L’uomo al posto di Dio. Anche nella Settimana Santa
di The Wanderer
Non solo noi blogger cattolici, ma anche i mass media sono ormai stufi di commentare le sciocchezze che papa Francesco ci propina quasi quotidianamente. Quello che dice e quello che fa non ha quasi più eco e lui, disperato per l’oblio in cui è stato relegato (le telecamere creano dipendenza), si preoccupa di fare e dire sempre più spesso fesserie (stronzate, come le ha chiamate il cardinale Müller). Per questo motivo, credo che non abbia senso commentare le sue ultime fesserie pronunciate durante il programma Amen. Francesco risponde presso gli studi Disney. Sono le stesse vecchie solfe, come le ha dette nell’omelia della Messa crismale dello scorso giovedì santo, e continuerà a farlo fino alla morte ripetendo il suo limitato repertorio. Poco dopo l’inizio del suo pontificato, in questo blog ci siamo chiesti cosa avrebbe fatto Bergoglio quando avesse esaurito le sue munizioni di “bergogliate” e idee dozzinali di bassa portata teologica. Ora lo sappiamo: le ripeterà a oltranza, in continuazione.
I giornalisti, forse per il complesso progressista che sempre li accompagna, o per stupidità cronica, o per imitazione, tendono sempre a dilettarsi nel raccontare quegli episodi in cui qualche personalità di alto profilo, e se si tratta di reali ancora meglio, “infrange il protocollo”. Gongolano quando il re d’Inghilterra o il presidente dell’Argentina “rompono il protocollo”; quando mostrano la loro indipendenza rispetto alle regole e alle cerimonie ricevute dalla tradizione, quando si rendono “vicini” al popolo. Con papa Francesco ne hanno avuto abbastanza per fare il dulce de leche [dolce tipico argentino, di cui Bergoglio è ghiotto] che, con tutto quello zucchero, è di per sé immangiabile. Se chi deve rispettare un certo protocollo lo infrange sempre, allora il protocollo cessa di esistere. E quello che fa finisce per essere una buffonata o un’eccentricità che non interessa a nessuno.
Una delle prime occasioni in cui papa Francesco ha infranto le regole è stata quando, appena eletto, nel 2013 ha celebrato la Messa del giovedì santo in Coena Domini in un carcere, e ha lavato i piedi a dodici detenuti. E negli anni successivi ha fatto lo stesso, raccogliendo una collezione molto ricca e diversificata di piedi lavati e baciati: di uomini e donne; di cristiani e musulmani.
Al di là della violenza liturgica di questo fatto, che è abbastanza evidente, c’è un significato più profondo che merita di essere esplorato. La cerimonia della lavanda dei piedi è diventata, per il pubblico laico e per i cattolici poco istruiti, la parte più importante della Missa in Coena Domini. Molto più distante è la processione con il Santissimo Sacramento, la spogliazione dell’altare o il canto del Gloria con le campane in festa. E questo accade da decenni. Bergoglio, conoscendo il carattere straordinario del gesto, si è preoccupato, fin dal suo pontificato a Buenos Aires, di rappresentarlo con particolare dedizione. Ma la verità è che la lavanda dei piedi, o il mandatum nel rito romano, fino alla riforma della Settimana Santa del 1955 veniva fatta dopo la fine della messa, e fuori dalla chiesa. In questo modo, la messa non veniva interrotta e i laici non venivano fatti entrare nel coro durante gli uffici, e veniva rispettata la successione cronologica descritta nei Vangeli. In altre parole, si trattava di un rito “supplementare” e probabilmente frequentato da pochissime persone. Dandogli la centralità che occupa nel rito di Paolo VI e dandogli la spettacolarità che Francesco, e tanti altri pretini che lo imitano, gli conferiscono, c’è una (ulteriore) chiara “svolta antropologica” nella liturgia, che diventa una mera celebrazione comunitaria dedicata a celebrare l’uomo.
La Settimana Santa ci offre diversi esempi di questo tipo. La Via Crucis al Colosseo, che per il cattolico medio ha più importanza della celebrazione liturgica della Passione del Signore, è diventata per gli ultimi papi l’occasione di esibire le loro fantasticherie. Quella celebrata lo scorso Venerdì Santo aveva come tema le guerre e i perseguitati nel mondo. Nessuno mette in dubbio l’importanza di questi drammi che da sempre affliggono l’umanità, ma il problema è che in questo modo si trascura totalmente il vero dramma della Passione: un Dio fatto uomo che muore sulla croce per liberare l’uomo dalla condanna e aprirgli così le porte del cielo. Il fatto centrale della nostra fede finisce per diventare una sorta di parabola o di racconto in cui riflettere i problemi del presente. [Annotazione a margine: papa Francesco non ha partecipato perché, è stato detto, faceva molto freddo. A Roma al momento della Via Crucis c’erano dodici gradi: molto freddo?].
Purtroppo, la Settimana Santa e le sue cerimonie sono diventate nella nuova liturgia solo buone occasioni per celebrare l’uomo. Del dramma cosmico – il Dio creatore e datore di vita si lascia uccidere e giace in una tomba – che stupisce “gli esseri che abitano sulla terra e sotto la terra”, nessuno dice nulla. Del trionfo della Risurrezione, ovvero del Dio-Uomo che con la sua morte calpesta la morte e dà vita a coloro che abitano nei sepolcri, men che meno: sarebbe sbagliato affermare una tale ingenuità; la risurrezione di Cristo era simbolica, insegnano in molte università cattoliche. Ma come ci dice la liturgia di questi giorni: “Ora siate coraggiosi e abbiate fiducia, o popolo di Dio, perché Egli combatterà i nostri nemici, perché è Onnipotente”.
Fonte: caminante-wanderer.blogspot.com
Titolo originale: El giro antropológico
Traduzione di Valentina Lazzari
La foto è stata pubblicata da caminante-wanderer.blogspot.com con il titolo ¿Alegría pascual o pepinillos en vinagre? (Gioia pasquale o cetriolini sottaceto?)