di Vincenzo Rizza
Caro Aldo Maria,
l’ineffabile monsignor Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita, dopo aver dichiarato mesi fa che la legge sull’aborto costituisce un “pilastro della nostra vita sociale”, ha recentemente dichiarato, durante il Festival internazionale del giornalismo a Perugia, nell’ambito di un dibattito sull’eutanasia, che “non è da escludersi che nella nostra società sia praticabile una mediazione giuridica che consenta l’assistenza al suicidio nelle condizioni precisate dalla Sentenza 242/2019 della Corte costituzionale: la persona deve essere ‘tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli’… Personalmente non praticherei l’assistenza al suicidio, ma comprendo che una mediazione giuridica possa costituire il maggior bene comune concretamente possibile nelle condizioni in cui ci troviamo” (Il Riformista).
L’avventatezza della dichiarazione ha costretto l’ufficio stampa della Pontificia accademia per la vita a precisare che “monsignor Paglia [bontà sua, N.d.R.] ribadisce il suo ‘no’ nei confronti dell’eutanasia e del suicidio assistito, in piena adesione al Magistero”, confermando, tuttavia, che ad avviso dello stesso monsignor Paglia “è possibile una “mediazione giuridica” (non certo morale) nella direzione indicata dalla Sentenza, mantenendo il reato [di assistenza al suicidio] e le condizioni in cui si depenalizza, in quanto la medesima Corte Costituzionale ha chiesto al Parlamento di legiferare” (Vatican News).
Una prima considerazione è dovuta (anche se banale): l’attuale pontefice potrà anche avere (come tutti noi) tanti difetti, ma non gli manca certo il senso dell’umorismo e la predilezione per il nonsense. Solo così si spiega la scelta di nominare nel 2016 presidente della Pontificia accademia per la vita e gran cancelliere del Pontificio istituto Giovanni Paolo II un monsignore che rilascia dichiarazioni avventate e contrarie, in tema di Vita, al secolare insegnamento della Chiesa e al più recente insegnamento di san Giovanni Paolo II. D’altro canto la vena umoristica del Santo Padre è stata recentemente ribadita dal motu proprio che limita la possibilità di celebrare la messa vetus ordo, beffardamente intitolato Traditionis custodes.
Ritornando, tuttavia, alle richiamate recenti dichiarazioni di monsignor Paglia, non stupisce l’affermazione iniziale contenuta nel suo discorso per cui “la Chiesa cattolica non è che abbia un pacchetto di verità prêt-à-porter, preconfezionate, come se fosse un distributore di pillole di verità. Il pensiero teologico si evolve nella storia, in dialogo con il Magistero e con il vissuto del popolo di Dio (sensus fidei fidelium), in una dinamica di reciproco arricchimento”.
La buona battaglia combattuta da papa Benedetto XVI contro il relativismo imperante è, si spera solo momentaneamente, perduta e buona parte della Chiesa è sempre più attratta dal pensiero mondano e dall’esigenza di compiacere le élìte dominanti o quanto meno di non disturbare troppo le coscienze anche rinunciando al proprio ruolo di guida nella Fede e nella Verità. Non è certo un caso che la precisazione dell’ufficio stampa nulla riferisca con riguardo a questa affermazione che di fatto nega l’esistenza di principi non negoziabili, dimenticando che Qualcuno un tempo disse “Io sono la Via, la Verità e la Vita” (ma, è noto, al tempo di Gesù non c’erano i registratori).
Stupisce, invece, il richiamo alla sentenza n. 242/2019 della Corte costituzionale, presa a modello, perfino nella precisazione dell’ufficio stampa (quando la pezza è peggiore del buco!) per un auspicato intervento del legislatore in tema di suicidio assistito. Monsignor Paglia cita espressamente il passaggio della sentenza in cui si dice che l’assistenza al suicidio possa ritenersi non punibile se la persona sia “tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”, implicitamente richiamando il principio per cui nessuno può essere sottoposto a trattamento sanitario senza il suo consenso (salvo casi eccezionali) e pertanto il diritto del malato a rifiutare le cure.
Il problema, tuttavia, consiste nel fatto che la Corte costituzionale non si limita a richiamare “l’obbligo di rispettare la decisione del malato di porre fine alla propria esistenza tramite l’interruzione dei trattamenti sanitari – anche quando ciò richieda una condotta attiva, almeno sul piano naturalistico, da parte di terzi (quale il distacco o lo spegnimento di un macchinario, accompagnato dalla somministrazione di una sedazione profonda continua e di una terapia del dolore) –“, ma aggiunge che non vi sarebbe ragione per escludere la possibilità di accogliere la “richiesta del malato di un aiuto che valga a sottrarlo al decorso più lento conseguente all’anzidetta interruzione dei presidi di sostegno vitale”.
In sostanza la Corte costituzionale non legittima solo la condotta di chi si limiti a terminare il trattamento sanitario non più voluto dal paziente pienamente capace di intendere e di volere, eventualmente applicando una terapia del dolore che allevi le sofferenze, ma anche la condotta di chi volutamente acceleri il percorso che condurrà alla morte del paziente con un comportamento attivo volto a procurare in anticipo la morte naturale (ad esempio tramite un’iniezione letale). In definitiva si legittima quello che un tempo si sarebbe semplicemente chiamato omicidio del consenziente (la finestra di Overton applicata alla morte).
Non c’è che dire; un bel passo avanti per il magistero della Chiesa dimenticare la sacralità della vita e auspicare una “mediazione giuridica (non certo morale) nella direzione indicata dalla Sentenza” della Corte costituzionale per autorizzare un omicidio. Evidentemente il pilastro della legge 194 sull’aborto non è sufficiente per sorreggere la nuova chiesa universale; sono necessari nuovi e ben più solidi pilastri per rendere la struttura indistruttibile. Peccato che a forza di costruire pilastri non ci sarà più spazio per Gesù e per i fedeli.