui).
Sarebbe opportuno chiedersi come un testo che deve “dar forma” a un rito possa essere emendato lasciando intatto il rito che da esso è nato, e soprattutto come si possa negare il fondamento delle molteplici e autorevoli denunce, quando sono anzitutto i fautori del rito riformato a riconoscere la rottura tra pre e post Concilio, tra Vetus e Novus Ordo, tra “Chiesa preconciliare” e “chiesa postconciliare”.
In questo panorama, mi pare emerga – quantomeno negli Autori del saggio, se non nella Fraternità San Pio X a cui essi appartengono – la ferma determinazione a guardare con prudenza e legittimo sospetto le profferte romane di una presunta regolarizzazione canonica dell’Istituto fondato da Mons. Lefebvre. Ciò lascia sperare che permanga un gruppo di “resistenza” sufficientemente indipendente dal Vaticano da non dover temere le sue ritorsioni. Altre forme di opposizione non compromessa, come onestamente osservato, risentono inevitabilmente della situazione di crisi dell’autorità, né potrebbe essere altrimenti, sia per le difficoltà oggettive di organizzazione e di finanziamento, sia per la molteplicità di approcci e di risposte alla crisi ecclesiale presente. E penso il Lettore converrà sul fatto che questa parcellizzazione del dissenso – speculare a quella esistente in ambito sociale davanti all’azione eversiva dell’élite globalista – sia un’ulteriore conseguenza del disorientamento provocato dall’autorità stessa, la quale ha tutto l’interesse di tenere diviso il “nemico” per sfiancarlo, indebolirlo, renderlo innocuo.
Purtuttavia, anche dinanzi alle molteplici divisioni all’interno dello schieramento tradizionale, l’elemento unificante deve essere imprescindibilmente la condivisione della medesima Fede, la comune professione dell’unica Verità cattolica, senza cedere alla tentazione di abbandonare l’Arca della Salvezza stabilita da Cristo, per abbracciare comunità eterodosse che rifiutano la suprema Autorità del Romano Pontefice da ben prima che sul Soglio sedessero i controversi Papi conciliari. Dovremmo anzi pregare la divina Maestà – davanti all’apostasia anticristica che minaccia l’umanità intera – affinché coloro che sono separati dalla Comunione cattolica possano lasciarsi illuminare dalla Grazia di Dio e fare ritorno all’unico Ovile sotto l’unico Pastore. Ed ancor prima, dobbiamo pregare e far penitenza perché il flagello del presente “pontificato” – inflitto al corpo ecclesiale per purgarlo dalle sue infedeltà e dai suoi peccati – si concluda con un ritorno dei Pastori a Dio, riconoscendo la Sua Signoria prima di tutto nella propria vita, e di conseguenza nella vita della Chiesa e delle Nazioni.
Auspico che questo saggio possa contribuire a farci sentire sempre più spronati a proseguire nel cammino della santità, perché le membra della Chiesa siano degne del loro Capo, che per esse ha versato il Suo Sangue.
Carlo Maria Viganò, Arcivescovo
Feria Secunda Hebdomadæ Sanctæ
3 aprile 2023
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